STUPIDA RAZZA

venerdì 31 dicembre 2021

"MENTITE PURE SUI DATI: COL SUPER GREEN PASS I CONTAGI SONO ESPLOSI"


 

L’anno del Dragone ci lascerà ferite indelebili

 

 È stato l’anno del Dragone. Il 2021 che domani si conclude è stato dominato, funestato, comunque pervaso dall’i n go m brante presenza fiammeggiante del Dragone. Bestia mitologica di gigantesche dimensioni, simbolo araldico che   indica potenza sovrumana, serpentone minaccioso dalle lingue di fuoco, il Dragone è la figura, il mostro, la definizione che più si addice a sintetizzare i volti poliedrici dell’anno che finisce. Innanzitutto sul piano geopolitico, il Dragone è per antonomasia la Cina, fin dai tempi del Celeste impero, che dedicava una memorabile festa all’Animale simbolico, tuttora vigente. Nel 2021 la Cina è diventata la prima superpotenza mondiale, sancendo la sua egemonia planetaria, non solo a livello commerciale, demografico ed economico, con la sua espansione nel mondo e nel sopramondo, colonizzando dall’Africa allo Spazio. Il Dragone cinese è diventato il modello globale di riferimento per instaurare un regime di sorveglianza e sanità nella nuova versione di comunismo sanitario, controllo capillare ed economia pianificata. Quest’anno il Dragone cinese si è rafforzato e potenziato come mai prima d’ora, proprio sulla scia di un virus partito dalla Cina stessa, probabilmente dai suoi laboratori. L’anno del Dragone fu il titolo di un film famoso asiatico-americano nella metà degli anni Ottanta ma diventò presto l’allegoria del crescente pericolo cinese. In versione nazionale, o meglio euro-italica, il Dragone è naturalmente lui, il presidente del Consiglio M a r io D ra g h i , e non solo per via dell’assonanza onomastica con l’animale mitologico ma perché D ra g h i alla guida dell’Ita - lia è il simbolo, la protesi e la proiezione del Dragone tecno-finanziario che ha esautorato la politica dal governo della nazione e controlla i rubinetti della finanza e dei piani di ricostruzione del Paese. Non sappiamo se il 2022 sarà l’anno della sua apoteosi o della rivalsa politica; qualcuno predice che lo stesso D ra - g hi invocato quest’anno in ogni ruolo come una specie di jolly istituzionale e internazionale, finirà col non andare al Quirinale e non restare nemmeno a Palazzo Chigi, gettando nel panico la nazione ma non la partitocrazia in via di restaurazione. Difficile fare previsioni, la partita si apre adesso e le variabili sono troppe; ma per ora possiamo dire con certezza, indipendentemente dal nostro giudizio, che l’anno morente è stato l’anno del Dragone, in cui D ra g h i premier e il dragonismo eurocratico, tecnico e finanziario hanno realmente dominato il nostro Paese e deciso le sue sorti. Ma il Dragone evocato per contraddistinguere l’anno in scadenza non è solo la Cina a livello planetario o il premier D ra g h i venuto dalla finanza a soggiogare l’Italia priva di sovranità politica, ma quell’oscura e impalpabile ombra che ha dominato il mondo nelle vesti della pandemia e di tutte le conseguenze che ne sono derivate; ma anche le minacce al pianeta, il pericolo climatico ed ecologico che sembrano aver acquisito priorità assoluta nel presente quando si pensa al futuro. Il Dragone è come l’om bra proiettata sul muro dall’i ntreccio di più sagome e più fattori d’i n qu ietud i n e. Così, nei suoi tanti volti, il Dragone è diventato la metafora poliedrica di quest’anno morente per indicare l’oscuro, serpeggiante malessere che avvolge il pianeta convalescente e i serpentoni finanziari, sanitari, farmaceutici, reticolari (nel senso del Web), sovranazionali che lo ghermiscono come i serpenti di Laocoonte. Il Dragone è il Leviatano della nostra epoca. Fuor di metafora, è il pericolo totalitario che si annida nel presente e che rischia di controllare radicalmente la sorte dei popoli a partire dai singoli individui e dalle loro pareti domestiche. Un totalitarismo subdolo, capillare, anzi molecolare, di massa, legittimato dalla paura eco-sanitaria in basso e dal dogmatismo scientista in alto, seppur temperato da rassicuranti messaggi di preoccupazione per la salute dell’u m a n i tà , la prevenzione dei pericoli climatici ed economici e la retorica dei diritti umani e della democrazia universale. Non sappiamo cosa partorirà l’anno del Dragone e cosa ne resterà nell’anno che si apre. Ma veniamo da un anno anomalo e speciale, in cui la principale minaccia si presentava al tempo stesso come il principale rimedio. Sicché la dannazione coincideva stranamente con la salvezza: consegnarsi al Dragone per non farsi divorare dalle sue fiamme. Il Drago ghermisce, il Drago guarisce. Se permettete, ci piacerebbe vivere senza Dragoni incombenti, siano essi minacciosi o premurosi. Con la vulnerabile, imperfetta, rischiosa libertà di uomini alle prese col loro destino.

