STUPIDA RAZZA

sabato 30 luglio 2022

Lufthansa, lo sciopero mette a terra mille voli EasyJet riduce il rosso

 

Sarà un’altra settimana di disagi per il trasporto aereo. Questa mattina Lufthansa è pronta a cancellare più di 1.000 voli in partenza da Monaco e da Francoforte per lo sciopero indetto dal sindacato Verdi dei dipendenti dei servizi a terra che chiedono aumenti salariali dell’ordine del 9,5 per cento. Più di 130mila passeggeri subiranno disagi a causa delle cancellazioni, secondo quanto riferito dalla stessa Lufthansa, dal momento che la Germania è al culmine delle vacanze estive, con la chiusura delle scuole iniziata questa settimana. Per evitare ulteriori disagi ai passeggeri, British Airways ha raggiunto un accordo con i dipendenti al check-in scongiurando uno sciopero che aveva minacciato di causare nuove cancellazioni. Tra scioperi e carenze di personale, volare in questa prima estate post-Covid può essere molto complicato. Disagi che stanno avendo un costo anche alle compagnie aeree, come nel caso di easyJet: i disagi degli aeroporti e le conseguenti cancellazioni sono costati 133 milioni di sterline al vettore low cost nel trimestre che si è chiuso a giugno con una perdita di 114 milioni di sterline contro 318 milioni dello stesso periodo del 2021. Migliorano le performance finanziarie con un EBITAR positivo per 103 milioni di sterline (era di 313 milioni di sterline nel terzo trimestre del 2019). In Borsa il titolo è salito dello 0,92% dopo la pubblicazione dei dati del terzo trimestre. Nonostante le difficoltà imputate a fattori esterni, secondo il vettore, la compagnia ha comunque operato il 95% del suo programma pianificato per il trimestre fino a giugno. La società prevede che la capacità nel quarto trimestre si attesterà circa al 90% rispetto allo stesso periodo nel 2019. «Abbiamo preso provvedimenti per rispondere alle difficoltà di questa estate e ora la situazione si sta normalizzando», ha affermato l'amministratore delegato Johan Lundgren. EasyJet è stata una delle compagnie più colpite dalla crisi degli aeroporti di Londra Gatwick, dove il vettore ha una delle sue principali basi nel Regno Unito, e ad Amsterdam Schiphol, dove gli scali hanno chiesto alle compagnie di limitare i voli per venire incontro alla domanda. Nel trimestre i passeggeri trasportati da easyJet sono stati 22 milioni generando un fatturato 1,76 miliardi di sterline, sopra le stime degli analisti. Il fatturato dei servizi ancillari è aumentato del 55% rispetto allo stesso periodo del 2019. In crescita anche il fatturato di easyJet Holiday. Alla fine di giugno, l’indebitamento netto di easyJet era di 0,2 miliardi di sterline, in calo rispetto agli 0,6 miliardi dell’anno precedente, compresi disponibilità liquide e depositi del mercato monetario di 3,9 miliardi.

ADIDAS Taglia le stime per il 2022

 

La ripresa più lenta in Cina e il potenziale rallentamento di altri mercati si riflettono su Adidas che ha tagliato le previsioni per l’esercizio in corso. L’utile netto da attività continuative è visto a circa 1,3 miliardi di euro, dalla precedente previsione di 1,8-1,9 miliardi. Il margine operativo è ora previsto intorno al 7% (in precedenza 9,4%). 



Fincantieri, i costi in rialzo pesano su utile e redditività

 

Fincantieri arriva al test della semestrale con ricavi in crescita, a quota 3,5 miliardi (+16%), e un carico di lavoro sostenuto (34,6 miliardi, pari 5,2 volte il fatturato del 2021), ma con un risultato netto in rosso per 234 milioni (a fronte dei 7 milioni di utile dello stesso periodo del 2021) che sconta una revisione strategica delle commesse nel settore delle infrastrutture, a valle di un’analisi aggiornata dai rischi effettuata dal nuovo management su poste limitate al periodo, nonché il peso di alcune partite non ricorrenti, a cominciare dagli impatti dei maggiori prezzi delle materie prime, amplificati dal conflitto russo-ucraino, sui costi a vita intera delle commesse nel comparto della costruzione delle navi (shipbuilding) . Un tema, quello del rialzo dei prezzi, che ha finito per incidere negativamente anche sull’ebitda, in calo dai 219 milioni del primo semestre del 2021 a 90 milioni di quest’anno, con un ebitda margin che scende dal 7,2 al 2,6 per cento. Arretra poi anche l’ebit che è negativo per 21 milioni rispetto ai 123 milioni di euro dello scorso anno . Quanto al debito, l’asticella è pari a 3,3 miliardi di euro (a fronte dei 2,2 miliardi di fine 2021) e risente, chiarisce il gruppo nella nota diffusa ieri a valle del board che ha approvato i risultati, delle dinamiche tipiche del circolante relativo al business cruise (che prevede cinque consegne nel secondo semestre, di cui la prima a luglio), e dagli investimenti del periodo. A pesare sull’indebitamento, però, è stata anche la strategia di supporto agli armatori messa in campo dopo lo scoppio della crisi pandemica e in virtù della quale il gruppo ha in piedi, a fine giugno, 155 milioni di crediti finanziari e 317 milioni di dilazioni commerciali concesse ai clienti. Il nuovo ceo, Pierroberto Folgiero, che ha assunto le redini del gruppo a metà maggio, guarda però già avanti.«Nei prossimi mesi - commenta a margine della riunione del cda - l’azienda perseguirà una sempre maggiore concentrazione sul core business dello shipbuilding indirizzando la crescita attesa nel settore militare e la ripartenza del settore crociere». Tale percorso, chiarisce ancora il numero uno, «sarà anche caratterizzato da una grande focalizzazione su nuove soluzioni digitali e green che aumentino nel tempo la “distintività” della grande leadership di Fincantieri nell’industria internazionale della navalmeccanica». L’attenzione del gruppo, spiega Folgiero, sarà poi puntata sul perseguimento «di progetti industriali mirati alla eccellenza operativa dei propri cantieri in Italia e all’estero», nonché «a dedicare massima cura allo sviluppo del proprio rilevante capitale umano». Guardando al futuro, l’azienda riconosce che la recrudescenza epidemiologica delle ultime settimane «ha posto nuovamente l’attenzione su una potenziale criticità relativa alla disponibilità di risorse nei cantieri del gruppo per la gestione del carico di lavoro atteso nei prossimi mesi», ma la contromisura è già in atto con la messa a terra di piani di mitigazione dei rischi per assicurare personale e materiali. E, al netto di un possibile deterioramento dello scenario macroeconomico, Fincantieri confida di poter garantire nel corso dell’anno «il pieno regime produttivo» che consentirà una crescita dei ricavi superiori a quelli del 2021 e si attende un miglioramento nel secondo semestre della marginalità di gruppo «sebbene a livelli ancora inferiori a quelli del 2021», mentre il debito è previsto in lieve miglioramento.

Ubs delude il mercato e il titolo cade

 

Ubs, la maggior banca svizzera, ha registrato un utile netto di 2,1 miliardi di dollari (2 miliardi di euo) nel secondo trimestre 2022, in aumento del 5,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nel complesso, per il primo semestre di quest’anno il profitto netto è di 4,2 miliardi di dollari, contro i 3,8 miliardi di un anno prima. Sono cifre ragguardevoli, soprattutto in una fase complicata come l'attuale, come ha fatto notare il vertice della banca, e che però non sono state accolte bene dal mercato, che si attendeva di più per il secondo trimestre. A Zurigo il titolo Ubs ieri così non soltanto non è salito ma è finito nel mirino ed ha chiuso in ribasso del 9,4%, in una seduta in cui l'indice Smi ha perso lo 0,2%, Un punto sottolineato da molti analisti è che in aprile la banca ha ceduto la quota di una joint venture immobiliare giapponese con Mitsubishi Corp., operazione non ordinaria che ha generato per Ubs 848 milioni di dollari, una cifra che ha fortemente influenzato il risultato trimestrale. «Il secondo trimestre – ha d'altronde affermato Ralph Hamers, ceo di Ubs - è stato uno dei periodi più impegnativi per gli investitori degli ultimi dieci anni. L'inflazione rimane alta, la guerra in Ucraina continua e le restrizioni anti-Covid restano in vigore in diverse parti dell'Asia. Ma le nostre cifre chiave per il trimestre sono robuste». Ubs nel secondo trimestre ha mantenuto ricavi e costi praticamente stabili rispetto a un anno prima. Con ricavi di 8,92 miliardi di dollari (+0,2%) e spese operative per 6,30 miliardi di dollari (-1,4%), il rapporto costi/ricavi è stato del 70,6% (in calo di 1,2 punti percentuali su base annua). I patrimoni gestiti sono inevitabilmente diminuiti, a causa dei consistenti cali dei mercati azionari. Ubs, che è leader a livello internazionale nella gestione patrimoniale, alla fine di giugno gestiva 3.912 miliardi di dollari, 468 miliardi in meno rispetto alla fine di marzo. Nel core business della gestione patrimoniale globale si sono registrati 0,4 miliardi di dollari di afflussi netti trimestrali, una cifra che la banca, abituata in genere ad entrate di fondi più ingenti, ha definito «modesta». Secondo Hamers, Ubs è comunque ben posizionata per il secondo semestre. Il gruppo intende riacquistare altre azioni proprie nella seconda metà dell’anno, per circa 1,7 miliardi dopo i 3,3 miliardi del primo semestre, con l'obiettivo dei 5 miliardi di dollari per l'intero 2022. 

