STUPIDA RAZZA

martedì 30 novembre 2021

«Nessuna rivoluzione fiscale Anche da Draghi solo ritocchi»

 

Il calendario di Carlo Cottarelli segna già 2022: «Il prossimo sarà un anno cruciale per l’Ita - lia: le leggi delega alle quali si sta lavorando richiedono decreti legislativi da approvare, non possiamo permetterci troppa instabilità politica», spiega il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, già direttore esecutivo al Fondo monetario internazionale per il nostro Paes e. Professor Cottarelli, dopo giorni di fumate grigie è arrivata u n’intesa politica sulle tasse: 7 miliardi sulla nuova Irpef a quattro aliquote e il miliardo residuo su l l ’Irap. Imprese e sindacati non l’hanno accolta con favore, la coperta è ancora troppo corta? «A dir la verità, pensavo che lo stanziamento sarebbe stato inferiore. Per gli 80 euro di Renzi sul piatto c’erano 10 miliardi, la manovra del governo Draghi ne destina 8 per la riduzione della pressione fiscale. Non siamo troppo lontani. La crescita economica più forte ha favorito un aumento delle entrate, lasciando spazio a un taglio delle aliquote. Speriamo che continui di questo passo». Insomma, un buon inizio secondo lei? «Più che un buon inizio, un altro passo in avanti. Da qualche anno si è imboccata la strada che porta alla riduzione della pressione fiscale: gli 80 euro di Renzi, l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa, l’abbassamento dell’aliquota di tassazione sulle imprese. Passi graduali, non c’è una rivoluzione fiscale». Per quella cosa servirebbe? «Nel complesso, credo che l’Ita - lia potrebbe puntare a una riduzione di 2 punti percentuali di Pil delle tasse, che vuole dire più di 35 miliardi. Quello sarebbe un grosso cambiamento. Quando si parla di un taglio delle tasse che vuole essere strutturale, bisogna però trovare delle fonti di finanziamento permanenti». Per esempio quali? «Due, fondamentali: riduzione stabile dell’evasione fiscale e spending review. Sulla prima qualcosa si è mosso, con una riduzione dell’evasione sull’Iva di 8-9 miliardi tra il 2017 e il 2019. Della revisione della spesa pubblica non parla ormai più nessuno, siamo fermi a 8 anni fa». Da ex commissario alla spending review, per quale motivo pensa si preferisca tenere l’a rgo - mento in soffitta? «Quando hai a disposizione tanti finanziamenti dalle istituzioni europee, come in questo momento, diventa difficile pensare a tagliare qualcosa. Dal punto di vista macroeconomico non è neanche il momento, visto che siamo in una fase di consolidamento della ripresa. Quando i tassi di interesse sono così bassi, non si pensa che potranno aumentare » . Si sta peccando di scarsa vision e? «Forse, non mi spingo molto in là con le previsioni. Fatto sta che adesso di spending review proprio non si parla. Ci sono alcune cose nel Pnrr, alcune azioni minori: una delle condizioni per questo trimestre, per avere la prossima tranche di finanziamenti, è quella di aumentare il ruolo del ministero dell’Economia nelle prossime spending review». Che cosa è stato fatto? «È stata creata una commissione guidata dal ragioniere generale dello Stato, con un rappresentante della Banca d’Italia, uno della Corte dei conti, eccetera». Le commissioni non mancano mai. «Credo che non abbiano neanche iniziato a lavorare. È una commissione che svolgerà un ruolo maggiore in futuro, una cosa del tutto formale». Secondo l’Ufficio pa rl a m e nta - re di bilancio, gli interventi della manovra «presentano elementi di indeterminatezza». «Non c’è dubbio, ci sono diverse decisioni che vengono rinviate: le pensioni, innanzitutto, per le quale si decide qualcosa solo per il 2022; non c’è una riforma fondamentale del reddito di cittadinanza; infine, la legge delega sul fisco resta talmente ampia da consentire di fare un po’ di tutto». Sulle pensioni si sarebbe aspettato una scelta più struttura l e? «Bisogna fare i conti con i vincoli politici che anche questo governo ha: un accordo su ciò che accadrà dopo il 2022 avrebbe probabilmente generato uno scontro interno con la Lega e uno esterno con i sindacati. Si sarebbe turbata, in qualche modo, la ripresa economica. E allora si è preferito r i nv i a re » . «Kick the can down the road», lei ha scritto. Cioè, «calcia la lattina lungo la strada»: per evitare frizioni, meglio rimandare il probl e m a . «Spero non si sia arrabbiato nessuno. Mi rendo conto delle difficoltà che esistono a livello politico e mi rendo benissimo conto del fatto che bisogna fare le cose gradualmente, però…». È favorevole al sistema delle qu o te? «Dipende. Quando si parla di pensioni, è bene guardare alle implicazioni che ogni proposta genera sui conti, sulla spesa. E spesso non viene fatto. Il sistema delle quote comporta un adattamento di tutti i contribuenti alla stessa situazione. Io sarei favorevole a un sistema che tuteli di più chi svolge lavori gravosi. L’a s p ettat iva di vita è aumentata ed è più alta per chi ha redditi alti, di ciò bisognerebbe tenere conto». «La revisione del reddito di cittadinanza operata con il ddl di bilancio lascia immutate le principali criticità», ha spiegato in audizione Giuseppe Pisauro, p re - sidente dell’Ufficio pa rl a m e nta - re di bilancio. Anche in questo caso, meglio rinviare? «A mio giudizio, ci sono due cose sbagliate. Innanzitutto, le scale di equivalenza: il reddito è relativamente troppo poco generoso con le famiglie e relativamente troppo generoso con i single. Inizialmente, i soldi a disposizione avrebbero dovuto essere 15 miliardi. Quando ci si è accorti che in cassa c’era poco meno della metà, hanno tagliato le scale di equivalenza perché non si poteva toccare il numero simbolo: 780 per i single». E il secondo problema? «Questo strumento dovrebbe essere volto a portare le persone al di sopra della soglia di povertà. Come certifica l’Istat, la soglia di povertà cambia in base alla grandezza delle città, alla posizione geografica dei luoghi in cui le persone vivono. Uniformare tutto è sba g l i ato » . Secondo il direttore ge n e ra l e di Confindustria, Francesca Mariotti, la «manovra di bilancio, nonostante alcuni interventi positivi, non fa segnare un passo avanti significativo verso la modernizzazione del Paese». Che ne CARLO COTTARELLI p e n s a? «Nella manovra ci sono poche cose strutturali. Ci sono misure espansive per circa 37 miliardi, tre quarti delle quali sono rifinanziamenti di cose che già c’e ra n o oppure interventi temporanei legati all’uscita dalla crisi. Le misure strutturali si contano soltanto per un quarto e sono fondamentalmente due: il taglio delle tasse, poco ma almeno qualcosa c’è, e la riforma degli ammortizzatori sociali. A parte questo, non c’è moltissimo». Lei ha espresso pareri critici contro l’assuefazione da bonus a cui l’Italia è stata abituata in questi mesi. Cosa si poteva evitare? «Il bonus terme dato a pioggia, per esempio. Il bonus vacanze, che è arrivato nel momento sbagliato. E anche il bonus 110% per me è esagerato». Popolare ma costoso, con un «elevato rischio di comportamenti fraudolenti» per il capo del servizio struttura economica di Bankitalia, Fabrizio Balassone. «Prima o poi, i bonus che sono stati introdotti per l’edilizia dovranno essere interrotti, non possono andare avanti per sempre. La domanda è: che cosa succede a quel punto? Tutto d’un colpo i soldi finiscono e l’economia smette di crescere? Il punto fondamentale è vedere se quello che sta facendo il governo va bene, cioè se il debito è buono. La cartina di tornasole si vedrà quando i soldi finiranno: se hai speso bene, l’economia va avanti da sé. Se hai speso male, quando i soldi finiscono - e prima o poi finiranno - l’economia si ferma». A proposito di buona spesa, diversi Comuni italiani sono alle prese con enormi buchi di bilancio: alcuni sono messi così male da non riuscire a garantire l’at - tuazione dei progetti che l’Un io - ne europea ci chiede nell’a m bi to del Pnrr. Come se ne esce? «Forse si è messa troppa carne al fuoco, o forse l’Unione europea ci ha chiesto di mettere troppa carne al fuoco. Il Pnrr è una cosa molto complessa da gestire e c’è un problema di capacità: alcune amministrazioni si troveranno ad affrontare difficoltà notevoli con le risorse a disposizion. In alcune zone d’Italia, per via di assunzioni spesso clientelari, ci ritroviamo delle persone al posto sbagliato » . Cosa si può fare? «Una possibile soluzione, alla quale credo si stia già lavorando, potrebbe essere il rafforzamento del nucleo centrale, per garantire addestramento e assistenza alle amministrazioni locali». L’inflazione sta raggiungendo livelli preoccupanti. La crescita è a rischio secondo lei? «Per non prendere rischi dal punto di vista della crescita, governi e banche centrali stanno immettendo nell’economia una grande quantità di potere d’ac - quisto, che mette pressione sulla domanda. Finché si andrà avanti su questa strada, l’inflazione rimarrà alta. Prima o poi dovranno cambiare. Se, per averla ritardata troppo, si arrivasse poi a una stretta forte della politica monetaria, con un aumento dei tassi di interesse, è chiaro che si potrebbe d e s tabi l i z za re l ’economia. Ci siamo abituati ai tassi di interesse zero, addirittura negativi. Prima di aumentarli le banche centrali aspetteranno parecchio, ma più aspettano più sale il rischio che l’aumento possa avvenire tutto d’un colpo. Insomma, è una situazione molto difficile da gestire».