Trovata la scusa perfetta per imporci il Mes

 

Il 23 dicembre Mario Draghi ed Emanuel Macron - con un articolo firmato congiuntamente pubblicato dal Financial Times - ci hanno presentato le linee guida della riforma delle politiche di bilancio dei Paesi Ue. Si tratta del Patto di stabilità e crescita del 1997, dei regolamenti del 2012-2013 e del Trattato sul Fiscal compact. L’articolo, pubblicato anche sul sito di Palazzo Chigi, fa un esplicito riferimento a uno studio firmato dai rispettivi consiglieri economici (Francesco Giavazzi e Charles-Henri Weymuller) e da altri due giovani e già affermati economisti (Veronica Guerr ie r i e Guido Lorenzoni), definito una «proposta meritevole di discussione approfondita». Ebbene, se le linee guida facevano già presagire il peggio, ora i dettagli  forniscono un quadro a tinte davvero fosche per il nostro Paese. Sotto l’ambizioso titolo Re - visione del quadro di riferimento della politica di bilancio europ ea , arrivano diverse notizie: poche sono buone, altre sono brutte e alcune proprie cattive. Tra queste ultime c’è il ritorno in scena (ammesso e non concesso che fosse mai scomparso) del Mes, incaricato di rilevare dalla Bce tutto il debito emesso dagli Stati a partire dallo scoppio della pandemia. Tra le prime, c’è la scomparsa del tetto del deficit/Pil al 3% e del Fiscal compact, con la sua pretesa di riduzione di 1/20 all’anno del debito/Pil eccedente il 60%. Tra le seconde, c’è il contenimento della crescita della spesa pubblica entro un tetto massimo e la riduzione del debito/Pil - fermo l’obiettivo di lungo termine del 60% - in dieci anni a un ritmo variabile e non predefinito, in funzione della «virtuosità» del debito, cioè di quanto sia destinato a finanziare spesa per investimenti. Partiamo dal Mes. L’Eurosi - stema (Bce/Bankitalia) deteneva al 30 novembre titoli pubblici italiani per 679 miliardi, pari al 29% del debito pubblico costituito da titoli (251 acquistati col programma pandemico Pepp e 428 col programma Pspp partito nel 2015), ed è ragionevole ipotizzare che, entro marzo 2022, si arrivi a circa 720 miliardi. Di questi, circa 350 miliardi saranno quelli acquistati a partire da marzo 2020 (70 Pspp e 280 Pepp), poco più del 19% del Pil. Ed è proprio questo il boccone che si prepara per il Mes. In qualità di «agenzia europea per la gestione del debito», acquisterebbe i titoli italiani e degli altri Paesi dell’Eu rozo n a in cinque quote annuali (circa 70 miliardi) per mantenerli in portafoglio in perpetuo, rinnovandoli alla scadenza per mantenere la percentuale sempre intorno al 19% del Pil. Tale debito non cesserebbe di esistere, ma sarebbe escluso dal computo del debito/Pil da r idu r re. Gli autori dello studio magnificano questa soluzione perché consentirebbe di abbattere il costo per interessi per gli Stati membri, che verserebbero al Mes un contributo annuale correlato positivamente al tasso molto favorevole spuntato dal Mes sui mercati e inversamente al tasso di crescita del Pil. Inoltre si libererebbe la Bce dalla scomoda posizione di gestire le operazioni di politica monetaria sotto il condizionamento di creare potenziale instabilità sui mercati del debito governativo. Purtroppo gli autori non ci dicono che gli interessi relativi a quel debito oggi ritornano nella casse del Tesoro attraverso i dividendi di Bankitalia e quindi il contributo richiesto, che a prima vista appare un regalo, andrebbe a peggiorare il bilancio del Paese. Inoltre dovranno essere rispettati criteri di ammissibilità al Mes che, per i Paesi come il nostro, significa firmare un protocollo d’intesa con specifici impegni di politica economica monitorati dal Mes. La cura greca, per i nte n d e rc i . Quello che dagli autori viene presentato come l’av ve nto di un emittente per la creazione di un grande e stabile mercato di titoli europei a rischio zero, è in realtà solo l’interpo - sizione forzata e maliziosa di un soggetto - definito senza alcuna vergogna in possesso di «credibilità nell’imporre pagamenti ai Paesi membri» - tra gli Stati membri e la Bce. Infatti, poiché non è pensabile che il Mes si finanzi emettendo titoli acquistati tutti dagli investitori, con ingente drenaggio di liquidità dal mercato, sarà proprio la Bce ad acquistare buona parte dei titoli emessi dal Mes, previa eliminazione del limite del 50% del debito dell’emittente. Insomma, anziché comprare il debito degli Stati, la Bce comprerà il debito del Mes, (SALVA BANCHE !) che a sua volta comprerà quello degli Stati. Un gioco delle tre carte, dove il pollo siamo noi. I brillanti autori non ci dicono nemmeno che, per fare quelle ingenti emissioni, il Mes dovrà richiamare il capitale sottoscritto e non versato, cioè 624 miliardi, di cui 114 a carico dell’Ita l i a . Tutto questo serve per entrare senza il fardello del passato nel mondo delle nuove regole. Il debito/Pil residuo (130%) sarà diviso in due: fermo restando l’obiettivo della sua riduzione a dieci anni, quello accumulato nella crisi del 2009 e quello per finanziare gli investimenti «per il futuro» (green, digitale, eccetera …) dovrà essere ridotto a un ritmo più lento rispetto al debito residuo. Si avrà così un obiettivo chiaro, tagliato su misura e facilmente calcolabile e ogni Stato sarà consapevole che maggiore (minore) spesa oggi, significherà maggiore (minore) aggiustamento del debito domani. Il contentino sta nell’esclu - sione dal tetto di crescita degli investimenti «per il futuro», per l’identificazione dei quali si rimanda al Next generation Eu, di cui si richiamano esplicitamente i controlli e le cond i z io n i . Non avremmo saputo tracciare un sentiero migliore per condurre il Paese al commiss a r i a m e nto. 