Non sanzionabile la doccia in malattia

 

visita di controllo Non sanzionabile la doccia in malattia Un dipendente è stato oggetto di un richiamo scritto in quanto, durante l’assenza per malattia, pur essendo in casa non ha aperto la porta in occasione della visita di controllo perché era sotto la doccia. La Corte osserva che il contratto collettivo applicato «inserisce fra le condotte di rilievo disciplinare l’assenza alla visita domiciliare di controllo, che non è concettualmente coincidente con il tenere una condotta, all’interno delle pareti domestiche, che si riveli di ostacolo all’accesso del medico...; quest’ultima può essere comparata al mancato rispetto delle fasce di reperibilità nei rapporti con l’istituto previdenziale non già ai fini disciplinari, per i quali, oltre a venire in rilievo il principio di legalità e quello di proporzionalità, occorre accertare che in concreto la condotta, valutata in tutti i suoi profili oggettivi e soggettivi, integri una violazione degli obblighi che dal rapporto scaturiscono...l’obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia...non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all’interno delle pareti domestiche». Corte di cassazione, ordinanza 22484/2022, depositata il 18 luglio 

Meccanici alla prova di Industria 4.0, il lavoro diventa più mentale che fisico

 

N ella metalmeccanica quasi sette lavoratori su dieci utilizzano tecnologie avanzate, per la gran parte sono impegnati mentalmente più che fisicamente, la maggioranza è abituata a lavorare in team, ed una quota consistente può prendere decisioni sul lavoro in modo autonomo, assumendosi responsabilità Una panoramica del profondo cambiamento in atto nell’industria metalmeccanica è offerta dalla decima edizione del Monitor sul Lavoro (Mol) promosso da Federmeccanica e Umana, realizzato dalla divisione Research&Analysis di Community, curata dal professor Daniele Marini. L’indagine condotta tra mille lavoratori (nella precedente erano stati interpellati i datori di lavoro), evidenzia come le tradizionali categorie con cui per decenni abbiamo interpretato il mondo del lavoro nell’industria (operai, impiegati, tecnici, dirigenti) non restituiscono più in modo esaustivo le articolazioni delle professioni. Le nuove modalità organizzative Basta osservare le modalità di lavoro per comprendere la portata dei cambiamenti: poco più della metà dei metalmeccanici svolge mansioni esecutive (58,6%) che li impegnano mentalmente (63,6%) più che fisicamente. Quasi i due terzi operano in team con altri (61%). Il 69% è alle prese con strumentazioni a elevato contenuto tecnologico. Dunque tra i profili professionali la platea è quasi divisa a metà fra chi svolge mansioni qualitativamente elevate (prevalente) e chi è attardato su lineamenti meno pregiati (minoritario). Il confronto con l’indagine del 2016 evidenzia come tra i metalmeccanici prevalga chi fa un lavoro operativo esecutivo (58,6%, era il 48,7% nel 2016), mentre il 41,4% (51,3% nel 2016) ha la possibilità di sperimentare autonomia. Aumenta l’impegno mentale (63,6%, dal 53,3%), il lavoro in team con altri colleghi (61%, dal 48,2%). «Rispetto all’indagine 2016, si assiste ad un progressivo, spostamento verso l’alto del sistema delle professioni - spiega il professor Marini-, come se la diffusione delle nuove tecnologie elevasse le mansioni e le caratteristiche professionali dei lavoratori». Cinque ceti professionali Dall’indagine emergono cinque ceti professionali, secondo alcuni caratteri prevalenti e diverse mansioni e modalità di esecuzione, con un livello di base degli “operativi” - le mansioni svolte sono basilari e più facilmente eseguibili - fino agli “skill 4.0” caratterizzati da un mix di competenze: autonomia, responsabilità decisionale. Il primo profilo “Operativo” è meno pregiato sotto il profilo dei contenuti e rappresenta il lavoratore che svolge un’attività prevalentemente esecutiva, con attrezzature tradizionali o scarsamente tecnologiche, non ha autonomia decisionale, né deve relazionarsi con altri colleghi. Tra i metalmeccanici il 7,5% si colloca in questo profilo: in prevalenza possiedono un basso titolo di studio, e sono occupati nelle piccole imprese, nel Mezzogiorno. II 20,1% dei metalmeccanici sono inquadrabili nel secondo profilo “Manuale upgrade”, pur svolgendo un lavoro esecutivo e manuale, dispongono di strumentazioni tecnologiche complesse, devono prendere decisioni in autonomia. Riguarda soprattutto i più giovani, chi ha raggiunto al più una qualifica professionale. Il 23,2% dei metalmeccanici è ascrivibile alla terza categoria “Operatore esperto” che alle capacità decisionali autonome aggiunge l’utilizzo di strumentazioni innovative, l’opportunità di lavorare all’interno di un gruppo o di relazionarsi con altri colleghi, sviluppando così ulteriori capacità professionali. Appartiene alla categoria più popolata, “Mentedopera”, il 28,1% dei metalmeccanici: qui la dimensione intellettuale prevalente si sposa con abilità manuali. È difficile distinguere dove inizi l’una e termini l’altra, la dimensione cognitiva può essere applicata a un lavoro esecutivo e viceversa. Tra loro troviamo molti laureati che svolgono mansioni tecniche e dirigenziali. All’apice delle categorie professionali troviamo “Skill 4.0” che coinvolge il 21,1% dei metalmeccanici. È la professionalità con le competenze più elevate, poiché somma autonomia decisionale, impegno cognitivo, utilizzo di tecnologie avanzate e lavoro in team. Sono i lavoratori oltre 55 anni, più presenti nel Nord Ovest e nel Centro, molti laureati, lavorano in imprese di più grandi dimensioni. Competenze di oggi e di domani Tra le competenze più cercate troviamo le capacità di svolgere più funzioni (72,5%), proattività flessibilità mentale creatività (71,5%), conoscenze tecniche e informatiche (67,5%) capacità di sapere fare lavori diversi (66,9%), competenze relazionali (61,7%) capacità analitiche (58,7%) analisi dei processi, dei dati e capacità decisionale (58,6%). La competenza meno richiesta oggi è la forza fisica (39%), seguita dalle abilità tecniche  (56,2%). In un prossimo futuro sarà sempre più richiesta la capacità di svolgere più funzioni (78,2%), insieme alla capacità di saper fare lavori diversi (75,3%), le conoscenze tecniche e informatiche (74,2%), l’analisi dei processi, dei dati, la capacità decisionale (66,7%), la proattività, con flessibilità mentale e creatività (66,3%). Stabile all’ultimo posto, troviamo la forza fisica (40,9%) e le abilità tecniche (54,3%). In prospettiva, dunque, le capacità di gestione delle persone, del tempo e delle risorse materiali (+8,7), assieme alla polivalenza (+8,1) e alle competenze di sistema (+8,1) assumono un’accelerazione particolare fra i metalmeccanici, e saranno quelle su cui puntare per la formazione professionale dei lavoratori. Come sottolineato dagli imprenditori nella precedente rilevazione del Mol, i lavoratori evidenziano come oggi, e ancor di più in un futuro prossimo, le competenze immateriali più di quelle tecniche e ancor più di quelle fisiche risulteranno fondamentali. In sostanza le “soft skill” sono già diventate le “hard skill”. Dalla mansione al ruolo «Emerge in maniera chiara l’evoluzione dell’industria che sta puntando molto sulla polivalenza, la polifunzionalità, e le competenze trasversali - commenta Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica -. La ricerca rivolta ai lavoratori ed alle lavoratrici coincide nella sostanza con quanto era emerso in una indagine simile condotta con gli imprenditori. C’è pertanto una consapevolezza diffusa di un nuovo modo di lavorare e di fare impresa. È molto importante anche il valore che le persone danno alla formazione per la loro crescita professionale e personale e come fattore strategico per raggiungere gli obiettivi aziendali». Franchi ricorda come nel «contratto del 2021 la riforma del nuovo inquadramento professionale ha portato al passaggio dalla mansione al ruolo che ben rappresenta l’evoluzione delle organizzazioni del lavoro dentro le quali vanno a collocarsi le nuove competenze dei lavoratori».



Arriva la stangata ai clienti Amazon, per i servizi Prime rincari del 39%

 

La brutta sorpresa per i clienti Amazon arriva nottetempo, via email, con una comunicazione in cui nero su bianco viene segnalato che la piattaforma aumenterà il prezzo del suo abbonamento Prime dal 15 settembre. Incremento in Italia, ma anche in Francia, Germania, Inghilterra, Spagna. In Italia si passerà da 3,99 a 4,99 euro al mese (+25%), mentre la sottoscrizione annuale passerà invece da 36 a 49,90 euro (+38,6%). Dopo i ritocchi negli Stati Uniti, il colosso di Seattle presenta dunque il conto anche agli abbonati del Vecchio Continente, chiamati a mettere mano al portafogli per questo servizio, Prime, con il quale sono garantite consegne veloci (anche nei weekend) di moltissimi prodotti comprati su Amazon, ma anche gli ebook di Prime Reading, lo spazio illimitato per le foto con Amazon Photos (fino a 5 GB per i video) e Prime Gaming. Compreso nel “pacchetto” c’è anche Prime Video: la piattaforma di video on demand che compete nell’arena dello streaming con gli altri giganti come Netflix e Disney+ innanzitutto. Amazon ha voluto renderla ancora più “appetibile” in Italia aggiudicandosi la trasmissione in esclusiva della migliore partita del mercoledì della Champions League per il triennio 2021-24 (per un investimento mai dichiarato ma che secondo rumors si sarebbe attestato sugli 80 milioni di euro a stagione). «È la prima volta che modifichiamo il prezzo di Prime in Italia dal 2018», ha scritto Amazon nella sua comunicazione via email ai clienti Prime. Quanto alle ragioni, l’indice è puntato sull’«aumento generale e sostanziale dei costi complessivi dovuti all'inflazione che incide sui costi specifici del servizio Amazon Prime». Insomma: «Circostanze esterne fuori dal nostro controllo». Nel frattempo però – è la replica di un portavoce Amazon alla richiesta di un commento ulteriore – «abbiamo aumentato il numero di prodotti disponibili con consegna Prime veloce e illimitata; abbiamo recentemente ampliato il servizio di consegna della spesa in giornata e abbiamo ampliato in modo significativo la nostra offerta di intrattenimento digitale di alta qualità, tra cui serie TV, film, musica, giochi e libri. Prime Video ha triplicato, dal 2018, il numero di Amazon Originals lanciando nuove serie e film». Tutte motivazioni che, comunque, non hanno convinto le associazioni dei consumatori che si sono immediatamente fatte sentire stigmatizzando rincari che la Codacons, ad esempio, ha bollato come «abnormi» – segnalando che vanno «oltre 4 volte il tasso di crescita dei prezzi al dettaglio» – o Assoutenti ha etichettato come «inopportuni». Rincara la dose Federconsumatori che annuncia un ricorso ad Agcm e per la quale «non è infondato il sospetto che attraverso tale operazione, Amazon voglia rifarsi, a spese dei cittadini, delle perdite riportate nel primo trimestre di quest’anno, che a livello globale ammontano a 3,8 miliardi di dollari, dopo un profitto di 8,1 miliardi dello stesso periodo del l’anno precedente».La mail di Amazon anticipa di oltre un mese e mezzo il cambiamento del costo dell’abbonamento, dando così la possibilità ai clienti di valutare se modificare il proprio abbonamento, ad esempio passando dal mensile all'annuale per garantirsi un risparmio oppure di cancellare la propria iscrizione a un servizio che comunque si presenta nutrito. Sull’altro piatto della bilancia però c’è una decisione non banale, giustificata però, come detto, con l’aumento dei costi di spedizione e dei prezzi del carburante che hanno impattato su un servizio Prime che ha il suo punto forte nella garanzia delle consegne in 24-48 ore. Tutto questo si scontra con un quadro di esborsi in crescita. Si pensi ad esempio all’investimento di oltre 1 miliardo di dollari per realizzare cinque stagioni della serie “Il Signore degli anelli”. O anche all’acquisto di Mgm per 8,5 miliardi di dollari. Il 28 luglio è attesa la trimestrale. Alla quale il colosso dell’e-commerce fondato da Jeff Bezos – che in Italia 10 centri di distribuzione di cui uno che aprirà lunedi prossimo a San Salvo in Abruzzo; una quarantina tra depositi e centri di smistamento; un customer service a Cagliari; un ufficio corporate a Milano; un centro Alexa a Torino – arriva con un calo del titolo di quasi il 30% da inizio anno.