Trasparenz a zero: valutare i progressi è impossibile

 

La tabella di marcia del Pnrr prevede per il 2021 l’adozione di 21 interventi, di cui 27 riforme e 24 investimenti per sbloccare la prossima tranche di finanziamenti europei. L’Italia si è impegnata a conseguire 528 obiettivi entro il 2026. Il 23 settembre, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli ha presentato al Consiglio dei ministri la prima relazione di monitoraggio sull’attuazione del piano, che rivela un ritardo per gli investimenti: quattro su cinque previsti entro settembre dovevano ancora vedere la luce. In arretrato i ministeri del Turismo, della Transizione ecologica, della Pubblica amministrazione, del Mise e della Cooperazione internazionale. Andando a spulciare nei siti dei ministeri è impossibile risalire ai progetti che sono indicati in modo oscuro (volutamente?) con codici. Questo rende impossibile individuare le misure previste dal Piano. La Fondazione Openpolis ha fatto le pulci al portale Italia Domani che dovrebbe riportare in modo dettagliato lo stato di avanzamento nell’attu a zion e del Pnrr. In realtà i dati sono caricati, attraverso successivi aggiornamenti, in modo pasticciato e di difficile comprensione. Nel portale sono presenti due file. Uno con l’elenco delle misure che prevedono un finanziamento aggiornato al 30 settembre e l’altro con le scadenze, cioè traguardi e obiettivi, risalente al 12 lug l io. Openpolis a un primo esame aveva rilevato errori di compilazione: sia la descrizione testuale delle singole misure sia i relativi codici identificativi non coincidevano. Poi è accaduto che all’inizio di novembre il file delle scadenze è stato nuovamente caricato con un aggiornamento al 10 ottobre. Invece di creare un nuovo file, che avrebbe consentito di valutare lo stato di avanzamento dei lavori, è stato sostituito il precedente e senza modificare la data di creazione, che rimane il 12 luglio 2021. Ne ll’aggiornamento sono scomparse le scadenze intermedie, come la pubblicazione del bando di gara, che il governo aveva posto per meglio gestire la progressione dei lavori mentre sono rimaste quelle fissate dall’Europa, da cui dipende l’erogazione dei fondi. Mentre inizialmente erano indicate 1.148 voci di cui 621 obiettivi e traguardi posti dal governo, ora rimangono solo le 527 scadenze europee. Risulta pertanto impossibile avere una visione sulla progressione dei progetti, se i termini d el l’Europa saranno rispettati e quindi arriveranno i soldi. 

«sopravvalutata la capacità operativa degli enti pubblici»

 

«Sento spesso discutere di inserire questo o quel progetto. Ma si stanno perdendo di vista le scadenze. È stata sopravvalutata la capacità delle amministrazioni di elaborare progetti. Lo abbiamo visto con i fondi europei che giacciono inutilizzati o si perdono in mille rivoli inutili a ridosso delle scadenze. Se riuscissimo a realizzare almeno l’80% di quello che c’è scritto nel Pnrr, saremo un altro Paese». Leonardo Becchetti è professore di economia politica all’Univer si tà Tor Vergata a Roma e consulente del ministero dell’Ambiente sul Recovery plan. Vecchi progetti, mancanza di professionisti specializzati, incapacità di spesa ostacolano l’attuazione del Pnrr. C’è il rischio dell’ennesima brutta figura con l’Eu - ro pa? «Il rischio maggiore è non avviare i progetti per tempo, con la possibilità di perdere le risorse. Altro rischio è quello di non saper attivare le energie della società civile e delle imprese. Conoscenza e competenze sui territori, ci sono ma è necessario realizzare percorsi che sappiano coinvolgerle. Per fare un esempio, nel settore dei beni confiscati per i quali è previsto uno stanziamento non basta finanziare la riqualificazione di terreni e strutture, ma è fondamentale attivare i progetti di sviluppo che possono dare valore a tali s tr uttu re » . I progetti ecologici si scontrano con i veti incrociati degli ambientalisti e dei territori, come nel fotovoltaico: che si fa? «Si scontrano da una parte l’obiettivo di superare il collo di bottiglia nella produzione di energia da fonti rinnovabili, essenziale per vincere la sfida della transizione ecologica, dall’altra l’esigenza di tutelare il paesaggio. Bisogna conciliare questi principi tenendo conto che l’emergenza ambientale è urgente e che è anche necessario semplificare le procedure per gli impianti di energia verde. Ne sorgono pochi proprio per le difficoltà a ottenere le autorizzazioni sui territori. Tetti degli edifici, pannelli verticali che non consumano superficie agricola, sostituzione dell’amianto con i pannelli nelle strutture agricole, terreni dismessi e impianti offshore, sono alcune delle possibili soluzioni». Sono stati ripescati progetti fermi da anni. Se non andavano bene in passato, perché riproporli? «Sinceramente non mi pare un problema. L’e s te n s io - ne dell’alta velocità ferroviaria al Sud era in parte fondata su vecchia progettualità ma non avevamo le risorse. Ora le abbiamo ed è un’o p e ra assolutamente urgente». La valanga di denaro in arrivo da Bruxelles non aumenterà l’i n d e bi ta m e nto pu b bl ic o? «Il debito pubblico aumenterà per la porzione di Pnrr non occupata da aiuti a fondo perduto, anche se i tassi sui prestiti saranno molto favorevoli. Ma questo si sapeva ed è stata una scelta precisa del governo, diversa da quella di Paesi come il Portogallo che ha scelto di prendere solo i soldi a fondo perduto. La sfida per noi è che il Pnrr sia “buon debito”, ovvero debito che aiuta a creare valore economico in grado di ripagarlo». Bisog ne rà anche trova re risorse per far funzionare il Piano, ad esempio per pagare gli stipendi dei nuovi dipendenti. Che si fa? Si aumentano le imposte o si tag l i a? «I fondi saranno usati per investimenti pubblici diretti che includeranno le spese del personale per la gestione del progetto o per attivare investimenti privati che vinceranno i bandi di gara. Tutto questo non attiverà spesa pubblica aggiuntiva. Sulla questione più generale di come rientrare dal debito pubblico elevato ci sono diverse possibilità. Proprio ques t’anno la combinazione di alta crescita e inflazione leggermente più elevata ha creato le condizioni per una riduzione del rapporto tra debito e Pil non indifferente. Vedremo nei prossimi anni».



Partenza Non proprio Ri us c i t a

 

