STUPIDA RAZZA

domenica 31 ottobre 2021

Blackrock, Vanguard. Così i fondi possiedono media e Big Pharma

 

Dietro la sfida dei vaccini preme la grande finanza di Wall Street. Sembra un’ovvietà, ma grattare la vernice del business di Big Pharma serve a capire (un po’) di più la geopolitica delle siringhe e il nesso tra gli interessi che a volte passano tra farmaceutica, banche e media. Prendiamo il vaccino più quotato, il più amato dagli italiani e non solo. Pfizer, gruppo da 214 miliardi di dollari, è la terza azienda farmaceutica al mondo.

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http://www.conquistedellavoro.it/global/blackrock-vanguard-cos%C3%AC-i-fondi-possiedono-media-e-big-pharma-1.2649659

Globalizzazione e conflitti di interesse

 

Questo articolo intende affrontare la delicata situazione legata alle misure poste in essere per affrontare la pandemia da un punto di vista politico (prima ancora che economico) e non sanitario.

Nel capitolo non del suo nuovo libro, “La lotta di classe nel XXI secolo”, l’economista Lidia Undiemi affronta il tema della globalizzazione.

In questo capitolo l’autrice constata come l’espansione su larga scala delle multinazionali  non sia stata controbilanciata da una coscienza politica in grado di comprenderla e assicurare un adeguato livello di lotta sindacale tesa ad assicurare una più equa redistribuzione della ricchezza.

La Conferenza delle Nazioni Unite definisce “multinazionale” ogni impresa che abbia almeno una filiale all’estero di cui detiene almeno il 10% del capitale e sulla quale esercita il controllo.

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Lo Stato Profondo e le”Elites” VOGLIONO essere sgamati!

 


Non molto tempo fa, parlavo con una persona del caso di un prete (Padre Thomas Williams) a Roma che aveva avuto una concubina/baby mama (Liz Lev) per molti anni, e di come apertamente e spudoratamente P. Williams e Liz Lev portassero avanti la loro sacrilega relazione. La persona con cui parlavo aveva ipotizzato che P. Williams, Liz Lev, o entrambi, VOLEVANO essere scoperti, volevano essere smascherati, volevano che la gente sapesse la verità, anche se entrambi erano inveterati, inguaribili, disinvolti bugiardi quando venivano interpellati sulla loro condotta sfacciatamente scandalosa. Gli confermai che effettivamente aveva ragione, volevano “essere scoperti”, ma non per il motivo che pensava lui, ovvero che volessero pentirsi per liberarsi dal peso della colpa. Avrei voluto che fosse stato così. Questo avrebbe indicato anche un solo barlume di normalità psico-spirituale. Purtroppo, la realtà è esattamente l’opposto, e lo vediamo oggi intorno a noi, ma soprattutto nel regno della politica e dell’anticristo.

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Il cargo cult dell’energia verde

 

I generatori eolici e i pannelli solari sono un sostituto dei combustibili fossili? Molta gente sembra ancora crederci, anche dopo il recente diluvio di cattive notizie su questo fronte, ma qualcuno comincia già a sospettare qualcosa.

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Catastrofismo climatico. La grande speculazione

 

Nikola Tesla lo aveva suggerito in tempi non sospetti: “La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità”.
Ad una figura del genere la grancassa mediatica di oggi non faticherebbe, più di tanto, ad appioppare l’etichetta di antiscientifico. Ad una figura del genere la c.d. controinformazione chiederebbe, invece, che cosa ne pensa dell’attuale ‘transizione verde’.
A pochi giorni dall’inizio dei lavori della COP26, con la spettacolarizzazione che questo evento si porta appresso, ComeDonChisciotte.org ha posto lo stesso interrogativo ad Alessandro Carità e Gianluca Gandini, autori del dossier “Catastrofismo Climatico. La grande speculazione”.
Questo studio, che ha il pregio di analizzare ‘in diretta’ uno dei temi cruciali del momento, offre un punto di vista critico su tutto ciò che gravita intorno al c.d. Green New Deal. L’intento è quello di fare chiarezza sulle modalità con cui le tematiche ambientali vengono prese a pretesto per avallare un passaggio epocale in termini di creazione e sfruttamento delle risorse energetiche.

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Rasi: Entro 7 giorni lockdown selettivi per non vaccinati come in Austria


 

La variante che “buca” il vaccino è già qui

 

Era solo una questione di tempo prima che apparisse un ceppo di COVID-19 resistente ai vaccini, e il momento è arrivato. Come riportato da The Conservative Treehouse il 3 ottobre 2021[1]:

“I risultati di questo studio [2] concordano in pieno con quello che aveva previsto l’esperto di vaccini Geert Vanden Bossche (Belgio). La predominanza di varianti del SARS-Cov-2 resistenti agli anticorpi nelle infezioni post vaccinali [breakthrough cases] nella San Francisco Bay Area, California …

Il Dr. Vanden Bossche utilizzando dati israeliani ha dimostrato [3] che alte percentuali di vaccinazione creano una pressione [selettiva] sul virus e lo inducono a mutare verso varianti a maggior incidenza di contagio.

Il gruppo dei non vaccinati ha tenuto bassa la pressione [selettiva] eliminando il virus e arrivando all’immunità naturale. Tuttavia, poiché la popolazione non vaccinata è sempre più ridotta, la pressione che induce il virus a mutare aumenta. Di conseguenza, queste mutazioni portano a livelli di infezione più alti o maggiormente efficaci.”

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La vera pandemia globale è la psicosi di massa

 

Si definisce psicosi di massa “un’epidemia di follia” che si verifica quando una “gran parte della società perde il contatto con la realtà e sprofonda nel delirio“. I processi alle streghe del XVI e XVII secolo ne sono un classico esempio. Ora siamo nel mezzo di un’altra psicosi di massa, indotta da un implacabile semina di paura, accoppiata alla soppressione dei dati ed a tattiche intimidatorie di ogni tipo.

Il video di 20 minuti al termine del paragrafo, “Mass Psychosis – How an Entire Population Becomes Mentally Ill,” (Psicosi di massa – Come un’intera popolazione diventa mentalmente malata), creato da After Skool e Academy of Ideas (1), spiega le tattiche usate per seminare e facilitare lo sviluppo della malattia mentale su larga scala.

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La sinistra agenda alimentare dei Rockefeller — L’hanno creata e ora vogliono distruggerla

 

Nessun gruppo ha fatto più danni all’agricoltura globale e alla qualità del cibo della Fondazione Rockefeller. Avevano iniziato dopo la guerra, nei primi anni 50, finanziando due professori della Harvard Business School affinchè sviluppassero quell’integrazione verticale che avrebbero poi chiamato “agribusiness.” L’agricoltore era così diventato l’anello meno importante di tutta la catena. Negli anni ’60 avevano poi dato vita alla fraudolente Rivoluzioni Verdi in Messico e in India e poi, in Africa, dal 2006, all’Alleanza pro OGM per una Rivoluzione Verde. Il denaro della Fondazione Rockefeller ha letteralmente creato le piante geneticamente modificate OGM e i tossici pesticidi al glifosato. Ora la fondazione è nuovamente impegnata in un grande cambiamento che interesserà l’agricoltura e l’alimentazione globale, di certo non in modo positivo.

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Energia, l’arma di Putin?

 

Con i prezzi del gas che aumentano drammaticamente in gran parte dell’Europa occidentale, e un calo nel suo transito attraverso la Bielorussia e l’Ucraina verso l’UE, molti commentatori hanno puntato il dito ancora una volta contro la Russia, come fonte di tutti i loro guai.

Per alcuni, questa è la prova che il presidente Vladimir Putin sta trasformando l’energia in arma a scapito del resto dell’Europa. Tuttavia, eventi recenti e accordi consolidati sembrano raccontare un’altra storia, meno affascinante.

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La direttrice del CDC: “Potremmo aver bisogno di aggiornare la nostra definizione di ‘completamente vaccinato'”

 

Ieri, in una conferenza stampa, la direttrice del CDC ha avvertito che potrebbero dover “aggiornare” la definizione di “completamente vaccinato.”

Alla conferenza stampa virtuale tenutasi dopo l’approvazione dei richiami “mix-and-match” [l’autorizzazione ad usare come richiamo anche un vaccino diverso da quello utilizzato per la prima dose], la dottoressa Rochelle Walensky ha detto ai giornalisti che:

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Basta propaganda: siamo seri, almeno coi morti

 

Si sa che personalmente non sono contrario ai vaccini per partito preso, tanto che ho iniziato la “carriera” di vaccinologo nel 2017 con un libro intitolato “Vaccini sì, obblighi no”. Se dovessi riscriverlo, sceglierei il titolo “Vaccini se, obblighi no”, dove il “se” indica la valutazione accurata dei rischi e dei benefici. Comunque non sono un “novax”, sono solo contrario agli obblighi vaccinali, tomba della scienza e dell’etica medica, e sono contrario alla disinformazione. Non può esservi libertà di scelta se non c’è corretta informazione.