venerdì 29 luglio 2022

Gli agricoltori europei chiedono la revisione dei tagli Ue alla chimica



Cresce a Bruxelles l’opposizione al previsto giro di vite Ue sulla chimica in agricoltura. Nel corso dell’ultimo Consiglio agricolo, più di una delegazione degli Stati membri ha, infatti, contestato apertamente le misure previste dalla proposta di regolamento della Commissione sulla riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari in agricoltura. Il progetto legislativo della Commissione prevede che entro il 2030 il ricorso ai fitofarmaci dovrebbe essere tagliato in ambito Ue fino a un massimo del 50% rispetto ai livelli medi di utilizzo del periodo 2015-17 e comunque con una riduzione minima del 35% per ognuno degli Stati membri. Nei mesi scorsi più di un paese aveva sollevato obiezioni puntando in particolare sul fatto che la proposta di regolamento doveva essere presentata nello scorso aprile ma poi è stata rinviata per motivi legati alla guerra russo-ucraina e all'inflazione. Tutti accadimenti che già avevano provocato non pochi contraccolpi nelle agricolture europee visto il peso delle aree coinvolte nel conflitto nella produzione di fitofarmaci e a causa del conseguente rialzo dei prezzi. Ne è nato un dibattito all’interno della Commissione tra i favorevoli e i contrari a una revisione che ha visto per il momento prevalere gli oltranzisti del Green Deal. Almeno fino al consiglio della scorsa settimana quando sono emerse nuove critiche all’impostazione Ue. Le contestazioni hanno riguardato, in particolare, i metodi di calcolo utilizzati per fissare gli obiettivi di riduzione del ricorso alla chimica in agricoltura che non terrebbero nel dovuto conto né i risultati già ottenuti e né le specificità dei diversi sistemi produttivi. Un ampio numero di delegazioni ha poi posto l'accento su un altro aspetto chiave: e cioè che il giro di vite sulla chimica possa scattare solo in presenza di alternative per gli agricoltori valide sotto il profilo agronomico ed economico e che consentano di salvaguardare il potenziale produttivo. A questo proposito è stato più volte ricordato il caso francese. Parigi nel 2017 di fronte alla tabella di marcia fissata da Bruxelles per arrivare, in un quinquennio alla messa al bando del glifosato scelse, anche su iniziativa del presidente Macron, di anticipare a livello nazionale il divieto assoluto di utilizzo del contestato erbicida. Salvo poi, di fronte alle evidenti difficoltà produttive fare marcia indietro, con annessa giravolta presidenziale, e tornare all’ipotesi di un phasing out dal glifosato almeno diluito nel tempo. «Noi condividiamo i principi alla base della Strategia Farm to Fork – ha commentato il presidente di Agrofarma, Riccardo Vanelli – e in particolare l’obiettivo di una maggiore sostenibilità ambientale, ma non il metodo individuato per raggiungerlo. L’idea cioè di target quantitativi al ribasso che rischiano di penalizzare fortemente il comparto agricolo europeo e nazionale senza una reale visione sugli impatti che tali target potrebbero comportare in assenza di reali alternative. L'industria degli agrofarmaci investe ogni anno ingenti risorse (pari al 6% del fatturato) nella ricerca di soluzioni sempre più efficaci e meno impattanti. Abbiamo assunto anche l'impegno di investire 4 miliardi per la ricerca di agrofarmaci utilizzabili in agricoltura biologica e di 10 miliardi per lo sviluppo di tecnologie di agricoltura digitale in grado di minimizzare il ricorso alla chimica».

Latte, allarme costi nelle stalle di montagna

 

È allarme, negli allevamenti di montagna, per l’aumento dei costi. La razione di fieno delle mucche da latte è aumentata del 40%, molto più che in pianura. Un prezzo ingovernabile, così le prime stalle hanno cominciato a chiudere. «Soltanto tra i nostri allevatori, in 12 hanno chiuso l’attività e hanno mandato 700 vacche al macello - racconta Stefano Albasini, presidente di Trentingrana, una realtà che riunisce 700 stalle e 17 caseifici - in questi giorni molti stanno cercando di ridurre i costi di alimentazione delle mucche praticando l’alpeggio, ma a settembre, quandosaranno costretti a rientrare nelle stalle, temo che ci saranno nuove chiusure». Da gennaio ad oggi, Trentingrana ha già dovuto diminuire la produzione del 10% per mancanza di materia prima. Aumentare i prezzi per remunerare di più gli allevatori? «Impossibile - dice Albasini - ci abbiamo provato col burro, a passare da 4 euro a 7,30 euro al chilo per rientrare di tutti gli aumenti dei costi. Ma il risultato è stato un crollo vertiginoso degli acquisti». Secondo i dati di Alleanza Cooperative agroalimentari, a marzo del 2022 il costo della razione per le vacche da latte nelle stalle di montagna è stato di circa 10 euro per capo, mentre un anno prima si fermava a 7 euro. Questa crescita è la somma dell’aumento dei prezzi del fieno, passato da 18 a 24 euro al quintale, e della farina, che ha registrato un incremento da 25 a 44 euro al quintale. Ma a pesare come un macigno sono anche i costi dell’energia, balzati addirittura del 260%. E rispetto alla pianura, gli allevamenti e i caseifici di montagna sono molto più energivori: le stalle sono lontane, i costi di raccolta sono superiori, per non parlare della questione del raffreddamento del latte, che in montagna non viene raccolto sempre due volte al giorno. Insomma, per colpa dell’aumento del gasolio il costo medio della raccolta del latte in montagna è arrivato a 4 euro al quintale, mentre in pianura è di arrivato a 1,5 euro. «Trentingrana paga 1,40 euro il gas che prima pagava 0,30 centesimi - calcola il presidente del consorzio, Albasini - abbiamo chiesto alla provincia autonoma di Trento di aiutarci o il rischio, a settembre, è di veder calare ancora di più la produzione». Gli allevatori sono molto preoccupati: «La zootecnia di montagna sta vivendo una situazione estremamente complessa - spiega Carlo Piccinini, di Alleanza Cooperative agroalimentari - le stalle stanno chiudendo e quelle che resistono non hanno certezze sulla loro tenuta nei prossimi mesi, e questo significa mettere in discussione il presidio dei territori e il sostentamento delle economie locali». In aiuto degli allevatori è in arrivo il decreto a sostegno delle produzioni zootecniche colpite indirettamente dalla crisi russo-ucraina, che verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale a breve, nell’ambito del quale il settore lattiero-caseario sarà destinatario di aiuti per circa 75 milioni di euro, di cui 20 destinati esclusivamente agli allevamenti in zone montane. «Sono risorse - dice Piccinini - che dovranno essere obbligatoriamente erogate entro il prossimo autunno, quindi garantiscono un intervento tempestivo, ma in un contesto sempre più incerto ed economicamente complesso non rappresentano la soluzione definitiva al problema. Ora è necessario riaprire il confronto con le Regioni interessate».

La sussidiarietà aiuta la crescita sociale e riduce la povertà

 

M isurare fenomeni socio-economici complessi è la sfida al centro di molti studi di statistica, economia e sociologia. Il Rapporto “Sussidiarietà e… sviluppo sociale” della Fondazione per la Sussidiarietà ha un obiettivo ambizioso: misurare l’impatto sul benessere degli italiani della cultura sussidiaria, intesa come partecipazione ad attività collettive, sociali e civiche. Il risultato di questa innovativa ricerca è incoraggiante. La sussidiarietà contribuisce a migliorare la qualità della vita, facilita la ricerca di un lavoro e riduce il rischio di povertà. Lo studio mostra una forte correlazione positiva (diretta) fra l’impegno sussidiario e l’occupazione. In particolare, la partecipazione a programmi di formazione continua favorisce l’inserimento nel mondo del lavoro, a tutte le età. Un analogo impatto positivo verso la capacità di trovare lavoro deriva dalla partecipazione ad attività culturali fuori casa e a organizzazioni non profit. La ricerca dimostra anche la correlazione negativa (inversa) esistente tra sussidiarietà e mortalità evitabile, rischio di povertà, grave difficoltà ad arrivare a fine mese con i propri redditi. L’analisi statistica non si limita ad indagare l’effetto positivo in diversi ambiti della partecipazione ad attività collettive, ma mette sotto i riflettori anche l’origine di tale iniziativa: il sentimento di apertura e fiducia della persona che risulta fortemente correlato con la partecipazione ad attività sussidiarie. Nel Rapporto viene anche stilata una classifica regionale dell’indice di sussidiarietà, un dato che misura la propensione dei cittadini verso la partecipazione ad attività collettive, sociali, civiche e politiche. Assumendo 100 come valore-base a livello nazionale, spiccano la provincia di Trento (108), il Veneto (107) e il Friuli Venezia Giulia (104). In coda Campania (91), Calabria (92) e Sicilia (93). Le regioni del centro-nord si collocano nella parte alta della classifica, mentre quelle del sud sono in basso, ma con segnali di risveglio importanti, visto che in queste regioni si osserva negli ultimi anni una crescita più marcata del numero degli enti del Terzo Settore rispetto al Nord. Il Rapporto si è avvalso del ricco materiale statistico rappresentato dai numerosi indicatori regionali del Benessere Equo e Sostenibile (BES) elaborati e diffusi dall’Istat. Il progetto BES è uno dei più avanzati esercizi al mondo di misurazione del benessere come fenomeno multidimensionale. I dati emersi gettano una nuova luce sui limiti dell’attuale sistema economico, quali la crescita delle disuguaglianze, il depauperamento del capitale sociale, e il bisogno di una misura dello sviluppo non solo monetaria. E mostrano come il cuore e punto di partenza dello sviluppo sia quella trasformazione che nasce dall’iniziativa personale e dalla creazione di aggregazioni di base e corpi intermedi.