«Riprendiamo subito le estrazioni»

 



Record storico del costo dell’energia: i dati ufficiali in arrivo oggi prevedono un +55% per l’elettricità e un +41% per il gas. Per il sottosegretario al ministero della Transizione ecologica, la leghista Vannia Gava, la formula necessaria per far fronte a questa crisi è «rilanciare la produzione nazionale di gas e liberarsi delle moratorie sulle trivellazioni». Il costo dell’energia è in costante aumento. Il governo per aiutare le famiglie ha deciso di calmierare le bollette. Quanto è sostenibile una misura del genere? « Ne ll ’immediato bisogna fare qualcosa, questo è evidente, ma siamo tutti consapevoli che non è sufficiente. In legge di bilancio il centrodestra unito ha stanziato 4 miliardi per le situazioni più difficili. Come Lega e come centrodestra abbiamo evitato che Pd e 5 stelle con la scusa degli interventi infilassero una patrimoniale mascherata che sarebbe stata la mazzata finale per tutti». Le imprese preferiscono chiudere perché con il rincaro energetico il costo di produzione supera i ricavi. Ci saranno aiuti anche per loro? «Noi vogliamo e dobbiamo aiutare le imprese, abbiamo ascoltato il loro grido d’allar - me, non possiamo strozzarle in questo momento di riparte n za » . Però per ora non sono previsti incentivi specifici per il mondo produttivo. Cosa farete in concreto? «Nelle prossime ore si discuterà anche di questo, un po’ è stato fatto a luglio, adesso bisogna mettere il grosso, perché ci sono dei rincari a tre cifre e noi non possiamo permettere che le nostre aziende c h i ud a n o » . Al di là dei sussidi, che soluzioni avete in mente per risolvere il problema del caro bollette alla radice? «Il problema va risolto in maniera strutturale iniziando con un piano nazionale per l’emergenza energetica come già detto da Matteo Salvini e con la revisione del mix energetico. Le rinnovabili vanno bene, ma tutte: anche l’idroelettrico, la geotermia e la valorizzazione energetica dei rifiuti. Per la transizione servirà anche il gas e il suo acquisto unico da parte dell’Ue. Insieme a questo è fondamentale rilanciare la produzione nazionale di gas e liberarsi delle moratorie sulle trivellazioni. Corriamo il rischio che, se non lo facciamo noi, arrivino altri a estrarlo al posto nostro. Produrre gas costa meno che acquistarlo e quindi occorre rimettere subito in moto le trivelle». La Germania ha chiuso con il nucleare e il Wall Street Jour nal s c r ive : «R ara m ente un Paese ha lavorato così duramente per rendersi vulnera bi l e ». È d’ac c o rd o? «Quella tedesca è una scelta più ideologica che ecologista perché ovviamente il nuovo governo ritiene fondamentale mantenere le promesse fatte piuttosto che motivare scelte diverse dovute all’e m e rge n za energetica. È una decisione che non farà male solo a loro, ma a tutta l’Eu ro pa » . Si attendono le posizioni d el l ’Unione europea sulla tassonomia e se questa comprenderà anche il nucleare oppure no. Perché c’è tanto astio nei confronti del nucleare di quarta generazione? «Deriva dalla mancanza di cultura ambientale, bisogna approfondire e non basarsi su fake news. È uno scontro di interessi giganteschi che coinvolge le lobby delle energie alternative, c’è molto poco ambientalismo in tutto questo. I Verdi europei sono figli di una cultura di estrema sinistra che si batte con tesi più anticapitaliste che ecologiste». Quali sono i piani per il nucleare pulito in Italia? «Bisogna investire sulla ricerca. È sbagliato dire di no a priori, stanno investendo tutti e noi andiamo sempre alla rincorsa. Per esempio si potrebbe valorizzare l’Enea che ha già un progetto in corso». Cosa si può fare in attesa della nuova tecnologia da fus io n e? Il nucleare da fissione è un tabù? «La fissione è il passato, quella di oggi è una tecnologia completamente diversa. Ci sono dei progetti che replicano l’energia del sole, investiamo su quelli. Per il resto affidiamoci al mix energetico». 

Bce, Pnrr e Mes. La nuova troika è già qui

 