 È stato definito una tavola imbandita, ma a questa tavola affollata manca l’o rga n i z za z ione del menu. Il menu ci sarebbe ma è difficile servire le pietanze. Il Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, la grande occasione per il rilancio del Paese, è partito con il piede sbagliato. È diventato un contenitore «omnibus» in cui sono stati inseriti progetti avveniristici accanto a piani vecchi di decenni, documenti raffazzonati e cifre ballerine. E come nella migliore tradizione, quando si tratta di tanti soldi, entrano in campo tecnici improvvisati che non riescono a elaborare progetti credibili o rimangono impantanati nei labirinti della bu ro c ra z i a . Il Pnrr farà leva su una montagna di risorse: 192 miliardi di euro che arriveranno dal Next generation Ue lanciato dalla Commissione europea ai quali si aggiungeranno i 30 miliardi a valere sul fondo complementare stanziato dal governo nazionale. La cifra totale è di 222 miliardi. Il 40% di queste risorse, per vincolo imposto da Bruxelles recepito da Roma, dovrà essere destinato al Mezzogiorno. A tali risorse si aggiungono quelle dei fondi strutturali europei e quelle del fondo Ue di sviluppo e coesione. L’Italia deve ancora utilizzare 28,7 miliardi di fondi europei relativi al 2014-2020: nel Piano sono previsti 50 miliardi per progetti già finanziati in ritardo di anni. SPESE PAZZE Su questa mole di risorse pesano incognite legate alla capacità di spesa e al futuro dei progetti. Per realizzarli si richiede di ampliare gli organici della pubblica amministrazione: e in futuro chi li pagherà? Peseranno sul bilancio pubblico, serviranno nuove imposte o si faranno tagli? Economisti come Veronica De Romanis, docente all’u n ive r s i tà Luiss di Roma, hanno sollevato il problema. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Ma s s i m i li a n o Fe d r i ga , ha lanciato l’a l l a rme sulle modalità di spesa, chiedendo al governo chiarimenti su tempi e obiettivi: «Se le Regioni non saranno coinvolte rischiamo un flop e non vorremmo che questa vicenda si trasformasse in un gioco in cui rimane con il cerino in mano quello che si prende le responsabilità». Quando ci sono tanti soldi in ballo, la fantasia si scatena al servizio degli interessi. Nella lunga lista dei progetti che attingono ai soldi del Pnrr, compaiono anche voci di spesa che non si possono considerare una priorità. Sono previsti «impianti innovativi per il trattamento di pannolini e assorbenti». Il tema era stato affrontato dall’ex ministro dell’Ambiente, Sergio Cos ta , a maggio 2019 con un decreto che stabiliva i criteri in base ai quali i materiali derivanti dal riciclo di questi prodotti possono essere trasformati e qualificati come materie da immettere nuovamente nel processo produttivo. QUANTI PAROLONI Altri 1,2 miliardi di euro sono destinati ad ammodernare gli impianti di molitura delle olive. Il ministero dell’Ambiente ha partorito il progetto delle «piccole isole 100% green» a cui è destinata una dote di 75 milioni in 5 anni. Nel dettaglio si legge che sono «interventi integrati per la sostenibilità delle isole minori con azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, efficientemente energetico, mobilità sostenibile e gestione del ciclo dei rifiuti». Le foreste entreranno in città con il piano dal titolo «Foreste urbane resilienti per il benessere cittadino» a cui vanno 2,5 miliardi. Consiste in «una serie di azioni rivolte alle 14 città metropolitane per migliorare la qualità della vita e il benessere dei cittadini attraverso lo sviluppo delle foreste urbane e periurbane». Alcuni progetti hanno titoli poetici, come «Aria pulita: re-ispiriamoci», che si propone «il miglioramento della qualità dell’aria attraverso un pacchetto di azioni che intervengano sui principali settori dell’economia che impattano negativamente sull’aria». Praticamente la maggior parte delle attività condizionano la qualità dell’aria. Il ministero dello po economico propone invece l’«Erasmus per giovani imprenditori» con 6,3 milioni in tre anni per ampliare la «ridotta platea che oggi fruisce di un’i n i z i at iva interessante finanziata dalla Ue». Sono destinati 250 milioni a un «Fondo per le industrie creative», con l’obiettivo di sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese nei settori creativi e di favorire il loro incontro con le imprese tradizionali del made in Italy. Da parte sua, il ministero per l’I n n ne e l’ambiente (il Dania), solo 149 sono stati approvati, in quanto hanno rispettato tutti i 23 criteri di ammissibilità. Ne sono stati bocciati 90 mentre 10 saranno ammessi al finanziamento solo se ci saranno risorse disponibili. AgroNotizie ha calcolato che, sui 149 approvati, solo 41 progetti sarebbero immediatamente e totalmente finanziabili, per un valore di 510,6 milioni, pari al 31,6% dei finanziamenti disponibili di cui 10 interessano le regioni del Sud, per oltre 161,7 milioni di euro: 5 in Calabria, 3 in Basilicata, 2 in Campania e uno in Puglia ma non immediatamente finanziabile. La politica l’ha buttata sulla polemica antimeridionale, sulla presunta penalizzazione del Sud ma il ministero dell’Agricoltura ma ribadito che le Regioni erano perfettamente consapevoli dei criteri ai quali si dovevano uniformare i progetti e «hanno avuto la facoltà di esprimere una propria valutazione in funzione delle priorità di investimento». Quindi non ci sono scuse o alibi.

«Il super green pass è pura ipocrisia»

 

Origini siciliane e un curriculum non riassumibile in poche righe - tra specializzazioni, insegnamento e commissioni internazionali - Maria Rita Gismondo non ci sta a unirsi al coro degli allarmisti. Docente all’università degli studi di Milano e direttrice responsabile del laboratorio di microbiologia clinica e virologia dell’ospedale Sacco, chiede di chiamare il super green pass «obbligo vaccinale». E sui bambini avverte: «Mancano dati rischi-benefici». Massimo Galli dice che le cose stanno andando peggio del previsto. Com’è la situazione, vista dal suo osservatorio dell’ospedale Sacco? «Il nostro lavoro di laboratorio non è mai diminuito in questi mesi: tra test e osservazioni, ricerca e studio non abbiamo mai avuto un momento di tregua. Ma se mi sta chiedendo se in queste settimane io stia sperimentando una situazione particolarmente allarmante le dico di no, e che anzi stiamo vivendo giorni di ipocrisie e fantasie. Qualche caso sta crescendo rispetto all’estate, ma non ci sono intasamenti, e certo non griderei all’em erge n za » . Perché parla di i p o c r i s ie? «Perché sapevamo perfettamente che con l’inverno ci sarebbe stato un peggioramento, visto che ormai conosciamo - non dico del tutto, ma abbastanza bene - il virus e sappiamo che come altri di tipo respiratorio ha il suo acme nelle stagioni fredde. Che ci potesse essere un incremento dei contagi ed eventualmente di casi severi era risaputo, non c’è bisogno di far finta di cadere dal pero». Sono però s cattate nu ove strette e si discute se prolungare lo stato d’emergenza. Lo ritiene n e c e s s a r io? «Lo stato d’emergenza si dichiara quando si verifica una situazione improvvisa, che non è possibile gestire prendendo tempo con consultazioni e la sequela di interventi di approvazione: al premier si dà il via libera per prendere decisioni. Oggi però a cosa serve?». Non c’è un’e m e rge n za? «Guardi, lo stato d’e m e rge n za poteva aver senso fino allo scorso anno, nel pieno dello tsunami che ci ha colpito in maniera inaspettata. Oggi stiamo gestendo la situazione, cercando di fare tutti il meglio. Non c’è un’i m p rov v i s a sciagura. Quello di cui abbiamo bisogno sono sì i vaccini, ma anche terapie e misure di contenimento adeguate alla circolazione del virus, per evitare l’i nta s amento degli ospedali. Cose che si  possono gestire senza il regime di stato d’emergenza, perché stanno diventando quasi routinaria amministrazione. Quindi io qualche domanda, anche da cittadina informata, me la pongo». Ad esempio? «Prolungare l’emergenza dà alle persone la sensazione di vivere in un dramma profondo, in un tunnel senza via d’uscita. Mi chiedo a questo punto a chi serva: di fatto abbiamo assistito alla cristallizzazione della situazione politica pre Covid ed è diventato quasi impossibile parlare di elezioni, né di problemi economici che pur sono sempre esistiti nel Paese. Continuare con questo clima fa male a tutti. È un prezzo economico e psicologico molto grave. Mi domando se questo stato di cose non serva alla politica in primis, o almeno a parte di essa. La mia sensazione è che l’emergenza piaccia ad alcuni nostri politici, peccato che procuri danni inestimabili ad anziani ancora terrorizzati chiusi in casa». Se le cose vanno meglio è merito dei vaccini? «Grazie alle vaccinazioni si sono ridotti i casi severi e abbiamo risparmiato circa 12.000 decessi. Non poco, ma non tutto. Una cosa di cui prendere atto e che, purtroppo, sembra si faccia fatica ad accettare è che con il vaccino si possa contagiare ed essere contagiati. Siamo vittime di una falsa informazione che ha eretto i vaccini su una torre eburnea, inattaccabile, facendo credere alle persone di essere al sicuro. E questo ha creato un peggioramento della situazione. Che, comunque, è migliore rispetto a molti paesi in Europa». Le varianti fanno paura? «Certo il virus muta e non possiamo pensare di aver dato una vera svolta finché non ci saremo occupati dell’Africa e del Terzo mondo. Il punto è che ora si è iniziata la campagna per la terza dose vaccinale, ma con vaccini creati contro il virus di Wuhan, quando oggi siamo ormai alla variante Omicron. Le aziende farmaceutiche, che hanno fatturato miliardi e miliardi di dollari, sarebbe bene fornissero vaccini agg io r n at i » . È una cosa tecnicamente sempl ic e? «Basta cambiare un pezzo, non è complicato». La terza dose serve?«Sì. Mi stupisce che sia stata prevista dopo 5 mesi al posto di 6, perché non ho letto pubblicazioni che giustifichino questo anticipo, ma dal punto di vista degli effetti collaterali possibili non ci sono controindicazioni». Se aumentano i contagi non è colpa dei no vax? «Quante volte abbiamo incontrato persone che ci hanno detto: mi tolgo la mascherina, perché sono vaccinato? Il problema dei no vax è un non problema in un Paese con il nostro tasso di vaccin a z io n e » . Tra una settimana sarà in vigore il super green pass. «Invece che aggiungere un “su - per” non si poteva chiamarlo documento di vaccinazione? Dire cioè, senza altre ipocrisie, che la vaccinazione è diventata di fatto obbligatoria. Non sono contraria a priori all’obbligo vaccinale per alcune fasce d’età e i fragili, ma ritengo sia più che mai necessario chiamare le cose per come sono, senza raggiri di parole, misure stringenti. Occorre essere lineari e finalmente coerenti». Anche nella comunicazione? «Ovviamente esistono anche le strumentalizzazioni, ma i media per natura amplificano le informazioni e se le istituzioni ne hanno date di confuse, parte della responsabilità di quanto sta accadendo è loro». A che proposito, ad esempio? «Lo scorso anno i vaccini sono stati presentati come il Santo Graal, ma non è stato detto che sono sì un’ottima arma contro il virus, ma non l’unica. Ricordiamo di quando eravamo convinti che avremmo presto tolto le mascherine? Anche in quel caso figure istituzionali hanno dato informazioni fallaci». Lo disse a settembre il ministro d ell’Istruzione Patrizio Bianchi per le classi in cui ci fossero stati solo vaccinati. «Ad esempio. Tassello dopo tassello è stato creato un vero e proprio fanatismo del vaccino. Che a sua volta ha fatto sì che coloro che non sono no vax in assoluto, ma contrari a questa iniezione, si siano spaventati ancora di più per le controindicazioni e per quel che ancora non conosciamo di questi vaccini. Colpa, ribadisco, di una pessima comunicazione istituzionale». Ha quindi a suo parere radicalizzato le posizioni? «Sì, visto che il ruolo di chi non si vaccina è stato enfatizzato a dismisura, distogliendo da altri problemi. Lo zoccolo duro dei “no vax”non si può convincere: in qualsiasi campagna vaccinale c’è un 5-10% di persone che rifiuta. Un recentissimo studio della rivista scientifica L a n c et , scritto dall’epidemiologo tedesco Gunter Kampf, dice chiaramente che non serve a nulla stigmatizzare i non vaccinati, come se fossero gli unici colpevoli della pandemia: il virus circola sia attraverso chi ha fatto il vaccino, sia tramite chi non l’ha fatto. Parliamo, piuttosto, di cure». Anche domiciliari? «Certo. Noi esperti quando abbiamo chiesto un chiarimento, o espresso un dubbio, in questi mesi ci siamo visti crocifiggere. È terribile come di certe cose è come se non si possa più parlare. Le terapie sono state mostrate come una scelta di serie B, quando invece - accanto ai vaccini - sono fondamentali. Come possiamo dimenticare che il vero problema della malattia è l’intasame nto delle terapie intensive e che, se curiamo con efficacia i pazienti fin da subito, da casa, non certo con la “vigile attesa”, risolviamo il problema sia per il paziente sia per le strutture sanitarie, che necessitano di dare spazio a patologie che per troppo tempo sono state meno curate?». Arriva anche il vaccino per i ba m bi n i . « L’impatto psicologico sui più giovani di questa artificiale società della paura è stato enorme, e credo ne pagheremo le spese a lungo. Ad adolescenti e bambini, relegati in casa e considerati troppo spesso come untori, è stata attribuita una colpa». Cosa consiglierebbe ai genitori? «Non ho la pretesa di dire una verità assoluta, consiglio semplicemente la lettura del documento del direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani, il professor Francesco Vaia. Con un’intera commissione di esimi specialisti ha messo nero su bianco che non c’è ragione che conforti la scelta di vaccinare i bambini, perché non ci sono dati sufficienti, se non provenienti da pubblicazioni su un numero di casi irrisori, e perché non c’è un motivo legato al rischio-beneficio. Sto parlando dei bambini sani, ovviamente». Sono meno a rischio, ma possono contagiare gli adulti? «Il rischio tende allo zero, ed è ridicolo dire che occorre vaccinare i bambini per proteggere gli adulti. Siano gli adulti a vaccinarsi per stare con figli e nipoti, invece di richiedere un sacrificio assurdo ai più piccoli». Ritiene siano da adottare precauzioni per le festività di Natal e? «Il Natale si festeggi con chi si desidera, il problema non è quel pranzo, non è diverso da una cena con gli amici. Il virus non riconosce le festività. Occorre mantenere sempre prudenza, limitare i contatti fisici ravvicinati e tenere la mascherina il più possibi l e » .