La Germania verso il livello 3 di emergenza

 

Da oggi il flusso del gas russo di NordStream 1 alla Germania cala a 33 milioni di metri cubi al giorno, pari al 20% della capacità a pieno del gasdotto da 160 milioni di metri cubi. E da oggi la Germania si trova sull’orlo del baratro energetico: il razionamento del gas per imprese e famiglie che corrisponde al livello 3 “emergenza” del Piano della crisi energetica. Il ministro dell’Economia e del Clima Robert Habeck ha attivato il 24 giugno il livello 2 di allerta ma dopo l’ennesimo taglio al gas inferto da Mosca il rischio che si apra la delicata fase 3 dell’emergenza è imminente. La fornitura di gas russo al 20% infatti pare non consenta a Berlino di raggiungere gli ambiziosi nuovi traguardi di stoccaggio fissati in un nuovo Pacchetto per la sicurezza energetica varato lo scorso giovedì: la tabella di marcia mira a riempire in fretta i serbatoi di gas, non più 70% ma 75% il primo settembre, da 80% a 85% il primo ottobre e dal 90% al 95% il primo novembre.Per il responsabile dell’Agenzia Federale di Rete Klaus Müller queste nuove soglie di stoccaggio sono irrealistiche anche con il 40%. Prima di arrivare al livello 3 di emergenza, Habeck ha fissato altri obiettivi nel Pacchetto di sicurezza, con una stretta sul risparmio di gas  tramite la riduzione del riscaldamento nelle aree meno frequentate degli edifici pubblici, come foyer, corridoi, ampi saloni. Per gli edifici residenziali, le misure consigliano di non aprire le finestre durante l’inverno, riscaldare solo le stanze usate, abbassare le temperature durante la notte. L’obiettivo del governo è risparmiare il 20% di gas per prepararsi all’inverno: il risparmio è fermo al 14%. Il livello 3 di emergenza consegna nelle mani dello Stato la distribuzione del gas: spetta a quel punto al governo federale stabilire il razionamento, salvaguardando le categorie più a rischio come gli ospedali, le case di cura per anziani. Proprio il pericolo di una riduzione forzata del riscaldamento negli ospedali sta facendo vacillare per la prima volta il “no” perentorio del partito dei verdi Die Grünen e dell’Spd al mantenimento temporaneo della produzione di energia nucleare. I cristiano-democratici Cdu-Csu e i liberali Fdp spingono per estendere di qualche mese l’uso delle tre centrali nucleari Emsland (Bassa Sassonia), Isar 2 (Baviera) e Neckarwestheim 2 (Baden-Württemberg) che dovrebbero chiudere entro fine anno. Il cancelliere Olaf Scholz resta prudente: ha predisposto un nuovo stress test sui requisiti di sicurezza per allungare la vita alle tre centrali nucleari.



Stoccaggi, in Italia riempimento oltre il 70%

 

Il riempimento degli stoccaggi italiani ha raggiunto il 70,5 per cento. Nei depositi sono stati immessi 7,4 miliardi di metri cubi di gas (al netto delle riserve strategiche), rispetto a un target di 10,8 miliardi entro ottobre che rappresenta quel cuscinetto del 90% fissato dal Governo per blindare il prossimo inverno. Un trend in linea con la curva programmata per centrare quell’obiettivo. Ad aggiornare l’asticella è stato ieri il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, commentando a Bruxelles l’intesa sul piano d’emergenza Ue. «Stiamo procedendo molto bene su questo fronte e le operazioni proseguono in maniera fluida». L’Italia, ha aggiunto, ha reperito «25 miliardi di metri cubi da diversi fornitori, che hanno sostituito circa 30 miliardi di metri cubi dalla Russia. La metà di queste nuove forniture sono gas naturale liquefatto. Per questa ragione abbiamo comprato due strutture galleggianti per la rigassificazione, che saranno installate nei prossimi 12-24 mesi». Il primo a entrare in servizio, nella prossima primavera, secondo la tabella di marcia ribadita anche dal premier Mario Draghi nei giorni scorsi, è l’impianto che sarà ormeggiato nel porto di Piombino: si tratta della Golar Tundra, la prima delle due navi rilevate da Snam su mandato del Governo. In base all’accordo siglato nelle scorse settimane al ministero, il rigassificatore galleggiante resterà in porto per non più di tre anni e nel contempo la società guidata da Stefano Venier si impegnerà a identificare un sito alternativo che ne consenta un utilizzo per un periodo più lungo. Quanto al secondo impianto (la Bw Singapore), che entrerà in funzione nel terzo trimestre del 2024, sarà posizionato al largo delle coste di Ravenna. Le due navi, come ha chiarito di recente il numero uno di Snam, «potranno da sole contribuire al 13% del fabbisogno nazionale di gas, portando la capacità di rigassificazione a oltre il 30% della domanda». In prospettiva, dunque, dai due impianti galleggianti arriverà una decisa spinta in termini di diversificazione delle fonti. Ora, però, gli sforzi sono concentrati sugli stoccaggi. E, anche su questo fronte, non è mancata la spinta di Snam che ha acquistato finora due miliardi di metri cubi di gas da destinare ai conferimenti. Un ulteriore supporto in tal senso dovrebbe poi arrivare anche dal Gse che, come previsto dal decreto aiuti, è sceso in campo per contribuire ai riempimenti in stretta sinergia con Snam.

Gas vola a 214 euro, elettricità sopra i 500

 

Prezzi fuori controllo

Gas a 214 euro per Megawattora, in rialzo del 21% in una sola seduta al Ttf, ed elettricità che sul mercato italiano continua a volare sopra la soglia critica dei 500 euro. I prezzi dell’energia sembrano ormai senza freni, soprattutto in Europa – dove scontiamo l’ulteriore crollo in queste ore delle forniture di Gazprom – ma anche in molte altre aree del mondo: persino negli Stati Uniti il gas al Nymex è tornato a scambiare ai massimi da 14 anni, oltre 9,5 $/mmBtu. L’Italia putroppo è ancora una volta tra i Paesi che soffrono di più, in assoluto. Dopo una relativa tregua nel weekend, il PUN (Prezzo unico nazionale) è risalito sopra 500 euro per Megawattora, attestandosi a quota 526,21 euro per la giornata di oggi, segnata dalla nuova stretta annunciata sul Nord Stream. Gazprom, in linea con quanto aveva prospettato il Cremlino, ha annunciato che da questa mattina avrebbe ridotto al 20% la portata del principale gasdotto russo, dimezzando il flusso rispetto al livello già esiguo dei giorni scorsi. Per nostra fortuna in parallelo dovremmo recuperare forniture più generose dall’Algeria, visto che proprio in queste ore si conclude la manutenzione della Trans Tunisian Pipeline, connessa al gasdotto Transmed. Nel frattempo Tap ha rassicurato sui flussi di gas dall’Azerbaijan, escludendo  una totale chiusura dei rubinetti il prossimo mese: la società ha spiegato al Sole 24 Ore che, in base alle informazioni di cui dispone, i flussi dovrebbero solo ridursi del 25-30% tra il 14 e il 28 agosto, quando verrà fermato per lavori il primo tratto del Corridoio sud del gas, quello tra il Mar Caspio e la Turchia. È buio fitto invece sui volumi che possiamo aspettarci in futuro dalla Russia. Dal Cremlino, attraverso il portavoce Dmitry Peskov, assicurano di voler ricollocare «quanto prima» al suo posto la turbina restituita dal Canada. Gazprom però tuttora non ne è rientrata in possesso (si troverebbe ancora in Germania) e Mosca continua a lamentare la mancanza di documenti sufficienti a tranquillizzarla sotto il profilo tecnico e sanzionatorio. «La situazione – ha ribadito ieri Peskov – è gravemente complicata dalle restrizioni e dalle sanzioni imposte contro il nostro Paese». Dall’Ucraina viene intanto suonato un nuovo campanello d’allarme relativo al transito di gas russo nel Paese: il gestore della rete ha denunciato che Gazprom ha alzato senza preavviso la pressione nel tratto UrengoyPomary-Uzhgorod, sollevando «rischi potenziali alla normale operatività del gasdotto».

Accordo Ue per ridurre i consumi di gas del 15%

 



In un contesto politico segnato dalla guerra in Ucraina e nel quale le forniture di idrocarburi russi appaiono sempre più incerte, i Ventisette hanno annunciato ieri un accordo storico sulla riduzione dei consumi di gas. L’intesa ha rivisto la proposta della Commissione europea, lasciando però inalterato il quadro generale. Nei fatti, l’accordo prevede numerose deroghe alla proposta comunitaria di un taglio della domanda del 15 per cento. Per l’Italia, la riduzione è stimata del 7 per cento. «L’Unione europea si è dimostrata unita e solidale», ha commentato Jozef Síkela, il ministro ceco dell’Industria che ieri ha presieduto una riunione straordinaria dei ministri dell’Energia. Ha aggiunto Kadri Simson, la commissaria all’Energia: «L’impatto sull'economia sarà significativamente minore se inizieremo a risparmiare ora e non aspetteremo che Mosca ci costringa a farlo». Già oggi 12 Paesi membri stanno subendo una riduzione dell’approvvigionamento di gas proveniente dalla Russia. I Ventisette si sono accordati per fare tutto il possibile in modo da ridurre volontariamente il consumo del gas del 15% - a partire dal prossimo 1° agosto 2022 e fino al 31 marzo 2023 - rispetto alla media della domanda degli ultimi cinque anni. Più complicata è stata l’intesa per quanto riguarda le riduzioni obbligatorie, nel caso vi sia uno stato di emergenza. Come detto, la proposta della Commissione europea è stata rivista con l’adozione di varie deroghe. Solo una di queste è automatica, e riguarda le tre isole - Cipro, Irlanda e Malta - slegate dalla rete elettrica europea. Le altre eccezioni, ha spiegato un funzionario comunitario, dipenderanno da una valutazione delle circostanze. Tra le deroghe, vi è quella dedicata alle repubbliche baltiche, il cui sistema elettrico è ancora sincronizzato con quello russo. Nel caso di emergenza, i tre Paesi – Lituania, Lettonia ed Estonia - potranno chiedere di rivedere l’impegno alla riduzione del consumo di gas. Lo stesso potranno fare i Paesi che sono alle prese con una crisi nella produzione di elettricità, per esempio per via di una eventuale chiusura delle centrali idroelettriche provocata dalla siccità. Anche i Paesi relativamente poco interconnessi con la rete del gas europea potranno chiedere una eccezione all’obbligo di ridurre i consumi di idrocarburi. Lo stesso varrà per gli Stati membri che usano il gas direttamente nella produzione industriale in settori critici. Il governo italiano ha espresso soddisfazione per l’esito del negoziato europeo. Ha spiegato a Bruxelles il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani: «La cosa importante è che questo 15% (di taglio dei consumi, Ndr) è stato specializzato praticamente Paese per Paese. Nel nostro caso, con le regole che sono state sviluppate, sostanzialmente dovremmo risparmiare circa il 7% rispetto alla media dei consumi di gas degli ultimi cinque anni» (la percentuale ridotta equivale a circa 4,1 miliardi di metri cubi). Sempre il ministro Cingolani ha sottolineato che l’Italia non intende riconvertire a carbone o a petrolio eventuali impianti a gas, e che attualmente le riserve nazionali di gas superano il 70% della loro capienza totale. La strategia per ridurre i consumi dipenderà dai governi. I Ventisette sono d’accordo nel dare priorità alle misure che non hanno impatto sulle famiglie e sui servizi essenziali per il funzionamento della società, e comunque evitando «distorsioni alla concorrenza». Secondo un funzionario europeo, il piano di risparmio, tenendo conto delle varie deroghe, dovrebbe permettere di risparmiare oltre 30 miliardi di metri cubi di gas, e «consentire di superare in scioltezza un inverno mediamente freddo». Una ultima annotazione sull’accordo raggiunto ieri riguarda l’iter per rendere l’impegno al risparmio non più volontario, ma obbligatorio nel caso di una situazione di emergenza. La scelta non sarà della Commissione europea, come previsto in origine dalla proposta comunitaria, ma dei governi che in ultima analisi dovranno approvare la misura con una decisione presa con una maggioranza qualificata. Infine, sul fronte del tetto da imporre ai prezzi del gas, Bruxelles ha confermato che sta lavorando alla questione e che in autunno presenterà possibili iniziative. 