Il nuovo assetto di regole europee rischia di condurci al commissariamento. Mentre riparte il gioco dello spread, i dettagli della riforma del Patto di stabilità prevedono il ricorso al Mes (SALVA BANCHE !) che gestirebbe parte del nostro debito. E il miracoloso Pnrr fin qui ha fatto e farà ben poco per noi.Premessa sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Pnrr, presentato lo scorso aprile alla Commissione Ue, vorrebbe rilanciare il Paese dopo la crisi pandemica, stimolare la transizione ecologica e digitale, favorire un cambiamento strutturale de ll ’economia combattendo «le diseguaglianza di genere, territoriali e generazionali». Il progetto costerà alle tasche degli italiani 191,5 miliardi. Nel dettaglio 122,6 miliardi sono debito, 68,9 prestiti che saranno ripagati con le nuove tasse europee (sul carbone, sul Web). Ci sono poi altri circa 40 miliardi di fondi europei e governativi. Nel complesso si tratta di 134 investimenti e 63 riforme pubbliche. (LE FAMIGERATE RIFORME STRUTTURALI !) In pratica, il governo ha così avviato il pilota automatico per i prossimi esecutivi (fino al 2026). Qualunque altro progetto al di fuori di quelli sottoscritti sotto l’ombrello del Pnrr non sarà di fatto realizzabile per il semplice motivo che non ci saranno fondi. Un grande racconto di rilancio celebrato dal governo e da tutti i vertici di Bruxelles. Soprattutto da Ursula von der Leye n che ha elogiato l’Ita l i a come esempio virtuoso. In realtà, al di là dell’a nt icipo di 24 miliardi incassato ad agosto, i soldi veri non si sono visti. Lo si capisce dal report pubblicato la vigilia di Natale e firmato dalla cabina di regia del Pnrr. Il governo ha messo nero su bianco che i 51 obiettivi per il 2021 sono stati raggiunti. A quel punto in primavera l’Ue valuterà lo stato dell’a rte e in caso di esito positivo sgancerà i fondi. Saranno al massimo 21 miliardi (va detratta la quota di anticipo dello scorso giugno), praticamente 12 in meno di quelli stanziati dalla manovra votata ieri dalla Camera. Lo stesso report contiene finalmente l’elenco completo e definitivo dei 51 obiettivi in investimenti messi a terra nel 2021. Quelli per cui saremmo il vanto dell’Eu ro pa . Duole dire che su 51 punti, di innovativo non c’è praticamente nulla. Dieci sono fondi erogati nell’am bi to dell’export e del turismo. Linee di credito che già esistevano in precedenza, come nel caso delle Pmi in scia a Simest. Spicca la proroga del Superbonus, che come dice il termine stesso esisteva già. E certo non c’e ra bisogno che finisse nelle erogazioni di fondi Ue, per giunta sotto il monitoraggio di Bruxelles. Altre 36 voci sono relative alle riforme della pubblica amministrazione, piuttosto che della giustizia penale e civile. Ma anche delle norme con cui il pubblico deve approcciare il Pnrr o assumere il personale che si occuperà dei progetti insiti nel Pnrr stesso. Per carità, ben vengano le riforme. Ma al momento s’ha da andare sulla fiducia secondo il classico schema keynesiano. Investo nel pubblico e sul pubblico sperando che si rialzi il Pil. Ad esempio gli obiettivi numero 47 e 48 sono mirati a «rafforzare la creazione di capacità per l’attuazione del Pnrr». Una autoreferenzialità che dovrebbe far alzare le antenne. Tanto più che, implicitamente, lo ammette la stessa cabina di regia. «I traguardi e gli obiettivi compresi nella rata del 31 dicembre 2021 prevedono l’adozione di atti di normativa primaria e secondaria o di atti amministrativi, contenenti indicazioni spesso propedeutiche alla realizzazione degli impegni per le scadenze delle rate future», si legge nel documento, «Il loro conseguimento è una prima importante dimostrazione della capacità del Paese di attivare i processi di riforma e di investimento previsti dal pi a n o » . Pur prendendo per buono che questa enorme attività di preambolo dia i frutti sperati, visto che l’obiett ivo è la ripresa dalla pandemia ci saremmo aspettati anche interventi infrastrutturali più decisi. Invece no. Spiccano l’ammo dern amento del parco tecnologico degli ospedali e il finanziamento dei bus elettrici. Quest’u l t imo porta dritto alla ex Irisbus, oggi Industria italiana autobus, partecipata da Leonardo e dall’Invitalia ancora guidata da D o m e n ic o A rcu r i . Innovativo, per usare un eufemismo, anche l’obiettivo numero 22 che prevede la tutela e la valorizzazione del verde urbano. Molto bene l’ac c e l e ra z io n e dell’iter di assegnazione dei contratti ferroviari. Resta invece un grande punto di domanda l’obiettivo numero 36: «Creazione di imprese femminili». Che significa? Dare soldi a pioggia purché l’amministratore delegato della società beneficiaria sia donna? Chissà quando lo scopriremo. Forse pres to. Nel frattempo restano gli altri interrogativi di fondo. Se questo, con l’arrivo di Mario Draghi, doveva essere l’anno di maggiore slancio del Pnrr, che cosa dobbiamo aspettarci di concreto dal 2023 in avanti? Chi suggeriva l’idea che dal vincolo esterno si potesse passare al vincolo interno, da adesso in avanti avrà qualche motivo in più per sosten e rl o.