«Non posso tollerare i virologi che si improvvisano politici»

 

Pierluigi Battista, giornalista di lungo corso, osservatore liberale esente da pregiudizi, è in libreria con La casa di Roma (La Nave di Teseo), romanzo che narra la storia di una famiglia degli anni Settanta attraversata dallo scontro tra fascisti e comunisti. «È stato il decennio peggiore della Repubblica. Pur con tutti i problemi che abbiamo oggi, è folle pensare che la vita fosse migliore ai tempi delle stragi e dei pestaggi. Oggi mi fanno paura quelli che puntano a rinfocolare il conflitto sociale. La politica deve saper gestire i conflitti: si parla tanto di inclusione, perché non ricominciare da lì?». A proposito di conflitti. Qua lche te m p o fa, proprio su queste pagine, te la sei presa con l’ege - monia «te c n o s a n i ta r i a » dei virologi. Oggi, mentre spunta la variante sudafricana, gli esperti hanno conquistato la tua simpati a? «No. Riconosco loro massima competenza tecnica, e talvolta perdòno anche gli errori, perché alla fine è chiaro a tutti che la situazione è complessa, e che da due anni tutto il mondo sta andando a tentoni. Tuttavia, non tollero gli scienziati che si improvvisano politici, che sconfinano su terre a loro ignote, che parlano di cose che non conoscono, come i diritti costituzionali o le strategie di contenimento. Quelle sono scelte politiche su cui i virologi non hanno titolo per intervenire. Non si può pretendere il rispetto della competenza, e poi affrontare argomenti su cui si è assolutamente inc o m p ete nt i » . Ce l’hai con qualcuno in partic ol a re? «Walter Ricciardi era quello che, a epidemia già avviata, andava in televisione a dire che la mascherina non serviva, e che non bisognava fare i tamponi agli asintomatici. E lo diceva, badate bene, con tono categorico e perentorio. Mi chiedo oggi quale credibilità possa avere uno come lui. E lo dico io, che sono vaccinato, vaccinista, e favorevole al green pass. Pur con alcune riserve». Per esempio? «Aderisco alla linea di Macron in Francia. Va bene ristoranti e stadi, ma non posso accettare che si pongano obblighi vaccinali di qualsiasi tipo nei luoghi di lavoro. Il diritto a lavorare lo considero insopprimibile. Tutti i modelli di passaporto sanitario dei Paesi occidentali, su cui in linea di principio mi trovo d’ac - cordo, non prevedono obblighi da questo punto di vista. Invece qui sento addirittura prospettaL’inter vista un diritto universale. Nel senso che appartiene a tutti, immigrati compresi. È tale ormai l’a s suefazione alla “libertà vigilata” che Mario Monti può tranquillamente e senza contrasto invocare limiti alla “s o m m i n i s tra z io n e de ll’informazione democratic a”». Si può essere favorevoli alla linea dell’esecutivo di Mario Draghi senza abbandonarsi alla condanna morale di chi resiste al passaporto sanitario? «Con i no vax violenti e complottisti non si può discutere: vanno combattuti e basta. Poi però ci sono altre categorie: penso agli italiani impauriti, confusi, o a quelli già vaccinati che tuttavia vivono questa situazione come una limitazione dei loro diritti. Queste persone non possiamo accomunarle ai no vax. Non possiamo punirle, demonizzarle, inveire contro di loro » . È il trattamento che è stato riservato a diversi intellettuali c o ntro c o r re nte? «Io non mi trovo d’ac c o rd o con le posizioni di Massimo Cacciari, ma non mi sognerei mai di ridicolizzarlo, o di farlo passare per complottista, come si è fatto con lui, con Giorgio Agamben, con Alessandro Barbero. La politica intelligente deve ridurre le tensioni sociali, non alimentarle. In una parola sola: includere. D’altronde stiamo vivendo una fase storica senza precedenti: non possiamo pensare che tra gli italiani si raggiunga l’u n a n imità di opinioni. È impossibile». E p pu re si parla sempre più spesso di rendere il vaccino obbl i gato r io. «Non credo che Draghi abbia voglia di introdurlo. Esiste un problema di conflitto sociale che il premier non ha intenzione di alimentare. Ricordiamoci quanto successe ad aprile: la rappresentanza di sinistra al governo era incredibilmente “c h i u su r is ta”, e Draghi la sfidò con le aperture, sulla base del concetto di “rischio ragionato”. Penso che in futuro avremo a che fare con provvedimenti magari imperPIERLUIGI BATTISTA fetti e abborracciati, ma Draghi medierà. Anche perché, diciamocelo, il problema non sono più quelli che rifiutano la prima dose». C io è ? «Guardiamo i numeri. Oggi abbiamo 15.000-20.000 persone al giorno che si sottopongono alla prima dose. Se anche arrivassimo a 25.000, a livello epidemiologico cambierebbe poco. Il problema di convincere i no vax è superato, perché quello che il green pass poteva fare per spingere la gente a vaccinarsi, è stato già fatto. E temo che neanche questa versione rinforzata del passaporto verde porterà incrementi significativi nella somministrazione di prime dosi. Il fatto è che il giornalismo italiano, che è sempre concentrato sul giorno per giorno, non si accorge che la vera sfida, adesso, è quella di accelerare sulle terze dosi per chi vuole vaccinarsi. Perlomeno sulle fasce d’età più a rischio. Terze dosi, non prime». La corsa forsennata al vaccino combacia con la corsa al Quirinale. Draghi è ancora favorit o? «Lo sarebbe, se non fosse che se lui va al Quirinale poi il Paese va al voto. Draghi serve a Palazzo Chigi, perché garantisce con l’Unione europea per la trattativa sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). E il prossimo anno sarà quello decisivo per stabilire con precisione l’a l l o c azione di queste risorse, peraltro in una fase di eccezionalità sia economica che sanitaria». E allora? «Il problema è che con una maggioranza così variegata, ogni ipotesi diventa difficile in partenza. I partiti sono deboli e spaccati al loro interno. Nessuno ha la forza di fare lo strappo, magari con un nome da imporre sugli altri. E del resto non si può imporre un presidente della Repubblica contro la volontà di una parte della maggioranza governativa. Insomma, servirebbe un jolly estratto dal mazzo». I nomi sul tavolo del poker c om inciano ad affollarsi… «Le ipotesi Silvio Berlusconi o Elisabetta Casellati non credo esistano davvero. Marcello Pera? Improbabile. Paolo Gentiloni? Direi di no, anche perché il Partito democratico non può pensare di occupare a vita il palazzo del Quirinale. Ci sarebbe Marta Cartabia, che tuttavia sconta un rapporto conflittuale con il Movimento cinque stelle. Anche se, pur di evitare le elezioni, i grillini digerirebbero il nome di chiunque. Forse persino quello di Giuliano Castellino, leader di Forza Nuova…». E Pier Ferdinando Casini? Giuliano Amato? «Ripeto, è difficile attribuire probabilità, perché bisogna passare dalle forche caudine dei franchi tiratori, che sono tremendi. Ti impediscono di fare conteggi preventivi. Puoi disinnescarli solo con un accordo che sia così vasto da renderli irrileva nt i » . E se l’accordo non arriva? «Allora credo che in quel caso Sergio Mattarella, pur avendo zero voglia, accetterà il reincarico. Magari solo fino alle politiche, per far sì che il successivo presidente venga espresso da un nuovo Parlamento, più in linea con i sentimenti del Paese. Tutto questo, per senso dello Stato. E per evitare lo sfascio».