La mancata crescita è il pericolo che la Fed non riesce a vedere

 

BINGO ! 👌👌👌

I l Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ci dice che il rischio recessione c’è, ed è in aumento. Ma questa previsione non si vede affatto in quello che oggi ci si aspetta farà la Fed, la banca centrale americana, confermando il suo atteggiamento aggressivo: le attese sono di un aumento del tasso di interesse di settantacinque – per alcuni di cento - punti base. Ma perché il rischio recessione c'è, ma non si vede? Nulla di nuovo sotto il sole: la Federal Reserve guarda i dati non con gli occhi dell’economia, ma con quelli della politica e dei mercati finanziari. Con simili occhiali, il rischio recessione è sfocato, con la conseguenza paradossale di farlo aumentare. Così come è già successo con il rischio inflazione. Il Fondo Monetario ha aggiornato le sue stime sull’andamento macroeconomico. Tutte le previsioni sono in peggioramento, a partire dal rischio recessione. La probabilità che una recessione colpisca uno dei Paesi del Gruppo dei Sette è salita al quindici per cento – quattro volte più alta del normale – ed è quasi certa per la Germania. Alcuni indicatori per gli Stati Uniti segnalano che la crescita negativa potrebbe già essere iniziata, e che comunque si materializzerà nel 2023. L’effetto è una riduzione della crescita mondiale al 3,2% nel 2022 e al 2,9% nel 2023, con un abbassamento rispetto alle precedenti stime rispettivamente di quaranta e settanta punti base. Per gli Stati Uniti, la revisione al ribasso è di centoquaranta punti base per il 2022 e di centotrenta punti base per il 2023. In parallelo, aumenta anche il rischio inflazione, che ci si attenda rimanga alta fino alla fine del 2024. Ma le cattive notizie non finiscono qui. Il perdurante scenario di incertezza, che è alimentato da più sorgenti - a partire dalla guerra in Ucrania e passando per il proseguimento delle quarantene in Cina - ha spinto l’Fmi a proporre uno scenario macroeconomico alternativo, più pessimistico, in cui vi è una ulteriore caduta della crescita – rispettivamente sessanta e novanta punti base nei due anni – con un aumento dell’inflazione di cento punti base. E la politica monetaria? Le indicazioni del Fondo possono essere così riassunte, semplificate, ed anche tradotte, eliminando il diplomatichese: arrivati a questo punto, occorre mettere in soffitta il gradualismo monetario, rendendo più restrittive le politiche monetarie, ed essendo disposti a pagare un costo in termini di crescita e di occupazione magari maggiore di quello atteso, ma comunque minore di quello che si dovrebbe pagare se le banche centrali posticipassero ulteriormente il cambio di atteggiamento. Sono indicazioni che possiamo immaginare suonino come musica alle orecchie di chi oggi dovrà decidere la politica monetaria a Washington. Ma un però è d’obbligo. Il però è rammentare come si è “arrivati a questo punto”. La premessa indispensabile è ricordare sempre perché le banche centrali devono essere indipendenti: bisogna dare ai banchieri centrali la possibilità di poter dire no ai politici ed ai mercati finanziari, avendo un occhio lungo, nell’interesse dell’economia. Altrimenti, aumenta il rischio che il banchiere si comporti come un burocrate: massimizza il suo tornaconto personale, pensando alla carriera presente e futura, quindi sorridendo a chi di quelle carriere è arbitro, cioè i politici ed i mercati. La Fed non è una banca centrale indipendente, è quindi la chiave di lettura più efficace per spiegare il comportamento di Powell e colleghi nelle diverse fasi congiunturali è una sola: l’opportunismo. La normalizzazione monetaria che la Fed sta instaurando è una strategia che può riassumersi in una frase: navigare a vista, facendo quello che piace ai Democratici ed ai mercati. Se piace ad entrambi tanto meglio. Per cui, come è stato trascurato il rischio inflazione, si trascura il rischio recessione. Se poi la recessione arriva davvero, saranno felici i Repubblicani, guardando alle prossime presidenziali. Tutti felici, le poltrone sono salve. E l’Fmi? Potrà sempre dire: io l’avevo detto! 



Borse Listini nervosi per la Fed Rialzo dei tassi verso i 75 punti

 

Hanno pesato i timori della recessione, l’attesa per le trimestrali e la paura concreta di ulteriori rialzi dei tassi da parte delle banche centrali. Così le Borse europee ieri si sono tinte di rosso. Non è bastato l’accor - do raggiunto dai Paesi Ue, per contenere la domanda di gas e contrastare la dipendenza degli approvvigionamenti dalla Russia. E non è bastata nemmeno la forte accelerata espressa durante la seduta di Bruxelles verso le fonti green, che si tradurranno in investimenti per il comparto. Le attenzioni della giornata sono andate tutte alla Fed e alle decisioni che prenderà il suo presidente Jerome Powell oggi. BENE SOLO GLI ENERGETICI A Piazza Affari hanno respirato solo gli energetici, spinti dal rialzo del prezzo del petrolio. A mettersi in evidenza è stata Italgas, che ha presentato ricavi in crescita del 6% nel primo semestre, ed Eni. Quest’u l t ima ha beneficiato anche dell'annuncio della scoperta nel bacino Berkine Nord nel deserto algerino. Una scoperta che, come sottolineano gli analisti di Banca Akros, «conferma che la strategia del gruppo è efficace e migliora la visibilità dei target di produzione di Eni». Sotto la lente è stata, invece, Saipem, che oggi pubblicherà i conti del secondo trimestre dopo il maxi aumento di capitale. Per il resto il mercato si è messo complessivamente in retromarcia, con Milano che non è riuscita a rialzare la testa nemmeno dopo che il Fondo monetario ha rivisto le previsioni del Pil dell’Ita l i a portandole a +3% nel 2022. IN ATTESA DELLA FED Dalla Fed oggi ci si aspetta che continui a seguire il percorso di inasprimento monetario per cercare di fermare l’infla - zione. L’aumento dei tassi, però, potrebbe essere ancora più deciso, ovvero 75 punti base. La Banca centrale americana dovrà, comunque, mitigare la sua azione per garantire stabilità ai mercati. E dovrà tenere conto anche del fatto che Fmi ha rivisto al ribasso la stime sul Pil Usa di 1,4 punti percentuali, portandolo a 2,3%. La fiducia dei consumatori Usa, inoltre, è in calo. Vale 95,7 punti rispetto ai 97,2 attesi e i 98,7 precedenti. Nel mese di giugno anche la vendita di case nuove ha avuto una battuta d’a r re s to passando da 642mila unità a 509mila. IL SUPER DOLLARO Ancora negativo il rapporto euro/dollaro, in sintonia con la debolezza evidenziata dall'euro contro la divisa nipponica. In lieve rialzo lo spread, che si posiziona a +236 punti base, con il rendimento del BTP a 10 anni pari al 3,35%. 

Tesla Un miliardo di dollari in più nel piano annuale di spesa

 

Aumentano le spese per Tesla. In un documento depositato presso la Sec il colosso dell’auto elettrica ha aggiornato il proprio piano di spesa annuale, rivelando di prevedere tra i 6 e gli 8 miliardi di spesa annuali per quest’anno e per i successivi due, fino al 2024. Un aumento forse legato anche alle difficoltà a far carburare la produzione nelle nuove fabbriche aperte in Texas e in Germania. Siti che, stando alle parole del ceo Elon Musk, bruciano miliardi di dollari considerate le difficoltà di reperimento di materie prime e ai problemi di consegna dalla Cina. MUSK CONTRO LA SEC Ma nel documento è emersa una seconda citazione in giudizio della Sec nei confronti di Musk in relazione a un accordo fatto nel 2018. In que l l ’occasione Musk aveva rivelato tramite Twitter informazioni relative alla società sostenendo di avere «finanziamenti assicurati» per delistare la società e venendo accusato di aver frodato gli investitori. Per chiudere la causa Musk e Tesla si erano accordati con la Sec per far approvare i tweet a un avvocato della società prima della pubblicazione nel caso in cui ci fossero state informazioni relative a Tesla. Un accordo che Musk ha violato a inizio anno e da cui sta cercando di uscire. Tanto che ha giugno ha fatto appello per annullare l’ac - cordo del 2018, sostenendo che mini il suo diritto di libertà di parole. L’APPELLO DELLE ONG Intanto ieri decine di organizzazioni non governative hanno inviato una lettera aperta a Musk. La richiesta al capo della Tesla è di non investire nell'industria del nichel indonesiana per questioni ambientali. Tra i firmatari della lettera ci sono Wahana Lingkungan Hidup Indonesia e Friends of the Earth United States e segue l’incontro del presidente indonesiano Joko Widodo con Musk in Texas a maggio per discutere di potenziali inves t i m e nt i . L’Indonesia ha sul suo territorio alcune tra le più grandi riserve di nichel del mondo. Un valore che il presidente indonesiano è desideroso di valorizzare sviluppando u n’industria dei veicoli elettrici a base di nichel a livello nazionale. Le Ong hanno affermato nella lettera che il danno ambientale deriverebbe dall'abbattimento delle foreste per l’estrazione di nichel e dal rischio di inquinamento delle acque.