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Siamo figli di Hobbes o di Rousseau? L’eterno dilemma sulla natura umana

 

 Asha Phillips è una psicoterapeuta inglese che ha lavorato alla prestigiosa Tavistock Clinic di Londra. Nel 1999 pubblicò un libro, tradotto da Feltrinelli con il titolo I no che aiutano a crescere. In meno di dieci anni l’edizione italiana fu ristampata più di 40 volte; nel 2013 ne uscì una nuova edizione ampliata. In un Paese in cui l’intera industria editoriale fattura una frazione del Mulino Bianco, è un successo straordinario: b est - selle r e lo n g - selle r insieme, un testo che risponde in modo adeguato e durevole alle aspettative di un ampio pubblico. Viene da chiedersene i mot iv i . Consideriamo un esempio che illustra la tesi di Phillips. Johnny, di due anni, è al supermercato, vorrebbe essere altrove e protesta. La madre, per calmarlo, gli dà un dolcetto; dopo un p o’, lui ne vuole ancora; quando lei esita, si mette a strillare; gli altri clienti osservano la scena; la madre cede. Problema: ora i dolcetti non funzionano più; Johnny li butta per terra e si dispera; la madre perde la pazienza e strilla anche lei. Soluzione: la madre deve comportarsi con fermezza e imporre la sua volontà a Johnny, evitando di premiarne le bizze e mandargli così messaggi contraddittori. Ora è il momento di fare la spesa; punto e basta. Non ho niente da dire sulla ragionevolezza o efficacia di questa soluzione. Quel che voglio sottolineare, e su cui ho qualcosa da dire, è la logica che vi soggiace: il quadro di riferimento filosofico che la informa. Il titolo italiano del libro di Phillips contiene la parola «crescere», da intendere non tanto in senso fisico quanto nel senso di una persona che matura e raggiunge la sua pienezza emotiva e intellettuale. Phillips sostiene che tale maturazione richiede lo stabilirsi di precisi confini, che solo quando l’a m bie nte inibisce (mediante negazioni e rifiuti) l’espressione immediata e spontanea dei desideri di un soggetto in fase di crescita la maturazione avviene nel modo corretto. E, per trovare questa tesi plausibile e allettante, è necessario accettare una specifica posizione filosofica. Due visioni principali si confrontano sul tema della natura umana. Nell’ant ica filosofia greca si tendeva a guardare a tale natura con ottimismo e a esprimere sospetto verso gli influssi esercitati dalla società. S oc rate riteneva che il vizio fosse sintomo di ignoranza, quindi di un fallimento educativo; P l ato n e era convinto che favole e pratiche dissennate corrompessero i giovani e aveva escogitato una forma di governo dove non circolassero assurdità del genere; A r i s totel e c o n f id ava che, se allevati in presenza di idonei modelli di ruolo, i cittadini avrebbero abbracciato l’eccellenza, e il piacere, della virtù. Sul versante opposto troviamo l’antropologia giudeo-cristiana: nell’A ntico Testamento, un dio geloso e dispensatore di tormenti che incita i fedeli a adottare misure analoghe (non risparmiando ai fanciulli la verga); poi, dopo la breve parentesi di un mite predicatore galileiano che invita all’amore universale (come farà, millenni dopo, Joh n Lennon - anche lui una breve parentesi), le prediche quaresimali di Paolo di Tarso contro le insidie della carne e, a cristallizzare questo atteggiamento, la strenua difesa da parte di A gos ti n o del peccato originale. Il monaco Pel a g io, il quale sosteneva che Adamo non aveva contaminato la natura umana e ogni essere umano è libero di scegliere il bene, fu giudicato eretico e si affermò invece l’opinione che la natura umana fosse corrotta e non in grado di redimersi da sola, senza l’i nte rvento soprannaturale della grazia divina. In attesa di tale intervento, andava repressa e mortificata, perché ogni suo impulso è depravato e maligno. Nella modernità, lo stesso contrasto si pone fra H o bbes e R ou s s eau . Per Hobbes, l’essere umano nello stato di natura è governato da avidità, diffidenza e ambizione. Di solito, la diffidenza ha la meglio: la paura che tutti provano nei confronti di tutti gli altri. Nasce così la società, frutto di un accordo in cui ciascuno acconsente a reprimere quel che gli verrebbe naturale per aver salva la pelle, e nasce la morale, cioè l’insieme di regole che la società impone e che ciascuno accetta, in mancanza di meglio e sotto la minaccia di finire molto peggio. Per R ou s s eau , quello di Hobbes è un mondo alla rovescia. Le pulsioni naturali dell’e s s e re umano sono l’istinto di sopravvivenza e la compassione. Immaginate un incidente, una catastrofe, dice il Nostro; chi se non le persone umili, più strettamente a contatto con la propria natura, si precipiterà in aiuto, si prodigherà per portare sollievo ai sofferenti? Ma la società corrompe questi impulsi benevoli: fa tacere la compassione e nascere l’amor proprio. Nel comportamentismo che ha dominato la psicologia del Novecento, da una parte e dall’altra della guerra fredda, il contrasto di sempre si ripropone in modo più sfumato tra rinforzo negativo e positivo: posso scoraggiare un altro dall’av - vicinarsi a me dandogli una legnata ogni volta che ci prova (rinforzo negativo) oppure offrendogli qualcosa di gradito quando rimane a debita distanza (rinforzo positivo). Ed è qui che si inseriscono il libro della Phillips e il suo successo. La strategia più gentile e accogliente è stata a lungo egemone, soprattutto in America, dove si sprecano i complimenti ( «Good job!», pronunciato con aria estatica) per qualunque azione di un bambino non sia apertamente delinquenziale. Quindi i genitori accoglieranno con sollievo il suggerimento che talvolta sia bene non approvare il comportamento dei loro pargoli. Domanda: sarebbe possibile decidere con un appello alla neurofisiologia e ai suoi esperimenti se nel descrivere la natura umana, come essa nasce e si sviluppa indipendentemente da ogni influsso esterno, abbiano ragione gli antichi filosofici greci o la Bibbia, Hobbes o R ou s s eau , i fautori del rinforzo positivo o negativo? La risposta è No. Stiamo parlando di un’innocenza o di un peccato originari e, per quanto indietro andiamo nell’esaminare una persona, non potremo mai dire di averla esaminata in uno stato privo di ogni influsso esterno. Con il raffinarsi delle nostre capacità di studiare bambini molto piccoli, neonati e feti, è aumentata la consapevolezza di quanto essi siano recettivi nei confronti del loro ambiente, quindi influenzati dai segnali che ne vengono e determinati da tale influenza. Quali che siano i dati che raccogliamo compiendo gli esami, dunque, potranno essere interpretati in un senso o nell’altro, a favore dell’una o dell’altra ipotesi filosofica. O, più verosimilmente, chi ha già aderito all’una o all’altra ipotesi potrà (se la sua fede lo ha abbastanza accecato) ritenerla dimostrata dai dati raccolti. Quello di una natura umana originaria è un concetto-limite, e i limiti possono essere indefinitamente approssimati ma mai raggiunti; in quel che succede al limite si può solo credere. Che cosa credere, allora? Mai come in questo periodo, durante la mia lunga vita, ho ascoltato discorsi perplessi e inquieti sulla natura umana: discorsi che sollecitano, che invocano una qualche indicazione. Quella che posso offrire è un’i n d ic a z io n e non teorica ma etica: l’ott imismo, per me, è un dovere. Insegna Ka nt che dobbiamo sempre trattare il prossimo come se fosse sensibile a istanze morali e ragionamenti logici: anche nelle tenebre della più assoluta incomprensione, dobbiamo continuare a provarci. Per chi accetti il carico di questo ottimismo, non può che esserci una spiegazione per la malevolenza, l’a g g re s s iv i tà , il sadismo che vediamo intorno a noi. Una natura umana essenzialmente buona è manipolata da poteri indegni a fini perversi; dobbiamo reagire alla manipolazione e riconquistare insieme la nostra innocenza.

sabato 30 ottobre 2021

Avanza la guerra ai contanti. Malgrado la Bce

 