«Denunciamo all’Aja le leggi sul Covid»

 

Il Regolamento Ue sul green pass proibiva la discriminazione di chi sceglie di non vaccinarsi. Ma poi, quando la Commissione è stata interpellata sull’uso che ne era stato fatto in Italia, ha risposto che quel principio valeva solo per gli spostamenti tra Paesi dell’Unio - ne, mentre ogni Stato, al suo interno, può orientarsi come vuole.

L’avvocato Olga Milanese, già promotrice del Comitato referendum no green pass, è ormai diventata uno dei volti tv della protesta contro il certificato verde. L’ul - timo alterco catodico l’ha avuto, su Rete 4, con l’infettivologo Matteo B a s s ett i . Dottoressa, lei è una no vax? «Assolutamente no». È vaccinata? « L’ho spiegato in tv: credo che questa domanda non possa essere p o s ta » . Pe rch é ? «Se nel 2019 avessimo chiesto una cosa del genere in una trasmissione, si sarebbe sollevato un vespaio: sono dati sanitari riservatissimi». B e’, nel 2019 non c’era una pandemia. Non è così assurdo ch e , o ra , la sensibilità sia cambiata. «Sì, ma l’emergenza non legittima qualunque cosa. Stiamo assistendo alla progressiva destrutturazione dell’intero ordinamento: si è iniziato con il negare alcuni diritti fondamentali a tutti i cittadini, si è poi arrivati alla restituzione di quei diritti sub condic io n e, alla loro radicale abolizione per una categoria di cittadini, alla totale vanificazione del diritto alla privacy». Il super green pass aggrava il p ro bl e m a? «Certamente! Sinora la discriminazione imposta dalle istituzioni, comunque inaccettabile, poteva essere superata pagando un prezzo, quello del tampone. Con il dl 172/2021, invece, il cittadino sarà inappellabilmente escluso dalla partecipazione alla vita economica e sociale della nazione, che rappresenta uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione. È qualcosa che va oltre l’apa rth eid » . La Verità ha usato proprio questa etichetta. È poco? « L’apartheid ghettizzava una razza, confinandola in alcuni spazi ad hoc; in questo caso, vengono negati persino quegli spazi, ai ghettizzati viene consentito solo di lavorare e stare in casa». Nel Sudafrica dell’apar theid c’era l’autobus per i neri, ma c’e ra; qui, l’autobus per chi non ha il green pass proprio non c’è. «Esatto. È gravissimo. Dopo anni passati a criticare, con senso di superiorità, gli autocrati alla Viktor Orbán, perché non rispettavano i diritti delle minoranze, ci stiamo ora rendendo colpevoli di fatti ancor più gravi. E non solo consideriamo tutto ciò legittimo, ma addirittura riteniamo questi provvedimenti “v i rtuo s i” e pensiamo di essere un esempio per gli altri Paesi». Bassetti laaccusa di avanzare tesi « c o ntro s c ie nti f ich e » . «Evidentemente legge i numeri a seconda di come gli conviene». Di che parla? «Dei numeri dell’Iss: attestano che, nel totale complessivo dei decessi, dal 24 settembre al 24 ottobre, quelli dei soggetti vaccinati erano superiori a quelli dei soggetti non vaccinati». Con la stragrande maggioranza della popolazione che ha ricevuto le dosi, è logico che i morti siano più tra i vaccinati. È un paradosso s tati s tic o. «No, non è un paradosso statistico, perché per valutare la capacità del vaccino di schermare dal decorso grave della malattia e dalla morte, il rapporto va calcolato sui positivi, non sul totale della popolazione vaccinata». Si spieghi. «Nel periodo considerato, tra i non vaccinati ci sono stati 384 decessi su 50.564 positivi; tra i vaccinati, 463 decessi su 76.139 positivi. Dunque, tra i non vaccinati abbiamo avuto 75,94 decessi ogni 10.000 positivi; tra i vaccinati, 60,8. Il rapporto è leggermente favorevole ai vaccinati, ma non c’è l’abisso che ci si dovrebbe aspettare». La vostra iniziativa referendaria è naufragata? «Avevamo chiesto al governo una proroga dei termini per la presentazione delle firme, ma non ci hanno nemmeno risposto. Non avevamo avuto neppure il tempo di ricevere i plichi dai Comuni. Abbiamo trovato difficoltà anche alle Poste, dove dovevamo sbrigare ogni pratica previo appuntamento». Vi siete sentiti boicottati? «Di sicuro siamo stati molto ostacolati. Ci hanno silenziato, la nostra iniziativa è passata in sordina, quasi tutti i media ci hanno ignorato e, le poche volte in cui siamo andati in tv, gli spazi sono stati risicatissimi. Ci hanno invitati giusto per far vedere che c’era un minimo di contraddittorio». Il Comitato, però, aveva azzeccato una previsione: il green pass durerà oltre il 31 dicembre, per ora termine ultimo dello stato d’emer - genza. Il foglio verde può essere reso indipendente dal regime speciale? «È quello che hanno fatto. E non solo il green pass è stato esteso, ma è stato rafforzato. In questo senso, il problema è svincolato dalla questione vaccini». C io è ? «Il pass introduce, sì, un obbligo vaccinale surrettizio, ma ciò che più preoccupa è che sia uno strumento di distruzione dei diritti dei cittadini e della democrazia. È questo che dovrebbe allertare i giuristi, dai professori ai magistrati». Lo Stato che distribuisce premi e punizioni a conformi e non confo r m i ? «Ma quali premi? Il premio per chi sottostà al ricatto di Stato è, al massimo, il godere della punizione che viene inflitta a chi non ha dito. Lo Stato ci ha privati dei nostri diritti costituzionali e, per ridarceli, ci ha imposto un onere da assolvere. Questo non è un premio; è un furto, un ricatto, appunto». L’ultimo dl introduce il super green pass già in zona bianca, dove l’allarme, per definizione, non esiste. Ma i decreti non dovrebbero essere giustificati da urgenze attuali? Ora variamo decreti su ll a base di un’urgenza ipotetica? «È una questione che qualcuno avrebbe dovuto porsi, prima di licenziare questo decreto. Adesso siamo passati dallo stato d’emer - genza allo stato di prevenzione. Ancora più pericoloso». Pe rch é ? «Con la scusa della prevenzione, posso fare quello che voglio: devo costantemente prevenire, appunto, un pericolo che non arriva mai. L’emergenza non è più attuale; c’è solo la presunzione di una catastrofe incombente». Visto che è stata così brava con la previsione precedente, og g i preve - de che il super green pass duri oltre il 15 gennaio? «È chiaro che finirà così. E con l’inasprimento dei controlli e l’abo - lizione della privacy, siamo passati da uno Stato di diritto a uno Stato di polizia». Ma su tutti i diritti di cui lei prende le difese, non prevale il dovere di tutelare la salute pubblica? «No. La Costituzione prevede un bilanciamento dei diritti, ma esso non può tracimare nella tirannia di un diritto sugli altri. Tra l’altro, i primi tre articoli della Carta, che sono i più importanti, non parlano di salute pubblica, bensì di diritto all’eguaglianza, al lavoro, alla pari dignità dei cittadini. E quando la Costituzione autorizza i trattamenti sanitari obbligatori, pone comunque un limite: il rispetto della persona umana. Questo limite è stato abbondantemente superato » . Contro il green pass, si può tentare la strada dei ricorsi in Corte costituzionale, o alla Corte europea dei diritti dell’uo m o? «Dopo l’iniziativa referendaria, stiamo costituendo l’a s s o c i a z io n e Umanità e Ragione, che si pone proprio questo obiettivo. Il primo tentativo sarà un esposto - impropriamente detto, è solo per intenderci - con cui porteremo davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja la gestione Covid italiana». In che senso? «Vogliamo che la Corte dell’Aja giudichi la legittimità di tutto quello che è stato fatto dall’inizio della pandemia fino ad ora. Tutta la legislazione sul Covid: dal primo lockdown a oggi». Per adir e la Consulta serve che sia un giudice a sollevare la questione di costituz io n a l i tà? «Sì, nell’a mbito di un contenzioso ordinario. È questa la difficoltà: gli strumenti a tutela dei cittadini non sono molti. Come fa chi ha perso il lavoro, o la famiglia dello studente che magari non ha nemmeno i soldi per pagarsi i tamponi con cui prendere i mezzi per andare a scuola, a sostenere i costi e i tempi di u n’azione giudiziaria? Per questo abbiamo scelto di percorrere la strada internazionale». Con che prospettive? «I ricorsi Cedu sono più complicati di quelli all’Aja; ci sono state già delle pronunce di improcedibilità » . Eppure, un tema di diritto europeo esiste. Il Regolamento Ue sul green pass proibiva la discriminazione di chi sceglie di non vaccinarsi. Ma poi, quando la Commissione è stata interpellata sull’uso che ne era stato fatto in Italia, ha risposto che quel principio valeva solo per gli spostamenti tra Paesi dell’Unio - ne, mentre ogni Stato, al suo interno, può orientarsi come vuole. Troppo comodo… «È esattamente il motivo per cui si deve adire la Cedu. Il problema riguarda l’esperibilità previo esaurimento dei rimedi interni». Ov ve ro? «Teoricamente bisognerebbe prima esperire tutti i gradi di giudizio all’interno del singolo Stato. In Italia, se ne riparlerebbe tra vent’anni…». E come farete? «Stiamo studiando delle strade alternative per impostare dei ricorsi che potrebbero essere accolti. Oltre, ovviamente, a quelli che comunque porteremo avanti in Italia, per riaffermare il primato dello Stato di diritto e dei diritti dell’uo - mo». Che ne pensa dell’idea «brunettiana», apparentemente avallata da Mario Draghi, di togliere lo stato d’emergenza conservando i poteri speciali, magari dentro una struttura ad hoc di Palazzo Chigi? «È preoccupante. Mi piacerebbe capire, tecnicamente, come potrebbero realizzare un progetto simile. Ma in ogni caso, neppure l’esi - stenza dell’emergenza legittima tutto quello che è stato fatto fino ad o ra » . C o s’ha pensato quando, in conferenza stampa, Draghi ha affermato papale papale che i non vaccinati non fanno più parte della soc ietà? «È la conferma del fatto che, volutamente e impunemente, stanno segregando e discriminando una categoria di cittadini per una scelta che la legge consente loro di compiere, e per la loro volontà di rimanere fedeli al principio della libertà terapeutica. È un’ammissione pubblica di colpa».