Walmart lancia l’allarme «I consumatori spendono solo per il cibo»

 

In attesa che la Fed sveli la nuova mossa sui tassi, a preoccupare è l’impatto dell’inflazione sugli utili delle società. Lunedì, a mercati chiusi, ha lanciato il suo profit warning il colosso dei supermercati a stelle e strisce Walmart, che ieri a Wall Street è crollata dell’8,5% a 120 dollari . Il gigante delle vendite al dettaglio americano ha annunciato che il reddito operativo scenderà tra il 13 e 14% nel secondo trimestre e tra l’11 e il 13% nell’intero 2022. Durante l’ultima call con gli analisti, il gruppo aveva detto che il reddito operativo sarebbe rimasto pressoché piatto o leggermente al rialzo nei tre mesi da aprile a giugno e in calo solo dell’1% per l’intero anno. REVISIONE DELLE STIME Una netta revisione della guidance causata dall’a lta inflazione che ha fatto diminuire la domanda dei consumatori. L’a m m i n i s trato re delegato di Walmart, D oug McMillon, ha sottolineato in una nota che «il modo in cui i clienti spendono è fortemente influenzato dai crescenti livelli di inflazione alimentare e del carburante. Per questo», ha aggiunto, «la società sta riducendo le scorte di categorie particolarmente critiche come elettrodomestici e mobili, ma ha dovuto aumentare i ribassi sull’abbi g l i a m e nto » . Un altro fattore che ha inciso negativamente sui profitti di Walmart è la forza del dollaro americano - tornato sulla parità rispetto all’eu ro - che sta colpendo anche molte altre aziende che producono una buona parte degli utili all’estero. L’e f fetto cambio, infatti, ha determinato perdite per circa 1 miliardo di dollari nel secondo trimestre alla società con sede a Bentonville, Arkansas. E nella seconda metà dell’anno l’azienda si aspetta un impatto valutario che si aggira intorno agli 1,8 miliardi di dollari. MARGINI PIÙ BASSI Walmart comunque ha affermato di attendersi un aumento delle vendite del 6% dei prodotti alimentari, un incremento maggiore rispetto al 4-5% stimato in precedenza. Ma il problema è che i generi alimentari hanno margini di profitto più bassi rispetto ai beni discrezionali e questo alla fine peserà molto sui profitti dell’a z ie n d a . Il cambiamento nelle preferenze dei consumatori dovuto a cause di forza maggiore è un grande problema anche per le strategie di crescita future. L’azienda, infatti, vorrebbe investire nel suo servizio di abbonamento Walmart +, ma in questo momento la vendita di questo servizio potrebbe essere molto arduo con gli americani che hanno dato la priorità ad altre cose. Inoltre, un numero crescente di prodotti generici, come l’abbi - gliamento e gli articoli per la casa, potrebbero accumularsi sugli scaffali. MAGAZZINI PIENI La preoccupazione degli investitori è che le catene di negozi facciano sempre più fatica a vendere i prodotti diversi dall’alimentare che quindi potrebbero essere svenduti a basso prezzo per eliminarli dai magazzini. Secondo James Knightley, capo economista internazionale di ING, una domanda più debole potrebbe costringere i rivenditori ad accettare margini più bassi pur di scaricare le scorte invendute. Questa non è certo una buona notizia per le imprese, ma potrebbe aiutare la politica della Fe - deral Reserve, che sta cercando in tutti i modi di abbassare l’i n f l a z io n e. Una preoccupazione quella dell’invenduto che si sta allargando anche ad altri colossi del largo consumo come A m a zo n , Ta rget , C o s tc o e Home Depot. I negozi stanno moltiplicando gli sforzi per evitare l’i nte r r uzione della catena di approvvigionamento durante le vacanze estive, ma nel frattempo dovranno fare i conti con l’accumulo delle s c o rte.

giovedì 28 luglio 2022

Gli anziani? Hanno la casa E tengono i risparmi in contanti in banca

 

Gli anziani? Hanno quasi tutti una casa di proprietà, godono di una certa solidità patrimoniale (ma tengono i risparmi sotto il materasso ovvero in banca), in molti sono affetti da patologie croniche ed in testa alle paure hanno quella di non essere più autosufficienti. Sono comunque ben organizzati con figure familiari e e strutture sanitarie di riferimento, E’ il quadro che emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Tendercapital-Censis dal titolo "La Silver Economy tra nuove incertezze e prossimità". Il dossier ha l'obiettivo di offrire un quadro sulle condizioni degli anziani in un contesto socioeconomico in rapida evoluzione, che va oltre il trauma pandemico. Uno scenario caratterizzato dalle incertezze che eventi come la guerra in Ucraina o l'aumento dell'inflazione stanno generando nelle vite quot id i a n e. Dallo studio emerge l'importanza per gli anziani del denaro contante, che li fa sentire in grado di affrontare alcuni degli effetti delle proprie vulnerabilità. In particolare, il valore soggettivo, psicologico del cash è superiore ai costi economici amplificati dall'inflazione. Infatti, il 54,3% degli anziani non ha alcuna intenzione di utilizzare per investimenti il risparmio che detiene in contanti, mentre il 13,6% non ha un'idea precisa e il 32,1% è pronto a traghettare la liquidità in qualche inves t i m e nto. LISTE D’ATTESA Tra gli anziani con almeno 75 anni quasi la metà (47,8%) soffre di multicronicità, con conseguenze rilevanti sulla vita quotidiana, quota che sale a oltre il 55% nel SudIsole, ed è più alta tra le donne (52,4%) rispetto agli uomini (40,9%). Al vertice della graduatoria delle paure percepite degli anziani si colloca la non autosufficienza, indicata dal 44% degli anziani. Anche se il periodo pandemico ha rinsaldato il legame tra cittadini e welfare, oltre il 69,1% degli anziani dichiara che durante l'anno ha provato a prenotare appuntamenti con specialisti o per sottoporsi a esami attraverso il Servizio sanitario nazionale trovando, però, liste di attesa molto lunghe. Oggi il 62,3% degli anziani ha un'abitazione con figli o fratelli che vivono in prossimità, a poca distanza il 79,6% ha il proprio medico di medicina generale, il 92,7% ha una farmacia di riferimento, il 31,4% un Pronto soccorso o un ospedale. Inoltre, al tempo del digitale la fisicità resta un requisito importante del quotidiano degli anziani, ad esempio nel rapporto con i servizi, inclusi quelli della Pubblica Amministrazione: il 59,2% si rivolge fisicamente allo sportello dell'ente. VITA PIÙ LUNGA In dieci anni le persone che hanno almeno 65 anni sono aumentate di oltre 1,5 milioni. È eccezionale la performance di coloro che hanno superato gli ottant'anni, aumentati del 22,7%, fino a raggiungere gli attuali 4,5 milioni pari al 7,6% della popolazione. Onda grigia che sale, mentre la popolazione totale si riduce di oltre 1,1 milioni di persone. (Attualmente le province italiane con quota più alta di anziani sul totale della popolazione sono Savona (29,7%), Biella (29,6%), Genova (29,1%). L'incidenza degli anziani sul totale della popolazione è cresciuta molto nelle province sarde, in alcune pugliesi e calabresi e in quella di Frosinone (+4,4%). Per Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis: «È l'incertezza il male maggiore per gli anziani. Che comunque sanno affrontare» La ricerca evidenzia come occorra ridisegnare il sistema welfar per un’Italia più vanti con gli anni.

Amazon Prime consegna i rincari Abbonamenti fino al 40% in più

 

Si accendono i rincari degli abbonamenti. L’ultimo annuncio è quello di ieri di Amazon. Dopo gli aumenti negli Stati Uniti, arrivano infatti i ritocchi di prezzo anche in Italia per il servizio Prime: si passa da 3,99 a 4,99 euro al mese (+25%), mentre la sottoscrizione annuale passerà invece da 36 euro a 49,90 euro (+38,6%). CI SONO ANCHE GLI ALTRI Ma ad annunciare la stangatina era stata anche Dazn. A partire da settembre, la piattaforma metterà a disposizione degli utenti due diversi tipi di abbonamento. La versione “s ta n d a rd ” da 29,99 euro al mese e la versione “p lu s” da 39,99 al mese. Che fine farà la vecchia promozione da 19,99? E l i m i n ata . Stesso discorso per Netflix , che dopo l’annuncio di aumenti negli Usa da 8,99 dollari a 9,99 dollari al mese e in Canada si appresta al ritocco anche nel nostro Paese. Anche Disney + è sulla stessa lunghezza d’onda. Da febbraio scorso il rincaro è pari a 2 euro al mese, quindi a 24 euro all’anno . Infine aumenti per Tim Vision: il costo mensile dell’of - ferta Mondo Disney+ che include i servizi di Tim Vision e quelli di Disney+ con prezzo di 4,99 euro al mese aumenterà di 3 euro al mese. Però fino al 31 luglio c’è una offerta calcio compreso a 19,99 euro al mese per 12 mesi. LETTERA AGLI UTENTI Tornando all’annuncio di ieri di Amazon Prime, la società spiega che si tratta del primo aumento dal 2018. «È la prima volta che modifichiamo il prezzo di Prime in Italia dal 2018. Nel frattempo – s c r ive Amazon in una comunicazione via email diretta ai clienti – abbiamo ampliato la selezione di prodotti disponibili con consegna Prime veloce illimitata, senza costi aggiuntivi; abbiamo attivato e migliorato la consegna di generi alimentari con Amazon Fresh; e abbiamo aggiunto sempre più intrattenimento digitale di qualità, come serie TV, film, musica, giochi e libri. In particolare, Prime Video ha ampliato la raccolta di serie e film Amazon Originals e ha attivato l'accesso allo sport dal vivo, come la Uefa Champions League».I nuovi prezzi entreranno in vigore a partire dal 15 settembre 2022, in occasione del primo rinnovo. E comunque, a conti fatti si tratta di aumenti più elevati rispetto al + 17% del prezzo dell’abb on amento Prime entrato in vigore per i nuovi abbonati negli Stati Uniti a febbraio. I MOTIVI Quanto alle ragioni, nella sua email ai clienti Amazon segnala «l’aumento generale e sostanziale dei costi complessivi dovuti all’inflazione che incide sui costi specifici del servizio Amazon Prime e si basano su circostanze esterne fuori dal nostro controllo». Insomma, un «cambiamento importante» come recita l’in - testazione dell’email che avviene alla vigilia della presentazione dei conti (il 28 luglio) dopo aver archiviato la prima trimestrale in rosso dopo sette anni di crescita continua. Un cambiamento per un servizio che comunque offre un pacchetto nutrito. Le consegne veloci (anche nei weekend) di moltissimi prodotti comprati su Amazon. Poi ci sono gli ebook di Prime Reading, lo spazio illimitato per le foto con Amazon Photos (fino a 5 GB per i video) e c'è anche Prime Gaming. Fra i servizi c’è anche Prime video, la piattaforma di video on demand che compete com Netflix e Disney+ e che Amazon ha voluto  rendere più “app et ibil e” a ggiudicandosi la trasmissione in esclusiva della migliore partita del mercoledì della Champions League per il triennio 2021-24. Una quarta via dei diritti Tv diventata killer application per vendere fibra e ora anche “pacch i”, dopo essere stati usati come ciliegina per i palinsesti, per vendere pubblicità e infine abbonamenti di pay tv. ALTOLÀ DEL CODACONS Mentre la famiglie fanno i conti - dopo quella di alimentari, viaggi, luce e gas, anche della stangata Tv - contro i nuovi rincari insorge il Codacons che chiede ad Amazon di fermare gli aumenti. 