In principio erano 3.000 euro. Dal 1° luglio 2020 siamo passati a 2.000 e dal 1° gennaio 2022 si scenderà a 1.000. Stiamo parlando del limite all’ut i l i z zo di contanti come strumento di pagamento tra soggetti che non siano intermediari finanziari. Tutti gli altri devono utilizzare strumenti tracciabili (assegno, bonifico, carta di credito, bancomat, ecc…). Si tratta della semplice esecuzione di quanto disposto dal governo Conte 2 con un decreto legge dell’ottobre 2019 all’interno del solito immancabile paragrafo titolato «misure di contrasto all’eva s io n e fiscale». Nonostante quel decreto fosse aspramente criticato da una lettera della Bce, lo scorso 13 ottobre questa soglia è stata confermata proprio dal Mef nel corso di un’interroga - zione a risposta immediata in Commissione Finanze alla Cam e ra . Torneremo così al livello preesistente al 1° gennaio 2016, quando il limite fu innalzato da 1.000 a 3.000 euro dal governo di Matteo Renzi. Il minimo edittale della sanzione scenderà da 2.000 a 1.000 euro, valido sia per chi esegue il pagamento per chi lo riceve e il versamento per l’oblazio - ne sarà pari a 2.000 euro. Mentre chi, essendovi tenuto come i professionisti, ometterà la segnalazione per l’antiri - ciclaggio, sarà soggetto a sanzione da 3.000 a 15.000 euro, con oblazione fissata a 5.000. Come spesso accade, c’è lo zampino dell’Ue. Infatti questa disposizione trova origine nelle raccomandazioni Paese 2019 della Commissione. Nella parte riferita al contrasto all’evasione, l’Italia venne invitata a potenziare i pagamenti elettronici obbligatori, anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti. E noi abbiamo eseguito. Ma non basta. Come si può leggere nell’ultimo rapporto sui risultati conseguiti in materia di contrasto all’eva s io n e fiscale e contributiva, allegato alla Nadef di fine settembre, c’è anche il Pnrr a richiedere il suo pesante dazio su questo fronte. Uno dei circa 500 obiettivi e riforme che condizionano l’erogazione delle dieci rate semestrali, prevedono che la propensione al gap - una misura che stima la propensione all’eva s io ne, rapportando il tax gap, cioè la differenza tra gettito teorico e gettito effettivo, al gettito teorico - scenda del 5% entro il 2023 e del 15% entro il 2024, rispetto al dato di base del 2019. Considerando la propensione al gap del 2018 pari al 19,6% (il 2019 sarà disponibile entro poche settimane), si tratta di scendere al 18,6% entro il 2023 e al 16,7% entro il 2024. Uno sforzo non banale, considerato che la propensione al gap è stata ferma intorno al 21% circa tra 2015 e 2017 ed è scesa al 19,6% nel 2018. In cifra assoluta, il tax gap si è ridotto da 106 miliardi del 2015 a 103 del 2018. Gran parte del merito di questa discesa è attribuibile al miglioramento dei dati relativi all’Iva, imposta che si ritiene più soggetta a rischio di evasione in conseguenza dell’uso diffuso dei contanti. Ma che nel suo andamento mostra di non avere alcuna correlazione con i limiti che si sono succeduti nel tempo. Pur in presenza di un limite all’uso dei contanti fissato a 3.000, tra 2017 e 2019 è avvenuto un miracolo. Infatti la propensione al gap Iva, pari nel 2017 al 27%, è scesa nel 2018 al 23,4% e nel 2019 al 19,9%. In cifra assoluta un calo di 4,2 miliardi nel 2018 e 5 miliardi nel 2019. In quest’ultimo anno, nonostante sia entrato in vigore l’obbligo di fattura elettronica per quasi tutti i contribuenti, l’effetto sulla riduzione del tax gap ha solo visto confermata l’onda lunga del miglioramento partita nel 2018, quando andarono a regime misure come la comunicazione dati Iva (cosiddetto spesometro) e la liquidazione periodica, che fecero segnare il vero salto di qualità nella lotta all’eva s io n e delle partite Iva. Uno studio pubblicato da Bankitalia nel gennaio 2019 (« L’utilizzo del contante in Italia: evidenze dall’indagine della Bce») ci rivelò già la scoperta dell’acqua calda e cioè che «emerge chiaramente che, con riferimento alle operazioni quotidiane, all’a umentare dell’importo della transazione decresce la quota di pagamenti effettuata in contanti». Insomma gli italiani avevano già abbandonato da tempo l’uso massiccio del c o nta nte. Ma fu proprio la Bce nel dicembre 2019, poche settimane dopo la fine della presidenza di Mario Draghi, a smontare l’equazione «contante=evasione». In una lettera inviata al ministro dell'Economia, R oberto Gualtieri, e ai presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, la Bce sostenne che limitare l'uso del contante per contrastare il riciclaggio dei capitali sporchi e il finanziamento del terrorismo andava bene per pagamenti pari o superiori a diecimila euro. Lo stesso non si poteva dire se il limite veniva ridotto a mille euro per combattere l'evasione fiscale. «Si dovrebbe dimostrare chiaramente che tali limitazioni permettano, di fatto, di conseguire la dichiarata finalità pubblica della lotta all'evasione», recitava testualmente la lettera. Da Francoforte affermarono che l'uso del contante, in quanto moneta legale, doveva essere consentito sempre e comunque a qualsiasi gruppo sociale, senza dover pagare commissioni. Mentre ci si accanisce sparando con un cannone alle mosche, un’inchiesta giornalistica internazionale ha stimato in ben 13,2 miliardi il gettito sottratto all’Italia in 20 anni con un solo tipo di operazione elusiva, con processi in corso che vedono coinvolte le principali banche internazionali. Ciononostante, Mario Draghi non ha voluto dare ascolto a Yves Mersch, suo ex collega nel comitato esecutivo di Fra n c o fo rte.

STA CAMBIANDO TUTTO

CAMBIA TUTTO PER NON CAMBIARE NIENTE !
 

La corsa al Quirinale passa anche per la trincea scavata tra Usa e Cina

 

L’e l ez ion e del prossimo capo di Stato sarà frutto di un equilibrio politico non solo interno ma internazionale. Pesano, per i papabili, amicizie e influenze. Da Berlusconi a Draghi, da Amato a Casini, ecco punti di forza e di debolezza dei candidati più probabili, soprattutto lungo la trincea tra America e Cina.Domani e domenica Roma ospiterà il sedicesimo G20 della storia. Un passaggio centrale soprattutto per M a r io D ra g h i , padrone di casa e premier di un Paese la cui collocazione geopolitica sarà sempre più decisiva, a maggior ragione nelle settimane in cui dovrà scegliere l’inquilino del Quirinale per i prossimi sette anni. Siccome l’ex capo della Bce - che tra l’altro sabato vedrà Er - d oga n in un delicato bilaterale -è n atu ral ite r nella rosa dei candidabili, l’ap pu ntam e nto con i grandi del mondo a metà del semestre bianco sottolinea in modo marcato che la partita del Colle non è e non sarà solo un affare interno, di accordi, maggioranze, bruciature interne. Ma anche uno snodo internazionale. È difficile pensare che al vertice dello Stato italiano arrivi una figura che non abbia uno standing e un vaglio internazionale: soprattutto l’esten - sione dei poteri degli ultimi interpreti ha portato a un semipresidenzialismo di fatto che lascia, anche a causa della debolezza di tanti governi, leve fondamentali anche di politica estera ed economica nelle mani del Colle. Fin qui il caleidoscopio dei nomi «quirinabili» è stato osservato con le lenti della politica italiana. È forse utile accostare anche uno sguardo alle caratteristiche internazionali dei nomi più forti in pista, visto che ormai qualunque mossa politica e parlamentare (manovra, legge elettorale, alleanze) va letta nelle manovre in vista del 1° febbraio 2022. Il quadro generale l’ha dato giusto ieri Giovanni Bazoli: «Oggi è in atto uno spostamento degli equilibri mondiali a favore delle potenze asiatiche», ha spiegato al Forum economico euroasiatico il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, che ha aggiunto: «Quanto all’Europa, pare sia destinata a una inesorabile marginalizzazione, come segnalano i dati statistici riferiti agli andamenti economici, accompagnati a quelli ancora più impressionanti di ordine demograf ic o » . Se tale trend sia ineluttabile o se spetti alla politica internazionale ribaltarlo è ovviamente discutibile. Resta il fatto che la trincea Washington-Pechino si sta scavando praticamente in tutto il mondo, e l’Italia non è certo u n’eccezione. Anzi: la radiografia «estera» dei candidati parte inevitabilmente da questo esame. In rigoroso ordine alfabetico, Giuliano Amato, grande riserva della Repubblica, ha dalla sua il cursus honorum e la doppia esperienza di presidente del Consiglio, assieme ai galloni di un europeista con le stellette (portò il suo nome il gruppo composto col tentativo di scrivere una costituzione europea). Qualche attrito storico resta con Israele: era pur sempre dal suo ufficio di sottosegretario alla presidenza del Consiglio Craxi che l’am - basciatore egiziano R i fa at ge - stì la crisi diplomatica mettendosi in contatto con Muba - ra k nel pieno della crisi di Sigonella. Roba di oltre 35 anni fa, ma la diplomazia è materia da elefanti e vive di memoria. Poi c’èSilvio Berlusconi, tra i più decisi a premere il tasto della minaccia cinese (che lo pone in storica e consolidata continuità con gli Stati Uniti). Meno facile gestire l’a m ic i z i a strategica con Vladimir Putin, oggi un ostacolo agli occhi degli stessi americani e - soprattutto - degli inglesi. Emma Bonino, volendola considerare della partita proprio per gli addentellati esteri, non è esattamente ben vista in Vaticano, per motivi che non è necessario approfondire più di tanto. Vicinissimo ad A m ato, ma privo della citata pregiudiziale, è Sabino Cassese: onnipresente e iperattivo come kingmaker, potrebbe farsi largo se cadessero i big in pista. Tra i big spicca ovviamente Marta Cartabia, che in effetti vanta tracce di America nel suo curriculum accademico, magari non esaltante ma puntualmente custodito proprio da Cassese e da Giorgio Napol i ta n o. Simile al ministro della Giustizia è, in questo senso, P ie r Ferdinando Casini, sapientemente infilatosi sotto coperta in attesa di poter spuntare fuori al momento giusto. La sua proverbiale cautela si è esercitata anche sul piano internazionale: presidente della commissione Esteri del Senato per quattro anni e capo dell’Internazionale democratica centrista per nove, ha doti anche geopolitiche di galleggiatore assoluto. Su Mario Draghi non c’è praticamente niente da dire quanto a peso internazionale: come spiegato su queste colonne, gli unici a opporsi a lui sono i cinesi. Di questi tempi è una medaglia: nel suo caso si tratta di scegliere, non sono pensabili veti sul suo profilo. Tornando agli outsider, An - na Finocchiaro paga la sua vicinanza a Massimo D’Alema, paziente tessitore dei legami Italia-Cina ma anche prossimo all’Iran, come noto: due biglietti da visita molto problem at ic i . Non si può definire outsider Dario Franceschini. Il ministro ripropone gli attriti internazionali della attuale postura vaticana filocinese e «postoccidentale», secondo la definizione di Dario Fabbri. Sul recente caso, raccontato dalla Ve rità , dell’artista cinese antiregime esposto a Brescia, si è mosso il sindaco di Brescia, non il titolare della Cultura. Paolo Gentiloni p otrebb e «saltare» da Bruxelles a Roma. L’attuale commissario Ue ha dalla sua la fellowship molto stelle e strisce della Brookings, che però non ne cancella i fortissimi legami con la Francia (era alla Farnesina ai tempi del contestato accordo sulle porzioni di Tirreno regalate a Parigi dal governo Renzi). Da premier, inoltre, nel maggio 2017 visitò Xi Jinping ap re n d o la strada al protagonismo italiano nella via della Seta. Non si può scartare il bis di Sergio Mattarella: anche perché il capo di Stato, artefice diretto della Ostpolitik ben più di un Giuseppe Conte, ha recentemente sfoderato un piglio atlantista che lo ha allineato col nuovo premier. La rassegna - parziale - si chiude con Romano Prodi, eterno candidato in piena fase di iperattivismo mediatico ed editoriale. La partita per lui è complicata: dalle faide a sinistra di cui è maestro e spesso vittima, ma anche e soprattutto dalla grande vicinanza alla Cina. Alla fine, si torna sempre lì.