PECHINO SI SCAGLIA CONTRO I SATELLITI DI ELON MUSK

 



UE,BOLLETTE PIU' CARE PUR DI NON APRIRE AL GAS RUSSO


 

green pass : tutto gia' previsto prima


 



PASSAPORTO PER L'INFERNO


 



Quarantene e contagi svuotano gli ospedali

 

Hanno anche il coraggio di s o r p ren d e r s i perché i contagi Covid tra gli operatori sanitari sono aumentati del 177% in un mese, ovvero dal 28 novembre al 28 dicembre. «Una crescita frenata», viene definita, grazie alla vaccinazione e al terzo richiamo, eppure sta mettendo in crisi le strutture più dei ricoveri in ospedale e in terapia intensiva, decisamente sotto controllo. Tra medici e infermieri sospesi perché non vaccinati (e non sostituiti), personale in quarantena in attesa dell’e s i to negativo del tampone molecolare, la coperta già corta non riesce più a soddisfare le necessità curative e assistenziali del Paese. Solo tra contagiati e nel limbo di un responso, sarebbero circa 20.000 gli infermieri e quasi 5.000 i medici fuori servizio secondo Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini infermieristici. Già il nostro Paese aveva un deficit di 15.000 medici nelle strutture pubbliche e di 38.000 infermieri, con le assenze per quarantena e le sospensioni è evidente che negli ospedali c’è preoccupazione. Per il letto di rianimazione «servono due infermieri e un medico per ogni posto per ognuno dei tre turni ospedalieri», aveva spiegato alla Sta m p a Carlo Palermo, segretario del sindacato Anaao Assomed. Dove si vanno a pescare questi professionisti? «Manca personale sanitario, mancano gli infermieri, manca un po’tutto: e i numeri dell’emergenza e dei contagi da Covid-19 aumentano inesorabilmente ogni giorno sempre più. Purtroppo, a fare le spese sono come sempre quelli che stanno in prima linea: i professionisti del comparto della sanità. Lavoratori che pagano con sacrificio e sulla loro pelle, i danni della cattiva gestione e mala programmazione in termini di assunzioni», ha denunciato Fabrizio Rossi, coordinatore regionale Fratelli d’Italia Toscana. E dal 1 gennaio partono i controlli per verificare che i medici vaccinati con ciclo di due dosi da cinque mesi abbiano fatto la terza dose. Chi non l’avrà fatta sarà sospeso. Il problema non sono solo i controlli, ma la mancanza di personale in grado di fare tracciamenti oltre che di fornire cure. Enorme e irrisolto rimane il problema del trattamento domiciliare del coronavirus, ancora più urgente visto che Omicron sembra creare pochi problemi di ospedalizzazione. «Hanno u n’età compresa tra 35 e 60 anni, i pazienti Covid che chiamano l’ambulanza da casa quando hanno già febbre alta, tosse forte e difficoltà respiratoria acuta. Sono i dati nazionali raccolti dalle centrali operative del 118 con rilevazioni regionali», puntualizzava ieri la Repubblica, scrivendo che molti cittadini «evitano l’ospedale e restano a casa fino a quando non riescono a respirare», come informa il servizio sanitario d’u rge n za . Perché questi poveretti se ne stanno a casa, aspettando che i sintomi del Covid peggiorino? Non certo per leggerezza, forse non hanno un medico di famiglia pronto a intervenire con cure che non siano «tachipirina e vigile attesa». Se il virus non viene aggredito subito, anche prima dell’esito del tampone, il paziente perde tempo prezioso e sono ben pochi quelli che hanno il coraggio di ammetterlo. I medici devono gestire i pazienti con sintomi sospetti da Covid-19 «a distanza nei limiti del possibile», fa sapere la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg). Questo dovrebbe tranquillizzare vaccinati con sintomi e persone entrate in contatto con un contagiato. Intanto, tra positivi e quarantene il Covid sta lasciando a casa centinaia di dipendenti delle Ferrovie in Italia, con la conseguenza di numerosi collegamenti cancellati, soprattutto a livello locale. Trenitalia ha soppresso o sostituito con autobus il 5% delle corse programmate. Trenord, la società che gestisce il trasporto ferroviario regionale in Lombardia, ha fatto sapere di aver soppresso un centinaio di corse al giorno sulle oltre 1.800 programmate nelle settimane di festività. Questo a causa di un 12% di assenze sulle 1.300 persone della forza lavoro, compresi molti capitreno e macchinisti. Problemi anche per la Circumvesuviana, la ferrovia locale che collega Napoli con i centri dell’area vesuviana e della costiera sorrentina: «causa improvvisa indisponibilità», malattia e quarantena di personale, legata all’attu al e emergenza epidemiologica, sono stati soppressi diversi tre n i . Con l’avanzare dei contagi e la crescita esponenziale degli italiani in isolamento o in quarantena sono a rischio anche le forniture alimentari del Paese «garantite da quasi 4 milioni di persone» che lavorano nel comparto, ricorda la Coldiretti, sostenendo la necessità di non bloccare una delle filiere strategiche del Paese. «Una necessità per i cittadini ma anche per gli imprenditori in un settore che deve seguire la stagionalità dei raccolti e rispettare la deperibilità delle produzioni», avverte la confederazione che fa capo a a Ettore Prandini. «Il cibo italiano sulle tavole degli italiani e degli stranieri è garantito da 740.000 aziende agricole, 70.000 industrie alimentari e 230.000 punti vendita al dettaglio, particolarmente esposti al rischio contagio». 