False promesse, minacce, paura Ci trattano come bambini

 

 Beppe Sala, sindaco di Milano, dichiara baldanzos o alla Sta m pa ch e «con i vaccini il Covid fa meno paura», e sono proprio frasi come queste a dare la misura dell’a s su rd i tà della situazione. Nonostante i vaccini, la paura galoppa lo stesso, e l’intero sistema politico mediatico si prodiga per alimentarla. Fioccano ovunque i titoli sulla variante Omicron, sulla versione sudafricana del morbo che ha contagiato un malcapitato campano doppiamente inoculato. Quindi - iniezioni o meno - la paura c’è eccome, e continua a essere utilizzata come strumento politico. La strategia dell’e m oz io n e è sempre la stessa dall’i n i z io della pandemia: si spargono angoscia e timore per spingere la popolazione ad agire sulla base dei sentimenti, delle sensazioni, evitando il più possibile le argomentazioni razionali. Ha perfettamente ragione, a questo proposito, il sempre lucido giurista Miche - le Ainis, che al Fatto d ic h i a ra: «Il governo ci tratta come bambini». Secondo lo studioso il super green pass è una costrizione, un obbligo vaccinale mascherato con uno scopo «pedagogico: si vuole abituare gli italiani a una serie sempre più stringente di restrizioni fino a che l’obbligo di vaccinazione, se ancora ce ne sarà bisogno, finirà per essere considerato naturale». Le istituzioni hanno da tempo assunto un atteggiamento materno, ovviamente perverso. Alternano false promesse a minacce, non forniscono giustificazioni logiche ai provvedimenti, ma si limitano - spazientite - a richiamare il popolo all’obbedien - za, proprio come farebbe una matrigna con il bambino restio ad assecondarla. E quando poi i provvedimenti non funzionano, la responsabilità ricade manco a dirlo sui pargoletti. Il discorso ricorrente è più o meno questo: «Se volete salvare le feste, comportatevi bene». Che è un po’ come dire: «Fai il bravo se no Babbo Natale non arriva». Roberto Speranza, ad esempio, insiste affinché i sindaci impongano l’obb li go di mascherine all’aperto. Un provvedimento la cui utilità è estremamente discutibile, e che presuppone l’i n c apac i tà dei singoli di gestirsi da soli. In teoria, i cittadini dovrebbero essere in grado di stabilire in quali situazioni sia opportuno servirsi dei dispositivi di protezione anche all’e s te r n o. In ogni caso, fare credere che l’aumento dei contagi sia dovuto a chi non si copre la bocca all’aria aperta rimane un p o’ scorretto. Anche perché - salvo in caso di proteste che fanno storia a sé e per di più sono state vietate - è difficile sostenere che gli italiani si siano comportati da irresponsabili in questi due anni. Eppure anche Luciana Lamorgese batte ancora su questo tasto: «È il momento della responsabilità», dichiara. «Per passare in modo sereno il periodo natalizio dobbiamo fare la nostra parte». In effetti, sarebbe ora che il signor ministro la sua parte la facesse, magari limitandosi a svolgere dignitosamente il proprio compito, ma non sembra che ne abbia l’intenzione. È molto più facile, dopo tutto, comportarsi da matrigne: promettere ceffoni e punizioni, imporre regole assurde e offensive, e poi spiegare a Cenerentola che se non può andare al ballo è soltanto per colpa sua. Mai come in questo momento, per arginare il materno perverso, servirebbe una madre buona. Cioè quella che non imprigiona il figlio né lo mantiene in una condizione permanente di minorità, ma lo sostiene, lo cura e gli fornisce gli strumenti per affrontare con coraggio e libertà la vita di ogni giorno. L’istituzione a cui tanti italiani si volgono, in tali circostanze, non può che essere la Chiesa, madre per d e f i n i z io n e. Ancora una volta, però, Roma sconcerta e un filo delude. Papa Fra n c e s c o ha comunicato che l’8 dicembre «compirà un atto di devozione privato, pregando la Madonna perché protegga i romani, la città in cui vivono e i malati che necessitano della Sua materna protezione ovunque nel mondo». Non solo: anche quest’an - no la messa natalizia che tradizionalmente si svolge a mezzanotte sarà anticipata alle 19.30. Sono brutti segnali: perché organizzarsi come se fosse ancora in vigore il coprifuoco? O in Vaticano sanno qualcosa che noi non sappiamo, oppure sono più realisti del re. Con queste decisioni, sembra che la Chiesa arretri di fronte a «La Scienza», cioè a una caricatura di ragione che sempre più si confonde con la superstizione. Pare che Sa n P ietro si faccia volentieri soppiantare dalla Cattedrale Sanitaria e dai suoi predicatori pronti a spedire all’i nfer no tutti i peccatori che spargono il contagio. La madre buona, una volta in più, cede il passo alla matrigna. E allora comportatevi bene, e obbedite. Altrimenti, finirà che a mezzanotte vi trasformerete tutti in zucche. Anzi, alle 22: perché nella realtà il coprifuoco è più violento che nelle favole.

Il Covid mutante diventa la scusa per murare Draghi a Palazzo Chigi

 