Più fondi al reddito di cittadinanza: conto da 10 miliardi l’anno

 

Volevate uno «shock fiscale»? Volevate un mega taglio di tasse? Volevate una frustata per scuotere in positivo l’eco nomi a? Niente da fare. Avrete invece uno «shock assistenziale», un mega sussidio grillino, con circa 80 miliardi in otto anni destinati (più precisamente: bruciati) con il reddito di cittadinanza. Uno stanziamento mai visto in questa dimensione per una misura - ormai è chiaro - che non produce né crescita né posti di lavoro, ma solo un incentivo a rimanere in un limbo di inattività, magari corroborato da altri introiti legati a lavoretti in nero. Altro che ripartenza dell’economia e uscita dalla povertà. Peggio ancora: come vedremo tra poco, con riferimento all’ultimo anno considerato (il 2029), è stata messa nero su bianco l’espressione «a decorrere dal 2029», con ciò ponendo le basi per protrarre la misura tendenzialmente all’infinito. In altre parole: 10 miliardi l’anno per sempre, a meno che non venga prima o poi un governo coraggioso capace di rovesciare il tavolo e usare meglio questa montagna di soldi dei contribuenti italiani. A fronte dei circa 8,8 miliardi annui già stanziati per la misura, ecco cosa prevede l’arti - colo 19 del disegno di legge di bilancio appena trasmesso alle Camere: «L’autori zzazione di spesa di cui all’articolo 12, comma 1, del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, è incrementata di 1.065,3 milioni di euro per l’anno 2022, 1.064,9 milioni di euro per l’a nno 2023, 1.064,4 milioni di euro per l’anno 2024, 1.063,5 milioni di euro annui per l’an n o 2025, 1.062,8 milioni di euro per l’anno 2026, 1.062,3 milioni di euro per l’anno 2027, 1.061,5 milioni di euro per l’an - no 2028, 1.061,7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2 02 9 » . Traduzione dal linguaggio legnoso e burocratico degli articoli di una manovra: ogni anno, con l’aggiunta di un ulteriore miliardo annuo, lo Stato si obbliga a stanziare per il reddito di cittadinanza una somma complessiva enorme: 10 miliardi. Il che, moltiplicato per otto anni, fa appunto 80. Per capirci: un taglio fiscale di 80 miliardi, sia pure spalmato su più anni, non si è mai visto. E ora vediamo invece - all’opposto - un mega stanziamento tutto orientato in senso assistenziale e anti crescita. A rendere tutto più chiaro, basta il confronto con l’artico - lo 1 dello stesso disegno di legge che istituisce un fondo di appena 8 miliardi annui per tagliare Irpef e Irap. Insomma, con una mano si decide un modesto taglietto fiscale da 8 miliardi (il governo lascia al Parlamento la suddivisione di queste risorse tra cuneo fiscale e Irap), mentre con l’a l tra mano si accumula una montagna di denaro a fini assistenziali. E che gli interventi fiscali, per la loro esiguità, si riveleranno impercettibili, è l’espe - rienza a confermarlo. Nel 2006-2007, il governo di R omano Prodi, con grande enfasi (e con il sostegno di Confindustria e di un vasto apparato mediatico), operò un taglio del cuneo fiscale di 7-8 miliardi. L’esito fu pressoché indifferente: non se ne accorse nessuno. Diversi anni dopo, il governo di M atte o Renzi varò il bonus degli 80 euro, stanziando 10 miliardi: anche in quel caso l’effetto sulla crescita fu non percepibile per l’e c o n om i a rea l e. A maggior ragione c’è da ritenere che una riduzione fiscale di appena 8 miliardi, anche stavolta, si rivelerà ininfluente. Ed è semplicemente incredibile che, su una manovra che complessivamente avrà una «cubatura» di 23-25 miliardi, solo un terzo venga destinato ai tagli fiscali. La prima battaglia dei parlamentari dovrebbe essere proprio questa, nell’esame del disegno di legge di bilancio: mobilitarsi per far decrescere le spese assistenziali e aumentare la quota di riduzioni fiscali. Ma non finisce qui. Torniamo al famigerato articolo 19, quello che a questo punto stanzia circa 10 miliardi l’anno per otto anni per il sussidio grillino. Nell’ultimo anno considerato, il 2029, si usa l’espressio - ne «a decorrere dal»: «a decorrere dall’anno 2029». Il che pone le basi per perpetuare il sussidio da qui all’eternità: quindi, con la scusa della copertura europea, rischiamo di incatenare perennemente l’e c o n omia italiana a una spesa enorme quanto inefficace. E il paradosso è che il partito uscito più debole da tutte le ultime prove elettorali (a partire dalle Europee del 2019, e arrivando alle Amministrative di poche settimane fa), cioè il Movimento 5 stelle di G iu s e p p e C o nte, rischia di essere il vincitore morale della partita della manovra. Sì, certo, il governo porrà enfasi sui maggiori controlli promessi rispetto ai percettori abusivi del reddito oltre che sul «decalage» dopo il rifiuto della prima eventuale offerta di lavoro: ma la sostanza è indiscutibile, e cioè che la bandiera grillina resterà intatta. Anzi, verrà addirittura proiettata indefinitamente nel f utu ro. Da segnalare infine (ma questo era ovviamente scontato) la conferma e il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali esistenti, a partire dalla Cig.


Appena 100 milioni per quota 102 La stessa cifra dei rimborsi Alitalia

 

Varata la manovra: 30 miliardi, di cui oltre 24 in deficit. Per il taglio delle tasse non si supera gli 8 miliardi. Mentre per il reddito di cittadinanza viene stanziato un miliardo aggiuntivo per un totale di 10 all’anno e per sempre. La fine di quota 100 porta invece quota 102 ma solo per il 2022 per un costo misero di 116 milioni. Dopo? Senza interventi, la Fornero.Con un paio d’ore di ritardo sulla tabella di marcia, il premier Mario Draghi si affaccia alle telecamere per commentare l’esito del cdm e il varo della legge di bilancio. Dopo due settimane di tira e molla tra Palazzo Chigi, Mef e partiti di maggioranza, è stata partorita una manovra da circa 30 miliardi di cui almeno 24 in deficit. «Si tratta di una misura espansiva», ha detto D ra - ghi celebrando l’unità di intenti del cdm nonostante si slittato il decreto concorrenza. «Al termine dei lavori», ha aggiunto, «è scoppiato un fragoroso applauso». Una semplice frase che mira a piallare i diversi punti di vista dentro una sola logica che è quella del Pnrr e del documento programmatico di bilancio. Un mega perimetro sventolato ieri forse con un po’ troppo ottimismo. «Stanziamo 540 miliardi di investimenti complessivi in 15 anni», ha chiuso il premier, almeno nella speranza che gli oltre 36 miliardi annui di investimenti vengano davvero messi a terra e non si incaglino nelle maglie della burocrazia come accaduto fino a oggi. Ha omesso però un dettaglio. Non da poco. A fronte di 540 miliardi, il nostro Paese ha già deciso di spendere 150 miliardi nello stesso lasso di tempo per il reddito di cittadinanza delineando un futuro ben preciso. Molti più sussidi a cui si aggiungeranno altri dipendenti pubblici (nota positiva l’assunzione di 12.000 laureati in medicina) a fronte di una scarsa speranza di assistere a un vero taglio delle tasse. E quindi di poter impugnare strumenti in grado di stimolare l’in i z i ativa privata e la voglia di lavorare. Non a caso il fondo per il taglio delle tasse nel 2022 non supererà gli 8 miliardi (come saranno distribuiti lo deciderà il Parlamento) a cui si aggiungeranno incentivi, fondi per le aziende, crediti d’imposta e ritocchi fiscali per altri 4 miliardi, ma in continuità con gli interventi varati nello scorso triennio. Dentro i 4 miliardi indicati da D ra g h i ci sono anche i 2 destinati a calmierare gli aumenti in bolletta. E pure l’ennesimo congelamento della sugar e della plastic tax. Non proprio ciò che si può definire un taglio delle tasse. Anzi, semplicemente per un anno si blocca il rialzo della pressione fiscale. In ogni caso ben poca cosa, se pensiamo che a partire dal 2026 s’impenneranno anche le tasse sugli immobili a seguito della riforma del Catas to. Nel frattempo chi sperava di andare in pensione in continuità con quota 100 dovrà mettersi il cuore in pace. Alla fine la scelta è caduta su quota 102. Per la precisione nel 2022 potranno andare in pensione coloro che a 64 anni di età avranno maturato almeno 38 anni di contributi. Gli italiani potranno usufruire di quota 102 anche nel 2023, ma solo se matureranno i diritti entro il 31 dicembre del prossimo anno. Ciò che succederà dopo è tutto sottinteso. Nel senso che la legge di bilancio non specifica alcun budget né alcun intervento normativo a partire dal 2023. Il che lascia intendere chiaramente che se non si farà una vera e nuova riforma delle pensioni, scatterà in automatico la legge Fornero. A quel punto lo scalone sarà massimo per gli uomini. Pure per le donne, in realtà, il rinnovo di Opzione donna non compenserà certo il salto verso la riforma varata nel 2011 e poi messa in frigorifero. Lo scivolo rosa è infatti molto costoso e penalizzante. Certo, nel frattempo le donne possono incassare lo sconto sull’I va degli assorbenti. Dal 22% l’imposta scenderà al 10, unico intervento migliorativo. D’altronde in una recente intervista Elsa Fornero ha spiegato perfettamente che la parità tra uomini e donne porterà a un paritetico innalzamento dell’età in cui uscire dal mondo del lavoro. «Andremo a lavorare sul metodo contributivo», ha aggiunto D ra g h i , «a cui verranno aggiunte nuove forme di flessibilità». Il riferimento è alle richieste avanzate da numerosi partiti di creare finestre di uscite che si differenzino per categorie e settore merceologico. È chiaro che la scelta di applicare quota 102 per quest’anno è una scelta simbolica. Si sarebbe potuto creare un gradino intermedio, visto che parliamo di costi bassi. Quota 102 costerà nel 2022 poco più di 100 milioni. Nulla se si pensa che con la stessa legge di bilancio varata ieri Alitalia riceverà praticamente la stessa cifra per coprire le errate emissioni dei biglietti e i relativi rimborsi. Per essere ancora più chiari, nel dl Infrastrutture sono stati messi a bilancio 500 milioni per lo spin off di Anas. Una scelta di per sé molto opportuna ma che è passata sotto totale silenzio. Nessuna discussione né polemica. Ci resta, insomma, da sperare che l’augurio di D ra - ghi si realizzi. «Per portare avanti le riforme e i nuovi modelli», ha concluso il premier, «ci vuole la ripresa economica». Più Pil, insomma, più soldi da spendere per le pensioni e per la riforma fiscale. Purtroppo nessuna parola sui cigni neri che si stagliano all’orizzonte. Inflazione e transizione ecologia si abbatteranno sulla nostra economia.