Licenziamenti, zero ristori e tasse Oltre al danno Covid, la beffa Stato

 

Ma l’emergenza c’è o non c’è? Oppure, magicamente, compare e scompare a seconda delle esigenze della mano pubblica? In effetti, siamo davanti a un fenomeno assolutamente curioso, sia logicamente sia giuridicamente: lo stato d’e m e rge n za è stato esteso fino al 31 marzo prossimo; per sovrammercato, in termini sanitari e di libertà pubbliche, ogni settimana vengono sfornate dal governo nuove restrizioni. Ma se invece si considera la questione dal punto di vista economico, per lo Stato - oplà - improvvisamente l’emergenza non c’è più e i cittadini devono contare solo sulle proprie forze. Anzi: devono perfino temere di vedersi presentare un conto salatissimo. I capitoli da affrontare al riguardo sono tre: cassa integrazione, ristori, tasse. Cominciamo dal primo. Con la giornata di domani, 31 dicembre, finisce la cassa integrazione Covid, e quindi molto presto scatterà realisticamente una raffica di licenziamenti. Si badi bene: poiché la legge di bilancio è ormai chiusa, non ci sono altri interventi in programma. Se ne riparlerà: ma non si sa quando né come. Intendiamoci: un ritorno al mercato, all’ordinarietà, alla fine degli interventi straordinari di welfare era prevedibile, e per alcuni versi assolutamente naturale. Peccato che però l’emergenza non sia affatto finita, e anzi sia stata alimentata –proprio nelle ultime settimane – dalla diabolica combinazione tra le misure annunciate e poi adottate dal governo e dal clima di terrore politico e mediatico. Si pensi al settore alberghiero, dove si temono 70.000 licenziamenti. Il comparto aveva avuto un pochino di respiro in estate, sperava in una sostenuta ripresa natalizia, ma poi (già prima della variante Omicron) l’atmosfera di panico aveva fatto piovere le disdette, ora stimate ben oltre il 50%, senza contare (altra stima) gli oltre 11 milioni di mancate prenotazioni. Consideriamo la cosa dal punto di vista dei dipendenti: il governo non prevede più nessun ammortizzatore sociale dopo il 31 dicembre? Teniamo presente che siamo in presenza di persone che già da molti mesi non potevano contare sull’80% dello stipendio, ma su trattamenti più ridotti, in genere da 5-600 euro mensili. Secondo capitolo: ristori.  (AIUTI !) Proviamo a considerare la stessa realtà dal punto di vista delle imprese. Degli alberghi si è già detto: per dare il senso di drammaticità della situazione, basterà dire che a Roma un albergo su quattro non ha mai riaperto da marzo 2020. Quanto ai ristoranti, si stima il rischio di 50.000 chiusure. Ma anche in questo caso non risulta aperto alcun ombrello. Questo giornale criticò aspramente (e giustamente) le modalità e l’entità dei ristori previsti dal governo di G iu s e p p e C o nte. Si trattò di indennizzi irrisori rispetto a quanto avvenne in Germania o nel Regno Unito. Vale la pena di ricordare che, durante la primissima ondata Covid (2020), quando Boris Johnson si adattò a decidere un primo lockdown, innanzitutto si premurò di garantire economicamente i britannici: il giorno stesso in cui il governo chiuse tutto, riconobbe ai lavoratori dipendenti l’80% del loro stipendio (fino a 2500 sterline), e a tutti gli autonomi l’80% del loro fatturato dell’anno prima. Vogliamo fare paragoni con quanto avvenne qui? Eppure, per lo meno, ai tempi di Conte si fece corrispondere alle chiusure una qualche misura di ristoro. Ora, nulla. Da questo punto di vista, il green pass ha funzionato come alibi «perfetto» dal punto di vista del governo. Come dire: visto che non ti ho fatto chiudere, ora puoi cavartela da te, caro commerciante. Peccato che il mix di restrizioni e campagna di panico abbiano ucciso la ripartenza. Terzo e ultimo capitolo: quello fiscale. Già dal 1° settembre scorso, sono ripartite le cartelle dell’Agenzia delle entrate, sia pure – si disse – in numero contenuto. Ma ora, da gennaio, il flusso sarà accelerato. Come unica attenuazione, si è previsto di concedere altri 180 giorni per pagare. Come dire: se ricevo una cartella a gennaio, in teoria dovrei pagarla a marzo, ma lo Stato mi consente di arrivare fino a settembre. Ma tutti comprendono che settembre sarà un inferno, considerando le scadenze fiscali ordinarie, più gli acconti di fine novembre e fine dicembre. L’ingorgo fiscale di fine 2022 sarà dunque devas ta nte. A maggior ragione, sarebbe consigliabile ragionare su tre interventi. Da un lato, una misura di alleggerimento di tutte le cartelle esistenti (una maxi rottamazione, o una maxi rateizzazione spalmatissima nel tempo, ovviamente senza sanzioni né ulteriori interessi). Da ll’altro, una moratoria fiscale per i settori più in difficoltà: far pagare le tasse in questo momento a albergatori e ristoratori è un atto di sadis m o. E infine - ma il tema sempre purtroppo sparito dai radar, dopo gli striminziti tagli fiscali di 8 miliardi previsti in manovra – una riduzione fiscale vera, forte, consistente, generalizzata, che aiuti il settore privato a rilanciarsi. A meno che un’altra forma di pandemia (quella dello statalismo) abbia convinto tutti che l’Ita l i a si riprenderà solo con Pnrr e piani pubblici decisi tra Bruxelles e Roma.

giovedì 30 dicembre 2021

Crollano i falsi dogmi, ma chi li ha creati ripete: «Obbedite»

 