Quella stretta di mano forte forte a Villa Madama tra il presidente Sergio Mattarella e il premier Mario Draghi è così piaciuta alla sinistra che vorrebbe «fissarla». Anche perché è arrivata Omicron e allora meglio non disturbare i conducenti. È bastato il primo caso in Italia dell’ultima variante del Covid-19 e subito i giornali hanno rafforzato il dibattito a senso unico sul Quirinale. «Congelare i vertici istituzionali», ha consigliato ieri Marcello Sorgi sulle colonne della Sta m p a , raccontando che voci di corridoio consigliano di non cambiare i giocatori in campo e una ragione che basterebbe a far restare Matta - rel l a al Colle non è l’idea di «un congelamento ma una stabilizzazione resa necessaria dal possibile aggravarsi di una situazione a tutt’oggi eccezionale e che non riguarda solo l’Ita - lia». Quindi meglio convincere D ra g h i a restare a Palazzo Chigi e il presidente ad annullare il contratto d’affitto della nuova casa. Anche perché, sottolinea l’editorialista, «qualsiasi altro assetto se messo alla prova di una nuova emergenza potrebbe fornire sorprese sia sul piano interno che su quello intern a z io n a l e » . Evitare scossoni - ovvero, elezioni anticipate - è anche il consiglio del direttore di Re - p ub b l ic a , Maurizio Molinari, secondo il quale il «know how sanitario maturato dal fatto che siamo stati il primo Paese colpito e dunque con maggior esperienza», può fare la differenza, con lo stato d’emergen - za che andrà sicuramente rinnovato. E se il virus era il pilastro della nomina dell’ex governatore della Bce, c’è poi la crisi economica, «ancora tutta da risolvere se è vero che arrivano i soldi del Pnrr ma Comuni e Regioni, soprattutto al Sud a detta degli stessi amministratori locali, non sono in grado di redigere i progetti». Meglio lasciare tutto fermo ed evitare elezioni usando un’a l tra parola chiave: responsabilità. Come fa il direttore del Giorna - l e, Augusto Minzolini, ma da un altro punto di vista rispetto al mainstream dei giornali di sinistra, avendo in Silvio Berlu s c o n i il candidato ideale per il Quirinale. Infatti la responsabilità dovrebbe usarla Dra - ghi, che potrebbe avere legittime ambizioni a salire al Colle ma che rischierebbe di passare «da eroe a disertore». «Ora a questo mondo si può far tutto, si può anche chiedere agli italiani pazienza e sacrifici e poi decidere di far bagagli e cambiar Palazzo e Colle. Solo che una scelta del genere, che sarebbe quasi naturale in futuro per un premier che si è speso in un momento dei più difficili della storia del Paese calandosi nei panni dell’eroe, oggi striderebbe non poco di fronte ai problemi del presente. Sarebbe un passaggio innaturale in questo momento», scrive Min - zol i n i , secondo il quale, però, «la questione in un Paese normale neppure si porrebbe, a vedere i dati dei contagi che aumentano, le nuove varianti che incutono paura, i mercati che precipitano per il virus e tutto quello che resta da fare per rimettere in piedi l’econo - mia quando siamo ancora sotto le bombe della pandemia». Un altro pretesto per murare D ra g h i a Palazzo Chigi.

Pur di terrorizzarci con la variante manipolano i numeri

 

Panico per gli spargitori di panico: forse la variante Omicron non è così terribile, e, per alimentare altro terrore, occorrerà ripiegare - chissà - sulla prossima variante. I più perfidi, sui social, fanno del resto osservare che l’alfabeto greco ha ben 24 lettere, e che dunque nuove opportunità non m a n c h e ra n n o. Ironie a parte, la dichiarazione chiave della giornata - pubblicata dall’edizione domenicale del Te le g rap h di Londra - è quella della dottoressa Angelique C o etze e, medico a Pretoria nonché presidente della Associazione dei medici del Sudafrica: «La variante Omicron provoca una malattia leggera senza sintomi importanti». Nella sua clinica dall’inizio del mese sono arrivati pazienti con «sintomi insoliti ma leggeri»: si sono infatti presentate per farsi visitare «persone giovani di differenti background ed etnie con intenso affaticamento, e un bambino di 6 anni con battito accelerato. Nessuno invece con perdita di gusto e olfatto». E ancora: «I lori sintomi erano molto differenti e più lievi di quelli che avevo curato in precedenza». In totale «due dozzine di pazienti sono risultati positivi con sintomi della nuova variante», e «circa la metà di loro non era vaccinata». Come si vede, dichiarazioni non in linea con la liturgia del terrore alimentata da queste parti. E che tale liturgia appaia forse fuori misura lo raccontano per un verso i numeri e per altro verso un episodio che ha coinvolto una squadra italiana di rugby. Cominciamo dai numeri. Secondo la sintesi del Csse della Johns Hopkins Uni - v e rsity, il 27 novembre il Sudafrica ha registrato 6.048 casi, con una media settimanale, nei sette giorni precedenti, di circa 4.000 casi al giorno (secondo Worl dom eters.i nfo, invece, i numeri sarebbero ancora più piccoli, con circa 3.000 casi al giorno negli ultimi tre giorni). È vero che le segnalazioni sono molto irregolari (l’alternarsi di giorni con numeri alti e numeri bassi fa pensare a un accorpamento temporale dei dati in alcune singole giornate). Ed è anche vero (in questo caso i numeri vengono da Our world in data) che il numero dei test giornalieri in Sudafrica è contenuto (circa 40.000 al giorno). Ma, tutto considerato, le statistiche sui decessi appaiono tutt’altro che catastrofiche: sempre secondo il Csse della Johns Hopkins Un ive rs i ty , i morti sarebbero stati 10 il 22 novembre, 51 il 23, 22 il 24, 114 il 25, 0 il 26, 20 il 27. Anche prendendo tutte queste cifre con un doveroso beneficio di inventario, non sembra affatto uno scenario apocalittico, anzi. A confermare la molto probabile sopravvalutazione del fenomeno Omicron da parte europea e italiana, si aggiunge il racconto dell’avventura capitata alle Zebre, la squadra di rugby di Parma, che ieri ha avuto l’ok per il rientro in Italia dal Sudafrica. Il loro presidente Michele Dalaiha dichiarato: «Siamo chiusi in albergo a Città del Capo, per nostra scelta. La città non è in lockdown, le persone interagiscono all’aperto e al chiuso». E ancora: «La situazione a Città del Capo sembra più serena e tranquilla rispetto a come viene descritta». Per la cronaca, i rugbysti e lo staff (circa 40 persone) sono tutti negativi. Tornando dalle nostre parti, rimane una doppia spiacevole sensazione. Per un verso, quella di una iper reazione da parte delle autorità, di una drammatizzazione anche mediatica che contribuirà a creare altra paura, altro panico, e ad allontanare il ritorno a una qualche forma di normalità. E considerato che altre varianti inevitabilmente saranno identificate, si rischia di entrare in un circolo vizioso. Per altro verso, c’è anche la sensazione di poderosi interessi economici oggettivamente in gioco. Senza complottismi, ma semplicemente guardando l’andamento dei fondi che hanno in portafoglio titoli legati alle società produttrici di vaccini, La Verità di ieri ha già fatto notare a Wall Street il +20% riferibile a Moderna, il +15,5% per Biontech, e il +6% per Pfizer, con un balzo complessivo di 50 miliardi di valore in più per i tre giganti. E resta infine una clamorosa contraddizione logica a carico delle nostre autorità politiche e sanitarie. Come si fa - da un lato - ad ammettere di non sapere quasi nulla della nuova variante e - dall’altro - ad accettare come oro colato la certezza di ricevere vaccini «aggiornati» entro 100 giorni? E ancora: come si fa nello stesso tempo a spargere il panico minacciando nuove restrizioni, e contestualmente a chiedere ai cittadini di avere fiducia nella campagna vaccinal e? Intanto, con immediato rilancio mediatico (G r Rai ), il paziente zero italiano contagiato dalla variante Omicron si è testualmente dichiarato «soddisfatto» di essersi «vaccinato, perché il vaccino nel nostro caso ha funzionato in maniera egregia». Tuttavia, gioverebbe ricordare (elemento emerso già venerdì scorso) che, come riferito dalle autorità del Botswana, dove sono stati individuati quattro casi tra altrettanti viaggiatori, gli infettati erano tutti «vaccinati con ciclo completo». Ottime ragioni per far prevalere un’inte lligente cautela rispetto a una surreale alternanza di trionfalismo e terrore.

lunedì 29 novembre 2021

TG BYOBLU24 | 29 novembre 2021


 

VOGLIONO CONTROLLARE L’INFORMA ZIONE PER NASCONDERE I LORO ERRORI SUL COVID

 