La sinistra strilla e accusa per coprire i suoi dieci errori

 

 Cari amici, vicini e lontani, della sinistra (chiunque voi siate: nel senso che non mi è chiaro quante e quali sinistre ci siano oggi in Italia, ma transeat), capisco vi sentiate «sinistrati», dopo l’i nte r venuta «tagliola» sul ddl Zan, ma vorrei provare a sottoporvi alcuni spunti di riflessione. Vi siete impossessati dello slogan «legge e ordine», tipicamente di destra. Norme, sempre più norme, che dovrebbero garantire una più efficace repressione dei comportamenti criminali o criminogeni. Per capirci, con un esempio necessariamente g rossier, prendiamo l’o m ic idio, articolo 575 del codice penale: «Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito...». Lo disciplinano anche altri articoli che aumentano la pena, se sussistono la premeditazione o le cosiddette aggravanti (assassinio per motivi «futili e abietti», la compresenza di «sevizie» o «crudeltà» ecc). 2 Ad un tratto, però, si è ritenuto che tutto questo non bastasse più, e si è iniziato ad inasprire ulteriormente le sanzioni in caso di determinate vittime. Come? O con l’intro - duzione di articoli bis, ter e quater, o con leggi ad hoc. Muore, o è vittima di brutalità o discriminazioni, un nero, un ebreo, un sionista, un arabo, un musulmano, e, perché no, un «terrone»? Ecco la norma nuova di zecca sul delitto compiuto per motivi di odio etnico-razziali, nazionali, religiosi. 3 Stesso format con l’omici - dio stradale (da colposo in volontario, con molti dubbi su estensione e campo di applicazione), nonché con la legge sul cosiddetto femminicidio, un pigro mantra come se fosse in atto uno sterminio del genere femminile da parte di maschi desiderosi di annientarlo, e non casi - sempre troppi, terribili e dolorosi - di donne uccise da uomini che non meritano neppure di essere definiti tali. 4 Quindi ci si è preoccupati dei comportamenti esecrandi, vili e sadici verso omosessuali e lesbiche, cui poi si sono aggiunti i trans, e poi i queer, gli asessuali, con la proliferazione dell’acronimo da Lgbt a Lgbtqia+ etc, da sanzionare a n c h’essi con prescrizioni app o s i te. 5 La domanda sorge spontanea: quante e quali altre tipizzazioni delle vittime di violenza e omicidio vanno previste? Quali categorie andranno vieppiù protette? Se i minori sono tutelati, come la mettiamo per esempio con gli anziani? Immaginando il geriatricidio? E perché fermarsi agli umani? Che fare con soppressione e maltrattamenti dei nostri amici animali? 6 Manette agli evasori, spazzacorrotti, codice degli appalti, codicilli, editti, pandette e grida manzoniane. Massì, facciamo vedere che abbondiamo. Un aumento dei precetti penali, però, non comporta una diminuzione dei reati. Fosse così, avrebbero ragione i sostenitori della pena di morte. Che non è mai stato un deterrente, mentre semmai lo è la sua abolizione. Potete verificare voi stessi sul sito nessunotocchicaino.it: «Un rapporto ha esaminato i tassi di omicidio in 11 Paesi che hanno abolito la pena capitale, constatando che dieci di essi hanno registrato un calo di tale reato nel decennio successivo all’ab roga z io n e » . 7 Vogliamo stigmatizzare lo spettacolo «indecoroso e degradante», «gli applausi e que l l ’orrido tifo da stadio» intervenuti alla proclamazione del risultato sul ddl Zan? Facciamolo pure, ma evitando di fare i sepolcri imbiancati: sottintendere, o sostenere, che questo dimostrerebbe la consustanziale omofobia della destra (vi do una notizia: esistono gay pure lì) significa cercare di lanciare la palla in tribuna per occultare la sconfitta politica incassata, a colpi di franchi tiratori (a sinistra). Chi a destra si è lasciato andare a sgradevolezze, lo avrebbe fatto su qualsiasi altra mozione sostenuta dalla sinistra e bocciata dopo mesi e mesi di martellante campagna propagandistica a favore. L’i n c iv i l e scompostezza dei politici, nelle aule parlamentari o fuori, è trasversale, e non è una novità, fin dal 1949 per l’adesione dell’Italia alla Nato: si vide un cassetto volare da una parte all’altra dell’aula. Senza dimenticare le scuse tardive, vedi Lu i g i Di Maio, il balcone, l’esultan - za, l’abolizione della povertà: «Sbagliai il gesto e le parole». 8 Ultimo, ma non in ordine d’importanza. Il segretario del Pd Enrico Letta, nel commentare la debacle, è ricorso ai toni apocalittici: «Hanno voluto fermare il futuro». Nientemeno. C’è da chiedersi: qual è invece il futuro di lavoro, previdenza, sanità, insomma, qual è il posto riservato a sinistra per i diritti sociali? Non è una provocazione, e non intendo certo declassare quelli civili, contrapponendoli ai primi. Ma è questione urticante. Lo certifica questo testo del dicembre 2017: «La motivazione fondamentale, e ufficiale, della rottura tra il movimento di Giu - liano Pisapia e il Pd è stata la mancata tempestiva calendarizzazione in Parlamento dello ius soli, un argomento importante, una battaglia di civiltà, ma, rispetto alle questioni aperte, alquanto circoscritto». Circoscritto. Continuiamo: «Anche in questo caso si conferma una singolare inversione di priorità nelle politiche della sinistra: i diritti civili ormai prevalgono su quelli sociali, che hanno sempre meno spazio nei programmi». Però. Andiamo avanti: «Questo mutamento è evidente da quando a sinistra si è affermata la linea più liberale che socialista della “terza via”: i diritti (individuali) civili sono diventati centrali nella strategia di sinistra e di fatto la loro rivendicazione è diventata un alibi, una sorta di copertura, rispetto al fatto che le problematiche sociali venissero, se non abbandonate, lasciate sulla sfondo». I diritti civili come alibi. Conclusione: «Così facendo si ponevano le premesse per una rinnovata contrapposizione con la destra conservatrice su basi diverse rispetto al passato e per l’acquisizione del consenso dei ceti medi cosiddetti “ri - f l e s s iv i”. Ma al tempo stesso si minava alle radici il rapporto tradizionale tra sinistra e ceti popolari». 9Su che giornale o sito di destra è comparsa tale critica analisi? Nessuno. :Le ritrovate sul web all’indi - rizzo nens.it, Nuova economia nuova società, il centro studi fondato da Vincenzo Visco e daPier Luigi Bersani. Non riesco a immaginare qualcuno più a sinistra di lui (senza offes a) .