È molto nota la triste vicenda del medico ungherese Ig nác S em melwei s (1818-1865), passato alla storia come «il salvatore delle madri». Aveva scoperto l’importanza della disinfezione delle mani per la lotta alla febbre puerperale, ma la sua teoria fu ferocemente osteggiata da colleghi che si ritenevano gli unici depositari della «verità scientifica». S e m m elwei s finì i suoi giorni in manicomio, ucciso dalla setticemia. Solo anni dopo la sua morte la comunità scientifica riconobbe che aveva ragione. Storia nota, certo, ma forse non abbastanza. È utile, ogni tanto, richiamarla alla mente, perché insegna - come scrisse il filosofo Dario Antiseri - che il metodo scientifico consiste nel «tenere in stato d’assedio ogni teoria controllabile». La storia della scienza, spiegava A nti s e r i , è «un antidoto al dogmatismo», a darle forma è «l’etica della verità, non quella del potere». Il metodo scientifico «ci insegna a riconoscere gli errori e ad apprezzarli per migliorarci», ed è spesso grazie agli errori che gli studiosi riescono a fornire risposte. Ammoniva però A nti s e r i : «Non si danno risposte se non si pongono domande». Purtroppo, per molto tempo, da queste parti porre domande è stato impossibile. Chi osava farlo veniva trattato come S e m m elwei s , o peggio: insultato, deriso, messo a tacere in nome della «verità scientifica». Una verità farlocca (era chiaro sin dal principio) che ora si sgretola miseramente fra le mani dei Santoni del virus: esperti, commentatori, opinionisti e profeti assortiti al servizio della Cattedrale Sanitaria. Perfino oggi, benché in stato confusionale, costoro rifiutano di ammettere gli errori. Non volendo riconoscere il clamoroso fallimento, si nascondono dietro l’a rroganza: «La scienza procede per tentativi ed errori», ripetono, «sciocco chi pensa il contrario». Eppure, nei mesi scorsi, i predicatori non sembravano così pronti a «tenere in stato d’a s s e d io ogni teoria». Anzi, esalavano sicurezza e sicumera. Non solo i virologi: anche e soprattutto i politici. Adesso vogliono farci credere di aver sempre saputo che il green pass non sarebbe stato sufficiente (per usare un eufemismo) a fermare il virus. Ma le loro dichiarazioni sono lì a dimostrare il contrario. Lo hanno messo perfino in Gazzetta Ufficiale, il 21 settembre. Motivando la «straordinaria necessità e urgenza di estendere l’obb l i - go di certificazione verde nei luoghi di lavoro pubblici e privati», sostenevano che essa sarebbe servita a «tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori». Sì è visto. Qualche tempo prima, presentando al popolo il passaporto verde, Mario Draghi in persona affermò che «il green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». Già, ha offerto proprio una bella «garanzia». Andiamo avanti? P ie r pao - lo Sileri prometteva: «A Natale saremo liberi dalle restrizioni grazie al green pass». In agosto, Rober to S p e ra n za appariva di granito: «In questa fase, la scelta del governo è investire sul pass per evitare chiusure e tutelare la libertà». A metà settembre, Giancarlo Giorgetti ribadiva il concetto, chiarendo che il tesserino serviva «non a limitare la libertà, ma ad aumentare la libertà e l’incontro». Mesi dopo, Enrico Letta non tentennava: «Più sicurezza vuol dire più libertà. (🤣🤣🤣) Il governo ha fatto la scelta giusta. Queste decisioni ci consentono di non essere nella situazione tragica che c’è in Germania e in Austria». Davvero ora vogliono farci credere di aver sempre saputo che il green pass non avrebbe offerto garanzie o protezione totale? Su, non scherziamo. Pensate: ancora oggi, nella pagina ufficiale del governo dedicata alla tesserina si legge, testuale: «La certificazione verde Covid-19 facilita i viaggi in Europa. Nel nostro Paese rende più sicuri i cittadini al lavoro, a scuola e in molte attività quotidiane». (🤣🤣🤣) Ovviamente, i media allineati hanno dato una grossa mano alla propaganda. Non si contano titoli, commenti, editoriali e interviste a sostegno della tesi «green pass uguale sicurezza e libertà». Giusto per dare l’idea citiamo l’imperioso attacco di un editoriale di Re p ub b l ic a del 17 luglio: «La porta per la libertà è il vaccino ma la chiave per spalancare quella porta è il green pass». Commovente. Certo, potremmo attribuire tutto ciò all’umana debolezza, dimenticare e passare oltre. Ma non possiamo farlo, perché la Cattedrale Sanitaria non ce lo permette. I suoi adepti, gallonati di menzogne, insistono a pretendere che noi si stia zitti, che si obbedisca senza fare domande. La nuova direttiva è: «Italiani, non rompete». Lo ha chiarito bene il generale Fig l iuol o: tocca far la fila per i tamponi? La fate anche per il Black friday, dunque non lamentatevi e armatevi di pazienza. Il simpatico concetto balenava ieri pure nell’e d i to - riale di Elena Stancanelli su Rep ub bl ic a. La scrittrice spiegava che, in tempi di cenoni, «non è il tampone che ci salverà, ma la distanza. […] È la responsabilità bellezza, ed è un’enorme scocciatura. Non ci sono sconti e non ci sono soluzioni diverse». Analoga solfa sul C or rie re della Sera, con i consigli per Capodanno ispirati da sua eminenza Fabrizio Preglias c o: non più di dieci ospiti, un metro di distanza, finestre spalancate. (QUEL TANTO PER PRENDERE IL COVID !) Niente baci a mezzanotte («vanno proscritti»), proibiti balli e trenini: «Bisogna farsene una ragione». Capito? Non lagnatevi e deglutite. Mesi fa bisognava avere «senso civico» e accettare il pass; ora per lo stesso motivo bisogna accettare che il green pass non funzioni (per Preg l i a s c o è un «pannicello caldo»). E potremmo perfino accettarlo. Potremmo far cadere tutte le castronerie nell’oblìo e ritornare alla solita vecchia ricetta (finestre aperte e distanza). Potremmo farlo se la Cattedrale Sanitaria, constatata la debacle, eliminasse il green pass. E invece no: invece il tesserino resta, e c’è pure qualche zelota che vorrebbe affiancarlo all’obbligo vaccinale. È il caso del «sincero liberale» Carlo Alberto Carnevale M a f fè, per cui l’obbligo «non è da considerarsi tema di opinioni soggettive»: va applicato e basta. Chi contesta non deve avere «potere di negoziazione»: taccia e obbedisca. Perché il metodo scientifico funziona per tentativi ed errori, ma «La Scienza» funziona diversamente: per diktat e ideologia. E se non vi piace, fatevi il Capodanno in manicomio con S e m melwei s .