Qualcuno di voi crede che l’epidemia di Covid si curi somministrando ai contagiati un farmaco in grado di guarirli? Beh, questo qualcuno si sbaglia, perché per vincere la guerra contro il virus bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione non dei farmaci, ma dell’i n fo r m a z io - ne. Sì, il problema non è la pandemia, ma sono giornali, tv e siti web a cui non è stata tappata la bocca. Parola di Mario Monti, senatore a vita ed ex presidente del Consiglio, ossia dell’uomo che ha fatto i compiti per conto di An gel a M e rkel e di Nicolas Sarkozy e al quale dobbiamo dire grazie se dopo dieci anni l’Italia non si è ancora risollevata dopo il suo passaggio. Il fondatore di Scelta civica, partito che per nostra fortuna si è sciolto civilmente in pochi mesi, questo convincimento, cioè che l’i nformazione andrebbe silenziata, lo ha espresso l’a l tra sera in tv, durante l’ap pu ntamento condotto da Dav id Pa re n zo e Concita De Grego r io su La 7. Leggere la trascrizione per credere: «Da due anni con lo scoppio della pandemia abbiamo visto che il modo con cui è organizzato il nostro mondo è desueto, non serve più». E quale organizzazione del nostro mondo non è più necessaria secondo il senatore a vita nominato da Giorgio Napolitano per tassarci? La comunicazione, ovvio no? «Subito, quando è comparso il virus, abbiamo usato il termine guerra, ma non abbiamo usato una politica di comunicazione adatta alla guerra». Durante i conflitti i governi impongono la censura ai giornali, impedendo ai cronisti di fare il loro mestiere, con la scusa che non si deve agevolare il nemico. Le notizie potrebbero favorire le spie e far sapere all’i nva s ore le contromisure prese per sconfiggerlo. Dunque, l’informazione deve passare al vaglio del ministero della Difesa, come ai tempi del Minculpop. In questo caso non si capisce bene se la lettura dei quotidiani o l’ascolto dei dibattiti in tv allertino il virus, mettendolo in guardia sulle terapie allo studio. Sta di fatto che per M o nti il problema non sono le molte balle che politici e virologi hanno raccontato agli italiani, convincendoli che non c’è da fidarsi, ma il problema siamo noi, umili addetti dell’informazione che non ci rassegniamo a smettere di raccontare i fatti e raccogliere opinioni. A dire il vero, tre quarti della stampa e della tv, anzi diremmo nove decimi visto che ormai esiste una specie di quotidiano unico nazionale sia in edicola che sul piccolo schermo, si sono già adeguati alla censura, imponendosela da soli senza attendere nemmeno che qualcuno la ordinasse. Sta di fatto che pure la comunicazione diffusa con il contagocce da poche trasmissioni e da ancor meno giornali a M o nti dà fastidio. «Io credo che bisognerà trovare un sistema che dosi dall’alto l’informazione, con metodi meno democratici». E chi dovrà assumersi il compito di stabilire quale dose di notizie sia giustificata? chiede la conduttrice del programma tv. La risposta è scontata: «Il governo, ispirato, nutrito e istruito dalle autorità sanitarie». Sì, per il senatore a vita bisogna istituire un regime controllato dai virologi, che oltre a rinchiudere i dissidenti in casa e, eventualmente, in carcere, dovrà prendersi cura anche dei giornalisti, impedendogli se del caso di parlare e scrivere. Immaginiamo noi che le estreme conseguenze saranno la chiusura dei giornali e lo spegnimento delle televisioni. Del resto, secondo M o nti «noi ci siamo abituati alla possibilità incondizionata di dire qualsiasi verità o qualsiasi sciocchezza sui media», ma si capisce che è ora di farla finita con questa possibilità, che pur essendo garantita dalla Costituzione, articolo 21, a parere dell’ex rettore della Bocconi è considerata una cosa desueta, che non serve pi ù . Che M o nti non sia il solo a pensarla così lo si capisce anche da ciò che ha detto prima di lui, sempre su La 7, Beppe Severgnini e di cui abbiamo scritto ieri. Ad A ndrea Crisanti, professore che si è dimostrato cauto sulla vaccinazione ai bambini, il giornalista del C o rriere della Sera ha rimproverato di parlare in tv e in prima serata, quasi che le notizie debbano essere trasmesse in fascia protetta o, ancor meglio, come ha detto lo stesso Severg nini, solo nei congressi, altrimenti l’opinione pubblica può farsi un’idea. Certo, il problema è non far sapere come stanno le cose, limitando l’informazione. Infatti, via Twitter c’è chi sollecita la cacciata dal social di chiunque critichi le decisioni governative. Perché per curare il Covid non c’è nulla di meglio del bavaglio. Noi non siamo soliti parlare di regime, ma in giro si respira una certa arietta di dittatura sanitaria che comincia a preoccuparci, perché se perfino l’articolo 21 della Costituzione è «un’abitudine», figuratevi il resto. Il Tso impartito ai dissidenti è dietro l’a n go l o.

Quando il mondo non si fa cambiare l’uomo si perde dentro sé stesso

 

Per circa un
anno e mezzo,
fra il 1896 e il
1897, Sig mund
Freud elaborò, a
s u o d i r e , u n a
teoria detta della seduzione
infantile, in base alla quale le
nevrosi avrebbero appunto
u norigine nellinfanzia, in
episodi in cui un adulto com-
pie atti di natura sessuale su
un bambino o bambina. Non
avendo ancora sviluppato
una propria sessualità, la vit-
tima non comprende questa
esperienza, che rimane dun-
que bloccata nella psiche,
non esaminata e non risolta,
e diventa radice permanente
di malanni. Sempre secondo
la versione ufficiale della bio-
grafia freudiana, cristalliz-
zata dal suo discepolo più fe-
dele Ernest Jones, alla fine di
quel periodo Freud si rese
conto, analizzando sé stesso,
che i bambini anche molto
piccoli hanno una loro ses-
sualità, e contemporanea-
mente constatò che i casi di
seduzione infantile a lui ri-
portati dai suoi pazienti non
si erano realmente verificati.
Gli episodi furono allora ri-
categorizzati come fantasie
e, con la pubblicazione un
paio di anni dopo di Li n te r -
pretazione dei sogni, si entrò
nella versione matura della
p s ic oa n a l i s i .
Nel 1984 Jeffrey Masson,
nel libro The Assault on Truth
(tradotto in italiano nello
stesso anno), contestò tale
narrativa. M as so n era un
personaggio eccentrico e ge-
niale, la cui famiglia era vis-
suta sotto linfluenza del gu-
ru Paul Brunton (vero nome:
Raphael Hurst), un divulga-
tore dello spiritualismo neo-
induista. Fu Br u nto n a con-
vincere i Masson a trasferirsi
in Uruguay (dagli Stati Uniti),
comunicando loro che era
imminente una terza guerra
mondiale, e a stimolare il gio-
vane Jeffrey allo studio del
sanscrito. Dopo un dottorato
in materia a Harvard, Jeffrey
divenne professore di san-
scrito alluniversità di To-
ronto, ma presto ebbe una
conversione: dalla lingue
morte alla psicoanalisi. Com-
pletato il necessario adde-
stramento, con un progresso
sbalorditivo divenne, a meno
di 40 anni, direttore dei
Freud Archives (situati a Wa-
shington e Londra). Dove,
studiando carte e lettere ine-
dite, stabilì, e scrisse nel suo
libro, che il passaggio freu-
diano dalla teoria della sedu-
zione infantile a quella delle
fantasie inconsce fu un atto
non di coraggio nel ricono-
scere un proprio errore ma
di codardia, sia nei confronti
d el l establishment dellep o-
ca sia della scoperta di sue
stesse esperienze di seduzio-
ne infantile. Licenziato dagli
archivi e radiato dalle istitu-
zioni psicoanalitiche, M as-
son vive in Nuova Zelanda.
Non entrerò nel merito
della controversia, peraltro
ormai piuttosto datata; ma
ne trarrò una innegabile con-
siderazione oggettiva. Una
«psicoanalisi» basata sulla
teoria della seduzione infan-
tile sarebbe stata una disci-
plina con forte impatto so-
ciale. Dato il numero enorme
di persone che soffrono di
disturbi psichici, e dato il fat-
to che una seduzione infanti-
le (per dirla in termini con-
temporanei: un abuso ses-
suale di minore) non avrebbe
sempre causato tali disturbi,
ne sarebbe seguito che gli
abusi sono endemici e fre-
quentissimi. La psicoanalisi
sarebbe così diventata uno
strumento di feroce critica
dei costumi e delle abitudini
sociali, e la soluzione del pro-
blema delle nevrosi che essa
poteva indicare avrebbe do-
vuto essere di natura politica
e giuridica. Così comè anda-
ta, invece, si è evoluta in una
psicologia del profondo, per
la quale i disturbi psichici
hanno origine da conflitti in-
terni allindividuo, di cui lin-
dividuo stesso non è consa-
pevole e che è dunque suo
compito (con laiuto dellana-
lista) portare alla luce.
La psicoanalisi ha perso
molto del fascino che aveva
fino a qualche decennio fa,
ma il contrasto di cui ho dato
un cenno è di scottante attua-
lità. La tendenza a interioriz-
zare i conflitti e ad attribuir-
ne la responsabilità a tortuo-
se involuzioni psichiche è ge-
nerale, soprattutto quando si
tratta di compiere questo la-
voro di interiorizzazione e
attribuzione per gli altri. Se
gli altri sono avversari, non si
va troppo per il sottile; ma lo
schema operativo è evidente
- tanto più evidente quanto
più grossolana ne è lap p l ic a -
zione. Lavversario non ha
torto, il che andrebbe dimo-
strato con dati inconfutabili
e argomentazioni cogenti: è
matto, irrazionale, perfino
(in quanto lessere umano è
un animale razionale) disu-
mano, quindi non merita che
lo si prenda sul serio e si par-
tecipi con lui a una discussio-
ne. Sullaltra faccia della me-
daglia, se si riconosce un pro-
blema in sé stessi, invece di
cercarne le cause nella pro-
pria realtà familiare o socia-
le, e magari affrontarle, si
tenta di ovviarvi inseguendo
un diverso «atteggiamento»,
praticando la min dfuln ess,
accedendo a livelli diversi di
c o s c i e n z a , t ra s f e re n d o s i
(non in Uruguay, ma) in un
mondo di propria creazione.
È una vecchia storia, ed è
la storia di una sconfitta an-
nunciata. Ogniqualvolta nel
passato gli umani si sono
sentiti impotenti a realizzare
effettivi cambiamenti nelle
loro condizioni di vita, si so-
no rivolti allinterno e, per
evitare la disperazione, han-
no progettato di cambiare sé
stessi. Certo la situazione in
cui viviamo oggi potrebbe
suggerire scappatoie del ge-
nere; ma per me, almeno, è
troppo presto, e sarà sempre
troppo presto, per cedere.
Come nel caso degli abusi di
minore, il male è là fuori, cè
qualcuno che lo compie e bi-
sogna fermarlo. Poi, se vole-
te, parleremo degli abissi in-
sondabili dell( i n) c o s c ie n za .