I progressisti ormai ragionano (per così dire) come i dittatori

 

Il meccanismo è antico, ma continua a funzionare alla perfezione. Per capire come agisca, basta dare un’o c c h i ata alla prima pagina di Re p ub - b l ic a di ieri, efficace sintesi delle posizioni espresse dai progressisti negli ultimi giorni. In apertura campeggia l’editoriale di Concita De Gregorio: una feroce invettiva contro i parlamentari che hanno votato contro il ddl Zan. Poiché hanno affossato la legge arcobaleno, si dice, costoro non sono rappresentativi dell’Ita l i a . Esiste, dice Concita, una separazione netta «fra quei 300 scarsi dentro l’aula e la moltitudine fuori». La De Gregorio - come del resto l’intera sinistra intellettuale - è furibonda: non sopporta che sia stata spazzata via «la legge manifesto sui diritti delle minoranze » . Proprio a fianco dell’a rt i - colo fiammeggiante dell’editorialista di punta (e di tacco) di Re p ub b l ic a , ecco un altro commento corrosivo firmato dalla psicostar Massimo Reca l cati . L’ennesima invettiva, stavolta contro i «filosofi irresponsabili» che fanno da «involontari maîtres à penser» delle «sommosse popolari» contro il green pass. Reca l cati , come Concita, è indignatissimo. Non tollera che «l’estrema sinistra e l’e s tre - ma destra» si siano «scatenate in una radicale critica della gestione della pandemia e delle relative misure di prudenza e sicurezza sanitaria». Non ha dubbi, il nostro: i filosofi irresponsabili «confondono le idee», «foraggiano una protesta contro le istituzioni in un momento in cui dovrebbe prevalere la solidarietà senza condizioni». Riepilogando, dalla prima pagina di Re p ub b l ic a possiamo estrarre due concetti chiave. Primo: se, a maggioranza e seguendo le procedure democratiche, il Parlamento respinge una proposta di legge avanzata dal Pd, si tratta senz’altro di un sopruso, di un atto indegno, di u n’offesa al popolo, alla morale, alla democrazia, ai diritti umani e civili. Secondo concetto: se, esercitando i diritti garantiti dalla Costituzione, una minoranza si oppone alle decisioni del governo di cui fa parte il Pd e addirittura le contesta in piazza, si tratta senz’altro di un sopruso, di un’offesa al popolo, alla morale, alla democrazia, ai diritti umani e c iv i l i . In apparenza, le contraddizioni sono devastanti. Da un lato, infatti, i progressisti celebrano la «difesa delle minoranze»; dall’altro si infuriano perché «una estrema minoranza del nostro Paese» protesta. Vogliono bastonare chi manifesta contro le restrizioni sanitarie; ma vogliono pure scendere in piazza per contestare la tagliola che ha decapitato il bavaglio arcobaleno. Se il Parlamento approva una norma che istituisce il lasciapassare, gioiscono; se lo stesso Parlamento rifiuta il ddl Zan, sputano fuoco e fiamme. In realtà tutto si tiene: questo è l’esatto funzionamento del meccanismo a cui alludevamo prima. Il filosofo Costanzo Preve lo chiamava «blocco identitario». Si tratta di una forma di prigionia della mente che impedisce di ragionare. «Qualsiasi cosa si pensi o si intenda pensare», scriveva P reve, «avrà una validità soltanto e nella misura in cui sarà organica alla Classe e al Partito». Oggi il Partito non esiste quasi più, e quella di Classe è un’idea sbiadita. Ma il blocco scatta come ai bei tempi. Potremmo anche metterla giù così: è concesso soltanto ciò che è gradito a sinistra. Se la maggioranza obbedisce ai diktat progressisti, è santa e va difesa a costo di reprimere nel sangue eventuali minoranze dissenzienti. Se invece la maggioranza non si adegua, va sciolta e sostituita dal l’avanguardia illuminata che è davvero in grado di interpretare i desideri nascosti del popolo, di guidarlo verso un avvenire radioso. Tale visione del mondo, dicevamo, è antica: da sempre caratterizza i totalitarismi. Essa stabilisce che ciò che non è organico vada espulso, come un tumore. Il dissenso, in questa prospettiva, diviene inevitabilmente patologico. Se, ad esempio, uno pensa che il green pass sia una scemenza, diviene automaticamente un malato di mente, il suo pensiero è per forza deviato. Re - p ub b l ic a , non a caso, chiama Vittorio Lingiardi e Gu id o G iova n a rd i (psichiatra e psicologo) affinché analizzino la mente dei no vax e ne indichino le storture. I filosofi - che sarebbero teoricamente chiamati a esercitare il pensiero - se pensano e criticano diventano «irresponsabili», come sostiene Massimo Recalcati. Infatti Giorgio Agamben (il primo a scagliarsi contro l’auto - ritarismo sanitario) viene da mesi sottoposto a rabbiosi assalti. Un paio di settimane fa, un centinaio di filosofi d’ac - cademia ha addirittura sottoscritto un manifesto contro di lui. In buona sostanza, si pretende che Agam ben - e con lui chiunque manifesti un barlume d’opposizione - taccia, obbedisca, si pieghi. Ormai da diversi mesi siamo entrati in quel «mondo nuovo» in cui è «proibito fare domande», cioè – appunto - pensare. Se qualcuno avanza u n’obiezione non viene nemmeno considerato: il suo punto di vista non è discusso, ma violentemente avversato. La filosofia - l’agone del pensiero - è neutralizzata dagli stessi filosofi. Il Parlamento e le piazze - spazi di confronto, di discussione - sono scavalcati e schiacciati, svuotati di senso. Non si può più pensare se non ciò che è già stato pensato da altri; si può parlare soltanto se si esprimono concetti preconfezionati («Serve più green pass! Il vaccino è la soluzione! Le cure sono roba da sciamani!»). Si dice che tutto ciò non sia una dittatura perché «non c’è violenza». Invece la violenza c’è eccome, però a bassa intensità: non abbiamo una dittatura vera e propria, bensì una distorsione della democrazia, che trae in inganno perché assomiglia all’originale. In Fa h re n h eit 451 di Ray Bradbury, l’auto r i - tarismo è evidente perché la realtà è ribaltata: i pompieri appiccano il fuoco. Qui, invece, sembra che tutto sia normale: i nostri pompieri distopici non usano le fiamme, ma gli idranti. Il risultato, però, è lo stesso: la distruzione del dissenso. E del pensiero.


EMERGENZA FINITA MA SOLO PER IL FISCO

 


L’e me rge nza Covid è finita. Almeno per l’Agenzia delle entrate, che ieri si è presa la briga di diffondere un comunicato per informare i contribuenti che la moratoria del pagamento delle tasse è finita. In pratica, è ora di aprire il portafogli. Entro il 2 novembre vanno «regolarizzati i pagamenti delle rateizzazioni già in essere» quando scattò la sospensione dei versamenti a causa della pandemia. Per le rateizzazioni concesse dopo l’8 marzo dello scorso anno, quando cioè il governo Conte rinchiuse gli italiani in casa, disponendo la serrata di molte attività commerciali, non è prevista alcuna proroga e, anzi, se si ritarda il saldo delle rate previste si incorre nella decadenza dei benefici del dilazionamento. Per la rottamazione e il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali invece, c’è tempo e il fisco ricorda che i contribuenti possono prendersela comoda fino alla fine del mese. Non di quello attuale, intendiamoci, ma di quello prossimo. Altrimenti, se si supera il 30 novembre, anche in questo caso si perdono i vantaggi così faticosamente conquistati durante l’e m e rge n za . Vi state chiedendo perché l’Agenzia delle entrate abbia dichiarato finita la fase più difficile dell’e pid emia? La risposta non c’è, almeno a sentire gli esperti del governo, i quali ogni giorno insistono invece a sostenere che con il Covid non si deve abbassare la guardia e per questo giustificano l’introduzione del green pass, ossia di uno strumento che non è sanitario, ma senza il quale non si può lavorare e fare vita sociale. Per l’esecutivo di Mario Draghi, l’e m e rge n za c’è eccome e infatti, nonostante dopo due anni i poteri straordinari introdotti da Giuseppe Conte d ov rebb ero essere revocati, perché dopo 24 mesi non c’è modo di prorogarli, Palazzo Chigi sta escogitando un modo per aggirare la decadenza e prolungare l’e me rge n za . Già si parla di un allungamento fino alla primavera, perché il pericolo dei contagi non sarebbe del tutto scongiurato. In effetti, se si confrontano i dati rispetto a un anno fa, la situazione potrebbe far pensare di non essere ancora fuori dall’incubo. Il 10 ottobre del 2020, prima che cominciasse di fatto la seconda ondata, i nuovi casi di malati Covid erano 5.724, con 29 morti. Il 10 ottobre del 2021 i contagiati sono stati 2.278 e i morti 27. Ma oggi, come ci spiegano ogni giorno i virologi da salotto tv, l’80% degli italiani ha ricevuto la prima e la seconda dose di vaccino e nelle fasce di età ritenute critiche, cioè dai 60 anni in su, si arriva addirittura quasi al 90% (per gli ottantenni la soglia ritenuta di sicurezza è addirittura abbondantemente superata). Dunque, visto che la mortalità è quasi nulla fra le persone che hanno un’età compresa fra i 12 e i 39 anni (si contano dieci vittime nel periodo fra luglio e settembre), ossia tra coloro che non risultano aver raggiunto ancora la quota della cosiddetta immunità di gregge, perché insistere con l’e m e rge n za? Altrove, in Germania ad esempio, il ministro della Salute ha già annunciato l’intenzione di revocare le misure straordinarie imposte dal Covid, ma da noi no. Anzi, da noi si pensa a un ulteriore giro di vite. Con la scusa che i contagi non si abbassano (anche se l’i n d ice da tenere d’occhio è comunque al di sotto della soglia di attenzione), nonostante le terapie intensive non siano intasate e pure l’occupazione dei posti letto in ospedale non desti preoccupazione, c’è chi al ministero della Salute sta pensando a come costringere a vaccinarsi i tre milioni di italiani che, nonostante il green pass, non si sono ancora rassegnati a offrire il braccio alla patria. A ndrea Crisanti, il virologo più critico nei confronti delle misure di riapertura delle attività, invita a lasciar perdere, perché in tutti i Paesi c’è una certa quota di scettici e anzi suggerisce di non regalare i no pass ai no vax, magari imponendo a chi non vuole esibire il certificato verde di indossare una mascherina Ffp2. Ma ai pasdaran del lasciapassare vaccinale, sistema altamente affidabile tanto da essere bucato fino a rilasciare passaporti verdi a tizi con il nome di Adolf Hitler, tutto ciò non basta, perché l’e m e rge n za non è finita. Può essere che i talebani del green pass abbiano ragione, ma allora forse dovrebbero informare l’Agenzia delle entrate. Se dobbiamo aspettarci i colpi di coda del Covid, vale anche per le tasse. Altrimenti, più che cittadini e contribuenti significa che per lo Stato siamo sudditi, che devono obbedire e pagare senza accampare diritti. E allora cambiamo la Costituzione e stabiliamo che la sovranità non appartiene al popolo, ma al burocrate e al virologo, così quando le cose andranno male sapremo con chi p re n d e rc e l a .