Intesa Ue: l’Italia ridurrà i consumi del 7% E il prezzo del metano sfonda quota 200 euro

 

A ll ’indomani dell’a nnuncio da parte di Gazprom di un nuovo taglio alle forniture di gas alla Germania attraverso il Nord Stream, l’Eu - ropa si ricompatta e approva il Piano di riduzione dei consumi in vista del prossimo i nve r n o. L’accordo politico è stato raggiunto ieri al C o n s i g l io Affari Energia con una deroga rispetto ai piani iniziali di Bruxelles: il taglio (che sarà deciso dal Consiglio Ue e non dalla Commissione) potrà scendere dal 15% fino al 7%. La riduzione obbligatoria di otto punti della domanda di metano avverrà, si legge nel testo, «a condizione che gli Stati dimostrino che la loro interconnessione con altri Stati membri in capacità tecnica di esportazione rispetto al loro consumo annuale di gas nel 2021 è inferiore al 50% e che la capacità sugli interconnettori verso altri Stati membri è stata effettivamente utilizzata per il trasporto di gas a un livello di almeno il 90% fino al mese prima». Il principio di solidarietà invocato da più parti – Italia inclusa - ha preso così il sopravvento sul taglio lineare per tutti. LE ESENZIONI Nel nuovo Piano è confermato il riferimento al price cap, anche se solo nel preambolo. Unico neo è stata l’opposizione dell’Ung h e r ia , il cui voto contrario è stato comunque ininfluente essendo sufficiente la maggioranza qualificata. Budapest è la sola capitale europea ad andare in controtendenza avendo stipulato giovedì scorso un nuovo contratto con Mosca per ulteriori 700 milioni di metri cubi di metano. Intanto, la commissaria europea al l’Energia, Kadri Simson, ha rassicurato sul fatto che «il riempimento dei depositi sotterranei di gas continua» ed è «al 66%». «Nelle ultime settimane gli Stati membri sono riusciti ad attirare più gas di quello che consumano in estate», ha precisato. Per l’Italia il riempimento degli stock «ha superato il 70%, stiamo andando verso il 71%, quindi direi che stiamo bene», ha riferito il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, intervenendo al Consiglio. Cingolani ha anche precisato l’e nt i tà del taglio che spetta al nostro Paese: «Nel caso dell’Ita l i a , con le regole sviluppate, dovremmo risparmiare il 7% rispetto alla media degli ultimi cinque anni. E noi abbiamo già previsto un piano di risparmio che è uguale o superiore a questo numero». «Accolgo con grande favore l'approvazione da parte del Consiglio del regolamento per ridurre la domanda di gas e prepararsi all'inverno. E’ un passo decisivo per affrontare la minaccia di u n’interruzione totale del gas», ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. «Grazie alla decisione odierna, l’Europa è ora pronta ad affrontare la sua sicurezza energetica, come Unione». Anche la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock ha salutato positivamente il piano di emergenza. «E’ una straordinaria notizia», ha affermato, «noi così sottolineiamo che non ci lasciamo dividere: come Stati Ue, infatti, potremmo anche scontrarci, dal momento che il gas è così scarso. Sappiamo che la nostra forza è la coesione e questo proprio in tempi non facili». Proprio Berlino nella prima mattinata aveva chiesto, per bocca del ministro dell’Economia, Robert Habeck, di mandare «un segnale forte a Putin» nel giorno in cui i flussi di gas del Nord Stream 1 si sarebbero ridotti di un ulteriore 20%. «E’ un testo equilibrato e adatto alla realtà, con le deroghe per i Paesi che non hanno la capacità di tagliare a quella quota», gli ha fatto sponda la ministra della Transizione Energetica francese Agnes Pannier-Run ach e r. «Oggi (ieri, ndr) è importante dare un messaggio di un’Ue unita, solidale, che si organizza in anticipo. Se viene colpita l’industria tedesca sarà tutta l’i n du s tr i a europea ad essere coinvolta » . L’ACCENNO AL PRICE CAP Mentre Mosca continuava ad addossare la responsabilità dei minori flussi ai problemi di manutenzione delle turbine, il gas riprendeva a correre sui mercati registrando una impennata fino a 197 euro al megawattora (+11%) ad A m s te rd a m , per ripiegare a 193 euro e poi rimbalzare di nuovo fino a superare quota 2 0 0. L’Europa ha mostrato di voler reagire ulteriormente spingendo sull’ac ce le ratore del price cap. «La Commissione sta valutando con urgenza le diverse possibilità di introdurre tetti di prezzo per il gas», recita una dichiarazione redatta da Bruxelles a corredo dell'accordo sul Piano, e «a tal fine consulterà gli Stati membri (e i partner internazionali, se del caso) e riferirà in autunno con proposte specifiche, se n e c e s s a r io » . 

«Il costo delle bollette? Non ci sarà nessun calo per tutto il 2023»

 



Sul listino di Amsterdam il prezzo del gas ha sfondato ieri la soglia psicologica dei 200 euro a megawattora (e pensare che nel luglio del 2020 il prezzo veleggiava tranquillo attorno a 4,50 euro), ma a preoccupare è forse soprattutto l’aumento del costo dei contratti a lungo termine. Segno che le bollette rimarranno alte anche il prossimo anno. E’ questa la convinzione di Gianclaudio Torlizzi, esperto di materie prime, autore del saggio per molti versi profetico (è uscito nel 2021) Materia rara, e fondatore della società di consulenza finanziaria T-Comm o d i ty. «E’ una situazione abbastanza drammatica, non ci sono dubbi», ha detto ieri Torlizzi commentando con l’Agi proprio l’au m e nto delle quotazioni del gas sul mercato olandese, dopo una leggera e illusoria mini-flessione che ha fatto seguito all’annuncio dell’ac - cordo europeo sulla riduzione dei consumi di metano fino al 15 per cento questo inverno. Ma «più che la fiammata del prezzo mensile legato anche a chiusure di posizioni al ribasso», ha continuato Torlizzi, «l’aspetto realmente preoccupante è l’au m e nto del costo dei contratti a lunga scadenza, cosa che evidenzia la crescente consapevolezza del mercato che non ci sarà alcun allentamento dei prezzi almeno per tutto il prossimo anno». FOLLIE GREEN Le ricadute nel medio-lungo periodo saranno devastanti non solo in ambito economico ma anche sociale. «Il contratto a un anno dell’elettricità ha toccato il record storico di 366 euro per Mwh e, giusto per fare un paragone, il valore medio del decennio 2010-2020 è stato di 41 euro: siamo di fronte a un vero e proprio stravolgimento che andrà a impattare in maniera notevole sulla produzione industriale europea». Senza mezzi termini, il rischio è che tutto questo si traduca in pesanti fermi produttivi già a settembre al rientro dalle vacanze, con le immaginabili conseguenze per occupazione, prodotto interno lordo e produzione i n du s tr i a l e. In uno scenario stravolto dalla guerra in Ucraina e di forte incertezza, conclude Torlizzi, sarebbe stato necessario «rivedere o sospendere i piani climatici: già volersi affrancare velocemente dalle forniture di gas russe è un’opera titanica, volerlo fare mantenendo i piani di riduzione di Co2, che già prima della guerra avevano creato crisi energetiche, sarà quasi imp o s s i bi l e » . Ma come si sa le ricadute della guerra economica con la Russia non sono le stesse in tutto l’O c c id e nte. Gli Stati Uniti possono in parte sorridere, essendo diventati, nella prima metà d el l ’anno, il principale esportatore di gas naturale liquefatto nel mondo. NON TUTTI PIANGONO Merito soprattutto del nuovo mercato europeo, dove gli americani, sostituendo in parte i russi con un prodotto più costoso, hanno venduto il 68 per cento dei 57 miliardi di metri cubi di gnl esportati nei primi sei mesi dell’a n n o. Tra gennaio e giugno gli Stati Uniti hanno inviato nel vecchio continente più gas di quello esportato in tutto il 2021. Il ritmo però rallenterà necessariamente nella seconda parte dell’anno, dopo la chiusura a giugno, in seguito ad un incendio le cui cause sono ancora misteriose, del centro di esportazione Freeport Lng, sul golfo del Texas, che non tornerà alla piena operatività fino alla fine dell’a n n o.

