Il “quotidiano comunista” che piace ai padroni
Il Manifesto, un giornale la cui esistenza è assicurata da una curia con papessa, da una congrega di amici del giaguaro e da una zoccolante processione di utili idioti, non ha la benchè minima giustificazione per occupare quella sua striminzita, ma vociferante e citatissima presenza sul mercato. I suoi redattori fanno lì lo stage per potersi iscrivere, dopo 18 mesi, all’albo dei pubblicisti o, addirittura, a quello dei giornalisti. Ma soprattutto per guadagnarsi subito la fiducia dei Poteri che si solevano chiamare occulti, ma che con il turbocapitalismo finanziario, la globalizzazione, le piattaforme, il digitale, il Covid, Davos e Bilderberg, sono usciti allo scoperto col botto. Questo apprendistato serve ai meno impediti linguisticamente, una volta conquistata quella fiducia, a fare il salto nelle case di piacere dei media di massa.
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