Dopo la bufala sulla durata di J&J credere alle virostar è un’impresa

 


Aver fiducia nella scienza. Nonostante gli scienziati. Noi ci proviamo, ecco, ma è sempre più dura. Perché coloro che si ritengono padroni della scienza al punto da farsi chiamare scienziati ce la stanno mettendo tutta per farci cambiare idea. Ma proprio tutta. L’ultima impresa è del consulente del ministro della Salute Speranza, Walter Ricciardi, già noto come l’ultimo guappo per il suo passato da attore nelle sceneggiate napoletane,che l’altro giorno in tv ha fatto sapere al mondo che il vaccino Johnson&Johnson scade dopo due mesi dalla sua inoculazione. La dichiarazione ha ovviamente creato molta preoccupazione, soprattutto nelle persone (1,5 milioni) che hanno ricevuto questo siero, magari a giugno o a luglio, e hanno scoperto ora, da un talk, che non hanno più copertura vaccinale da settimane, senza che nessuno abbia mai pensato di comunicarglielo. Attenzione, però: ora si viene a sapere che tale preoccupazione, probabilmente, non ha ragion d’essere perché, a quanto pare, non è vero che il vaccino J&J scade dopo due mesi. Walter Ricc i a rd i , consulente di Rober to S p era n za , avrebbe diffuso, tanto per cambiare, un’i n fo r - mazione sbagliata. In altre parole una balla. E sapete perché? Perché ha sbagliato a tradurre dall’i n g l e s e. L’assurda storia merita di essere raccontata dall’i n i z io. Una settimana fa, venerdì 22 ottobre, l’ex guappo diventato scienziato, in arte R ic c i a rd i , è ospite dell’Aria che tira su La 7. Myrta Merlino gli chiede se chi ha fatto il J&J deve fare subito la seconda dose. Lui risponde senza incertezza: «Va fatta a due mesi di distanza dalla prima». E poi spiega: «Questa è un’evidenza scientifica degli ultimi giorni: l’immunità conferita da J&J è un p o’ più labile». E quindi, insiste la M e rl i n o, chi ha fatto il vaccino J&J a maggio giugno e luglio che deve fare? «Lo deve rifare subito. A distanza di due mesi», ribadisce. Tranchant. Messaggio chiaro, no? L’efficacia del monodose J&J dura soltanto due mesi. Dopo due mesi la copertura vaccinale svanisce, e quindi bisogna assolutamente fare un altro vaccino. Per altro, aggiunge R ic c i a rd i , preferibilmente diverso (Pfizer o Moderna). La notizia viene subito confermata e rilanciata dagli altri noti paladini della scienza. Franco Locatelli, coordinatore del Cts, cioè l’uo m o che ha scientificamente in mano i nostri destini, domenica 24 ottobre va ospite di Fabio Fazio aChe tempo che fa e dà ragione a R ic c i a rd i . Parla di un «processo di revisione» in corso «in queste ore» per il vaccino J&J. E quando il conduttore chiede che cosa deve fare chi l’ha ricevuto più di due mesi fa, cioè oltre al termine di scadenza indicato, lui non ha dubbi: «Bisogna rifarlo velocemente». E ribadisce: «Velocissimi». Col superlativo. Così il tema viene rilanciato un po’ ovunque: «Il vaccino J&J scade dopo due mesi», titolano i giornali, «il vaccino J&J scade dopo due mesi» rilanciano i siti Internet e i talk show, «Sì, dopo due mesi l’efficacia comincia a scendere», prova a temperare i toni l’ex direttore dell’Ema Guido Rasi, ma il sottosegretario P ie r - paolo Sileri suona la carica: «Priorità nelle vaccinazioni per chi ha ricevuto J&J». Come a dire non c’è un minuto da perdere: questi disgraziati rischiano la vita da un momento all’a l tro. Volete forse mettere in dubbio la parola degli scienziati? Noi no, per carità. Ma a mettere in dubbio la parola degli scienziati, ci pensa u n’altra scienziata. Maria Rita Gismondo, professoressa e responsabile del laboratorio del Sacco, che ieri ha definito quella del vaccino J&J che scade dopo due mesi una «bufala inutilmente allarmistica». I due scienziati R ic c i a rd i e L o catel l i , secondo la scienziata G ismo ndo, avrebbero preso «una cantonata». E la cosa più grave è che l’av reb - bero presa per un banale errore di traduzione. Infatti nel documento della Food & drug administration (Fda), del 20 ottobre, che è quello cui si riferiscono R ic c i a rd i eGua ltie - riquando parlano di «revisione in corso», c’è scritto testualmente che la seconda dose di J&J va somministrata «at least 2 months after», cioè almeno due mesi dopo la prima dose. E non bisogna essere particolarmente esperti di lingua inglese e nemmeno di logica aristotelica per capire che c’è una certa differenza tra dire che bisogna vaccinarsi «at least» almeno due mesi dopo e dire che il vaccino scade due mesi dopo. Possibile che questi illustri scienziati con tutta la loro scienza non ci siano arrivati? Il punto è proprio questo. Nella vicenda, è chiaro, sembra evidente che la Gismondo abbia ragione e che R ic c i a rd i e L o catel l i abbiano fatto due figure di palta che in un Paese normale porterebbero diritto alle rispettive dimissioni. Ma quello che preoccupa ancor di più della figura di palta è che, da mesi, mentre continuiamo a sentirci ripetere che bisogna aver fiducia nella scienza (e guai a sollevare dubbi se no sei nemico della scienza, e guai a fare domande se no sei contro la scienza), ecco, dopo tutto questo, loro i paladini della scienza continuano a dire e contraddirsi, dalla tv ai giornali, gli uni contro gli altri, castroneria dopo castroneria. Come quando dicevano che le mascherine sono inutili (Matteo Bassetti, 25 febbraio 2020) o che il coronavirus da noi difficilmente potrà diffondersi (Massimo Galli, 10 febbraio 2020) o che è più facile essere colpiti da un fulmine che morire di Covid (Roberto Burioni, 3 febbraio 2020). Si disse: eh ma lì eravamo all’inizio, nessuno ci capiva nulla. D’accordo. Ma non è che con il passare dei mesi sia andato meglio. Basti pensare al caos creato su Astrazeneca, riguardo al quale a un certo punto più che le indicazioni sull’età sembravano uscire i numeri della tombola. O al caos scatenato negli ultimi mesi sulla terza dose, che da quest’estate è al centro di un pasticciato tiramolla: si fa, non si fa, chi la fa, ambarabà (ciccicoccò). Oggi, per l’appunto, arriva l’ultima perla con il nuovo pasticcio su J&J. Informazioni molte ma soprattutto molto confuse. Chi ha fatto quel vaccino ne deve fare un altro? E quando? E quale? A nth o ny Fauc i , consulente della Casa Bianca, dice, in base ai test clinici, chi ha fatto prima dose J&J deve fare la seconda dose di J&J. L ocatelli e gli esperti italiani dicono invece che chi ha fatto la prima dose J&J deve fare secondo dose Pfizer o Moderna perché il mix funziona meglio. In base a che cosa non si sa: speriamo solo che non sia un testo in inglese. Altrimenti ci verrebbe qualche ulteriore dubbio, oltre a quelli che queste vicende ci fanno già naturalmente venire. Perché, si capisce, noi abbiamo fiducia nella scienza. Fiducia totale. Fiducia sempre. Ma abbiamo un p o’ meno fiducia in questi scienziati. I quali a quanto pare muoiono dalla voglia di iniettare sostanze nel nostro corpo. Ma, ecco, mentre lo fanno capiscono quello che stanno facendo? O hanno bisogno di una traduttrice?