La Corte dei conti europea smonta il piano per l’autonomia energetica

 

Il piano RepowerEu, presentato dalla Commissione europea lo scorso maggio, era stato “ve n duto” (anche) come un pacchetto da 210 miliardi di euro di finanziamenti, che avrebbero accompagnato di qui al 2027 la transizione energetica e il processo di affrancamento degli europei dalle forniture di gas russo. In realtà si tratta di fondi già stanziati precedentemente (si dovrebbe attingere soprattutto dai 225 miliardi di prestiti del dispositivo europeo di ripresa e resilienza che non sono stati ancora prenotati dai paesi membri della Ue per finanziare i vari Pnrr nazionali), ma anche così i soldi sicuramente disponibili non superano i 20 miliardi di euro, ha detto ieri la Corte dei conti europea, di fatto bocciando una misura chiave dello sforzo europeo per emanciparsi dalla dipendenza da Mosca. PIANI SOVRAPPOSTI « L’invasione dell’Ucrai na da parte della Russia ha acceso i riflettori sulla nostra dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone, e l’Ue doveva assolutamente agire e rispondere rapidamente alle aumentate preoccupazioni in materia di sicurezza energetica», ha spiegato ieri la croata Ivana Maletic, uno dei membri della Corte europea. Corte che, ha continuato la Maletic, «è dell’av - viso che RepowerEu, nella sua forma attuale, potrebbe non riuscire ad individuare ed attuare rapidamente progetti strategici dell’Ue aventi un impatto massimo ed immediato sulla sicurezza e l’i n d i p e n d e nza energetiche dell’Un ione». Il problema sta proprio nella sovrapposizione tra il piano per l’auto no mi a energetica europea e gli stanziamenti decisi a suo tempo per far fronte agli effetti della pandemia (quelli che in Italia danno corpo al Pnrr). Indirizzare i fondi originariamente stanziati per la ripresa economica a investimenti nel settore dell’energia sarà più difficile di quanto la Commissione europea abbia dato mostra di credere nei mesi scorsi. A parte una ventina di miliardi, infatti, il resto dei soldi «sono al di fuori del controllo della Commissione e dipendono dalla volontà degli Stati membri di utilizzare i restanti prestiti del Recovery e Resilience Facility (Rrf ) o di stornare fondi da altre politiche dell’Ue, in particolare da quelle per la coesione e lo sviluppo rurale», si leggeva ieri in un comunicato stampa con cui la Corte dei conti europea riassumeva i punti principali del suo parere. Ecco perché «l’importo totale dei finanziamenti effettivamente disponibili potrebbe non essere sufficiente a coprire il fabbisogno d’i nvestimento stimato». RIPARTIZIONE DEI SOLDI Problematica, secondo la Corte Ue, è la ripartizione dei soldi tra gli Stati membri. Infatti, si legge ancora nel comunicato, «visto che i fondi verrebbero distribuiti in percentuali basate su quelle inizialmente utilizzate per l’Rrf, non rifletterebbero né le sfide e gli obiettivi attuali di RepowerEu né i bisogni specifici degli Stati membri». Ma non basta: «L’assenza di uno specifico termine ultimo per la presentazione dei capitoli RePowerEu riduce la probabilità che vengano individuati e promossi progetti transfrontalieri. La mancanza di qualsivoglia analisi comparativa limita la visione strategica in merito a quali progetti hanno il più alto potenziale per contribuire alla sicurezza e all’indipendenza energetiche dell’Ue. Nel proprio parere, la Corte sottolinea numerose altre debolezze che inficiano RepowerEu, anche per quanto concerne rendicontazione, monitoraggio e valutazioni ex post, nonché la presentazione e la valutazione dei capitoli R e Powe r Eu » . Il RepowerEu era stato presentato dalla Commissione di Bruxelles lo scorso 18 maggio. I due obiettivi dichiarati erano la fine della dipendenza dal gas russo e l’accelerazione della transizione verso fonti di energia più “pu l i te”. «Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza energetica dalla Russia il più velocemente possibile. E’ un obiettivo che possiamo raggiungere», giurava quel giorno la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen. PER L’ITALIA C’È POCO Articolato in quattro punti, il piano si propone di ridurre i consumi di gas e petrolio, diversificare le importazioni, aumentare l’uso delle rinnovabili e infine, come si diceva, attingere ai fondi non utilizzati per i piani di ripresa post pandemica (e ad altri fondi di minore entità). All’epoca la presidenza del Consiglio aveva fatto notare che per il nostro paese i margini per nuovi finanziamenti erano strettissimi: l’Italia infatti ha già chiesto tutti i prestiti che poteva chiedere per finanziare il proprio Pnrr, quindi ora potrà solo eventualmente utilizzare i fondi che non saranno richiesti da altri.

Fmi: rischio recessione (dal 2023)

 

Il mondo potrebbe ritrovarsi sull’orlo di una recessione nel 2023, quando la crescita toccherà il minimo in diversi Paesi. Guerra e inflazione sono gli ingredienti del progressivo peggioramento delle prospettive. Secondo l’Fmi, la crescita globale nel 2022 dovrebbe rallentare al 3,2%, mentre la crescita attesa per il 2023 si dovrebbe fermare al 2,9%. Italia in controtendenza (+3% quest’anno, ma solo +0,7% nel 2023). Negli Stati Uniti e nell’Eurozona l’aumento del Pil potrebbe però sfiorare lo zero l’anno prossimo. Preoccupa anche l’economia cinese a causa dei lockdown. Il nemico numero uno è l’inflazione.Il prezzo dell’invasione russa dell’Ucraina e dell’inflazione record diventa sempre più alto: il Fondo monetario internazionale abbassa ancora le stime di crescita del Pil globale e alza quelle sui prezzi, guardando con preoccupazione alle pesanti incognite che potrebbero trasformare la frenata in brusco stop, se non addirittura in recessione. Uno scenario «plausibile», che penalizzerebbe soprattutto Europa e Stati Uniti. «Le prospettive si sono notevolmente oscurate in pochi mesi. Il mondo potrebbe presto ritrovarsi sull’orlo di una recessione», avvisa il capoeconomista dell’Fmi, Pierre-Olivier Gourinchas. Nel World Economic Outlook pubblicato ieri, le revisioni al ribasso più significative, per l’anno in corso, riguardano Usa e Cina. In controtendenza l’Italia, che potrebbe chiudere il 2022 con una crescita superiore alle attese. Questo almeno lo «scenario base», che vede l’economia globale rallentare al 3,2% quest’anno, 0,4 punti percentuali in meno rispetto alle stime di aprile. Nel 2023, la crescita, zavorrata dalle manovre anti-inflattive delle banche centrali, sarà ancora più bassa e si fermerà al 2,9% (con un taglio dello 0,7%). A questo scenario, già poco incoraggiante, l’Fmi ne accosta uno che porta a previsioni di crescita ancora più debole. I rischi sono consistenti e arrivano da molteplici fronti: primo tra tutti, quello del gas. La guerra in Ucraina potrebbe portare allo stop degli approvvigionamenti russi in Europa, con pesanti conseguenze su prezzi e crescita economica. Concatenato al conflitto in Ucraina, c’è il rischio inflazione, che potrebbe rivelarsi più difficile del previsto da domare. In generale, si prevede che l’aumento dei prezzi torni a livelli pre-pandemici entro la fine del 2024. Tuttavia, avvisa l’Fmi, ulteriori shock sui prezzi di cibo ed energia potrebbero far aumentare notevolmente l’inflazione e innescare ulteriori strette monetarie, con il rischio di spingere le economie in stagflazione. Altre incognite riguardano i mercati emergenti, che rischiano gravi crisi del debito, e nuovi lockdown in Cina. «In un plausibile scenario alternativo, nel quale alcune di queste ipotesi si realizzano, incluso lo stop totale all’export di gas russo verso l’Europa, la crescita globale scenderebbe a circa il 2,6% nel 2022 e al 2% nel 2023», scrive il capoeconomista dell’Fmi, Gourinchas. In questo scenario, «sia gli Usa che l’Eurozona registrerebbero crescita prossima allo zero nel 2023». L’Unione europea sarebbe particolarmente penalizzata, «con una crescita di 1,3 punti più bassa rispetto allo scenario base». E negli Stati Uniti, alcuni indicatori suggeriscono che la recessione tecnica sia già in atto. «Il rischio recessione è particolarmente significativo nel 2023, quando in diversi Paesi la crescita toccherà il minimo», i risparmi delle famiglie si saranno prosciugati e «anche piccoli shock potrebbero mandare in stallo le economie», avvisa il Fondo. Nei Paesi avanzati ad alto debito, l’aumento dei tassi, insieme alla crescita bassa, farà salire gli spread. Anzi, sottolinea l’Fmi, già si assiste a una divergenza nei tassi di finanziamento con rischi di frammentazione nell’area dell’euro, che alimentano preoccupazioni sulla corretta trasmissione della politica monetaria. Anche nello scenario base, quello meno pessimistico, gli Stati Uniti pagano un prezzo molto alto. La frenata di inizio anno, il calo dei consumi e la stretta della Fed spingono l’Fmi ad abbassare le previsioni di crescita di 1,4 punti percentuali per il 2022, al 2,3% (rispetto alle stime di aprile). L’aumento del Pil sarebbe solo dell’1% nel 2023 (-1,3%). Sulla Cina pesano invece la crisi del settore immobiliare e i lockdown per contenere la pandemia. Le stime di crescita 2022 scendono così di 1,1 punti e si fermano al 3,3%. Nel 2023, il Pil cinese tornerà ad accelerare al 4,6% (ma meno del previsto). Anche la crescita nell’Eurozona è rivista al ribasso, di 0,2 punti percentuali nel 2022, al 2,6%. Le migliori prospettive per il turismo e l’attività industriale in Italia sono più che compensate dai significativi declassamenti in Francia, Germania e Spagna. La frenata nel 2023 sarà più brusca: 1,1 punti percentuali in meno di crescita in meno e Pil fermo all’1,2%, a causa delle ricadute della guerra in Ucraina e della stretta monetaria della Bce. L’Italia vede le proprie previsioni di crescita per il 2022 salire al 3%, 0,7 punti in più rispetto alle stime di aprile. Ma l’anno prossimo perderà un punto, con aumento del Pil fermo allo 0,7%. La raccomandazione del Fondo è di portare avanti le riforme e i programmi avviati nell’ambito del Pnrr, qualsiasi Governo sia in carica. Le previsioni sulla Germania registrano una forte correzione quest’anno (-0,9% rispetto ad aprile, con crescita all’1,2%) e ancora più marcata nel 2023 (-1,9%), quando l’aumento del Pil si fermerà sotto l’1%. Robusta la crescita della Spagna: 4% nel 2022, che si dimezza però nel 2023. «Con l’aumento dei prezzi che continua a ridurre il tenore di vita in tutto il mondo, domare l’inflazione è la priorità», afferma il Fondo. La stretta monetaria «avrà costi economici, ma ogni ritardo non farà che aggravarli». Sostegni mirati possono aiutare ad alleviare l’impatto sui ceti più vulnerabili, ma con le finanze pubbliche messe alla prova dalla pandemia e la necessità di una politica macroeconomica disinflazionistica, «tali sostegni dovranno essere compensati dall’aumento delle tasse o dalla riduzione della spesa pubblica».