Una Chiesa anti Usa e post occidentale: il Papa ha ribaltato la rotta geopolitica

 

La Chiesa vive una fase tanto inedita quanto antica. Intenzionata a privilegiare i continenti africano e asiatico dove crescono maggiormente i fedeli, sta trascendendo la cultura originaria. Convinta che Washington ne danneggi la traiettoria geopolitica, è platealmente ostile agli Stati Uniti. Questa la principale cifra del pontificato di Fra n c es c o, post occidentale e anti statunitense, per provenienza geografica e per essere stato testimone dell’o ffensiva anticattolica washingtoniana in America L at i n a . Per lo stordimento dell’opinione pubblica europea e nordamericana, storicamente abituata a una Chiesa portabandiera dell’Oc c idente e, in tempi recenti, perfino alleata del principale impero laico. Pensato come Pontefice di passaggio, Fra n c e s c o p rova a incidere sulla dimensione strutturale del Vaticano. Dottrinalmente distinto dal conservatorismo che informa la gerarchia ecclesiastica europea, incline all’Oriente per formazione gesuitica, antagonistico agli Stati Uniti per estrazione ispanica, incarna fisiologicamente il post occidentalismo. A differenza di B e n edetto XVI, immagina una Chiesa posta oltre la tradizione occidentale, giacché questa va repentinamente mutando e risulta estranea ai continenti più giovani, là dove la popolazione cattolica aumenta. A differenza di G iova n n i Paolo II, ritiene necessario opporsi al principale impero del nostro tempo, ovvero gli Stati Uniti, senza unire le forze per affrontare un nemico comune, come accaduto durante la Guerra fredda. Ne deriva una Chiesa poco interessata a Europa e Nord America, opposta alla Casa Bianca - pure se questa è (temporaneamente) abitata da un cattolico. Sicura che l’avvenire sia da coltivare oltre il Vecchio Mondo, convinta che Cina e Russia non costituiscano grandi pericoli, che sia necessario abbracciare un’ide ol og ia p rog re s s i s ta . Nel concreto, sono anni segnati da viaggi papali soprattutto verso il Sud e verso l’Est del mondo. Nei luoghi di nuovo proselitismo o dove i cristiani sono perseguitati, ai margini del planisfero convenzionale. Fino a stringere (da remoto) un accordo per le investiture con la Repubblica popolare cinese, evento decisivo del pontificato, risalente alla millenaria consuetudine geopolitica della Chiesa, difeso strenuamente dalle violente critiche statunitensi. Con parziale indifferenza per quanto accade in Europa, specie in Italia o a Roma, luoghi da «bonificare moralmente» anziché favorire politicamente. Con una minore attenzione anche per l’America Latina, ampiamente penetrata dalle chiese evangeliche statunitensi, che hanno germinato filiazioni locali e trasferito verso Washington l’auto c to n o ombelico culturale, fino a ridurre drammaticamente l’influenza cattolica sul cont i n e nte. Proprio con la superpotenza americana si registrano gli attriti più consistenti, nel solco del millenario duello tra Papato e Impero. Oltre alla competizione ordita nella regione natale, Fra n c e s c o imputa agli Stati Uniti la volontà di costringere la Chiesa dentro un recinto reazionario, quasi fosse u n’istituzione ancorata al passato, conseguenza dello sdoganamento oltreoceano del cattolicesimo attraverso l’aderenza agli ambienti oltranzisti dell’eva n ge l i s m o. Per Jorge Mario Bergoglio, una miopia doppiamente colpevole, poiché contraria alla flessibilità valoriale dei nuovi fedeli africani e asiatici e involontariamente utile alla diffusione delle concorrenziali sette protestanti. Mentre il Papa argentino non considera la Russia una minaccia effettiva, per palese fragilità del Paese, oltre che per (presunta) razionalità di Puti n , cui si rivolse nel 2013 quando Washington sembrava a un passo dal bombardare la Siria. Corroborando con tale apertura il proprio post occidentalismo, categoria inaggirabile del suo pensiero. Temi trattati con acume e profondità nel saggio di Matteo Matzuzzi, centrato sul realismo del pontificato attuale, capace di illuminare le sfide che attendono la Chiesa nel prossimo futuro. A metà tra innovazione e re s tau ra z io n e.

venerdì 29 ottobre 2021

Stefano Puzzer rivela la svolta per il ripristino della Costituzione: così potrebbe crollare tutto


 

Il disastro di Catania: VIP, smettetela di manipolarci

CORNUTI E MAZZIATI,PRIMA L'ELITE CI HA ABITUATI AL CONSUMISMO E ORA DOBBIAMO FARE MEA CULPA !
 

G20, A ROMA SI DECIDE IL DESTINO DEL PIANETA


 

La stangata messa nero su bianco La riforma del catasto va in Aula

 

L’ombra di una stangata fiscale sotto forma di una patrimoniale si allunga sugli italiani, e nessuno sembra in grado di poter fermare il meccanismo infernale che si è messo in moto. È solo questione di tempo e le case, quelle comprate con i risparmi di una vita di sacrifici, diventeranno il mezzo attraverso il quale lo Stato succhierà il sangue alla popolazione. Il cavallo di Troia attraverso il quale la patrimoniale sulla casa è entrata a far parte dell’armamentario fiscale è il disegno di legge recante la delega al governo per la riforma delle imposte dirette e indirette e per la revisione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto dei fabbricati, la famigerata delega fiscale. Il provvedimento, che elenca una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2026, verrà ora assegnato alle commissioni competenti. A far tremare le vene ai polsi è l’articolo 6, «Modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e revisione del catasto dei fabbricati». In particolare, si legge nel testo, si prevede «la integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati, in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026». Il catasto dovrà «attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale, secondo la normativa vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita annualizzata in base ai valori normali espressi dal mercato». Inoltre, la legge contiene «la previsione di meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferim e nto » . Il gioco è fatto: si introduce la possibilità per l’Erario di non tener più conto, quando si tratta di valutare il reddito dei cittadini, del valore catastale degli immobili, ma si potrà invece calcolare tale reddito, con tutte le imposte a esso collegate, sul valore di mercato. Una volta completato l’aggiornamento del catasto ad esempio, l’Imu potrà essere applicata direttamente al valore patrimoniale della casa, del fabbricato o del terreno. Schizzeranno verso l’alto le imposte di registro, quelle ipotecarie e tutte le imposte catastali, poiché l’Imu diventerà una vera e propria patrimoniale da pagare ogni anno. Il valore di mercato delle nostre case verrà calcolato incrociando una serie di banche dati, dalla zona in cui si trova l’immobile a eventuali lavori di ristrutturazione effettuati, dalla eventuale riqualificazione degli spazi comuni e quella delle strade circostanti, e naturalmente dai prezzi degli immobili della stessa zona venduti e acquistati. Non solo: anche l’aver usufruito del bonus per il rifacimento delle facciate potrà rientrare nei parametri in base ai quali l’erario calcolerà il valore di mercato degli immobili, per poi castigare gli italiani con la patrimoniale mascherata. Il salasso è quindi in agguato, e sembrano anche ridotti i margini di poter porre rimedio a quanto stabilito nel disegno di legge. I decreti attuativi sono infatti stati blindati con le indicazioni presenti nel testo bollinato ieri e, e se i partiti di centrodestra di governo, Lega e Forza Italia, vorranno tenere fede alla promessa di battersi contro ogni possibilità di aumento della tassazione sulla casa in conseguenza dell’aggiornamento del catasto, dovranno agire in sede parlamentare, ma a quel punto in netto contrasto con le indicazioni del governo. Si fa sentire il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa: «Oggi (ieri, n d r) approda in Parlamento il disegno di legge delega con la riforma fiscale proposta dal governo. Al suo interno», sotto l i n ea S pa z i a n i Te s ta , «c’è la revisione del catasto, che proprio il Parlamento aveva escluso dal documento di indirizzo approvato lo scorso 30 giugno, sul quale l’e s e c ut i - vo si era impegnato, anche nella Nadef licenziata pochi giorni fa, a fondare il proprio testo. Ora siamo curiosi di capire quale sarà l’atteg g i a - mento dei partiti, in particolare di quelli che fino a ieri hanno urlato il loro no a qualsiasi intervento sul catasto, vale a dire Lega e Forza Italia, ma è contraria anche l’u n ic a forza di opposizione, Fratelli d’Italia. Da parte nostra», aggiunge Spaziani Testa, «ribadiamo quanto abbiamo sempre detto: se c’è un’u rge n za , quella non è la riforma del catasto, che ha già creato un effetto depressivo sul mercato immobiliare, ma la riduzione della patrimoniale sugli immobili, l’Imu, che nei suoi dieci anni di vita ha pesato per 230 miliardi di euro su famiglie e imprese, determinando una caduta progressiva del valore del risparmio che tanti italiani avevano investito, così ripagati, nel loro paese. Per quanto riguarda la delega, siamo interessati anche a sapere», argomenta il presidente di Confedilizia, «quale sarà il futuro della tassazione dei redditi da locazione: la priorità, vista la drammatica crisi del commercio, sarebbe l’estensione agli affitti non abitativi della cedolare secca vigente per il residenziale, ma anche in questo campo si registrano spinte di ben diversa natura. Nel frattempo, le indiscrezioni sulla manovra non sono rassicuranti, soprattutto quelle riguardanti la possibile soppressione del bonus facciate e la mancata proroga del superbonus 110%», conclude S pa - ziani Testa, «per le case unifamiliari e le unità immobiliari funzionalmente indip e n d e nt i » .