Sfiorata quota 100.000 contagiati Si va verso un vero «black friday»

 

Record di tamponi e di contagi per il secondo giorno consecutivo ieri nel nostro Paese, ma se la curva procederà come di consueto il «picco settimanale» sarà raggiunto venerdì o sabato con numeri mai visti prima. Con 600.000 positivi in t utt’Italia, il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha affermato: «Ci dobbiamo aspettare che centinaia di migliaia di persone si contagino con Omicron nelle prossime s ett i m a n e » . Ieri sono stati 98.020 i nuovi casi di Covid contro i 78.313 di martedì, facendo salire a 5. 8 5 4 . 4 2 8 il numero di persone che hanno contratto il virus (compresi guariti e morti) dall’inizio dell’epidemia. I tamponi molecolari e antigenici effettuati ieri sono stati 1.029.429 con un tasso di positività salito al 9,5% rispetto al 7,57% di martedì. Il report quotidiano diffuso dal ministero della Salute e della Protezione civile conta inoltre 136 vittime, 66 in meno rispetto alle 202 registrate martedì, per un totale di 137.091 vittime da febbraio 2020, mentre segnala 1.185 i pazienti in terapia intensiva, con 126 ingressi in rianimazione (martedì erano 119). Invece i ricoverati con sintomi nei reparti ordinari sono stati 489, il giorno precedente erano 366, per un totale di 10.578 posti letto occupati. A segnare record regionali sono state: Lombardia con oltre 32.000 nuovi positivi, Lazio, Piemonte, Campania, Emilia, Veneto, Sardegna. Giornata campale ieri a Milano con i cittadini in attesa dall’alba per sottoporsi a un tampone molecolare davanti all’ospedale San Carlo. Disagi e problemi organizzativi sarebbero stati provocati da un problema tecnico al sistema di prenotazione. Intanto però è schizzato al 15,5% il tasso di positività in Lombardia: martedì era al 12,8%, il giorno prima all’11,4%. A fronte di 209.685 tamponi effettuati, sono 32.696 i nuovi positivi, quasi 4.000 in più di martedì, quando erano 28.795. Sono 191 i ricoverati nelle terapie intensive (-2), 1.831 negli altri reparti, in crescita di 133. E sono 28 i decessi per un totale di 35.008 da inizio pandemia. Il governatore Attilio Fontana ha già annunciato che saranno i dati di oggi, giovedì, «a dire se passeremo in zona gialla. Infatti i numeri dei ricoveri sia in rianimazione sia nei reparti è border line tra il bianco e il giallo». Nel frattempo, la Giunta regionale lombarda su proposta della vicepresidente e assessore al Welfare, Letizia Moratti, ha approvato una delibera che prevede nuovi posti di degenza di cure sub acute e di degenza di comunità di livello base a favore di pazienti Covid-19 e nuovi «setting» di cure intermedie anche per pazienti Covid negativi. Prorogate inoltre le convenzioni con i Covid hotel. «L’apertura di nuovi posti» ha spiegato la M o ratti , «dovrà rispettare la numerosità prevista dalla programmazione regionale che si stima essere di ulteriori 400 posti di sub acuti e ulteriori 400 fra posti di degenza di comunità di livello base per pazienti Covid e «setting» di cure intermedie per pazienti Covid negativi, per un totale di 800 posti». Altro boom di test e di contagi da Covid in Campania: sono stati 9.802 i nuovi casi rilevati (7.181 il giorno prima) su 111.379 tamponi eseguiti. Il tasso di incidenza è balzato all’8,8%, soglia mai toccata prima in Regione, contro il 6,86% di martedì. Ancora numeri da record in Veneto, con 8.666 contagi in sole 24 ore.

Tutti i numeri della pandemia dei vaccinati

 

 Quante volte ci siamo sentiti ripetere che ci troviamo nel bel mezzo di una pandemia di non vaccinati? Uno slogan adottato, tanto per citarne uno, anche dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Negli ultimi tempi, tuttavia, i report ufficiali dell’Istituto superiore di sanità hanno sancito l’i mpressionante incremento dei casi di positività, ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi anche tra coloro che hanno completato il ciclo di immunizzazione. Tanto per dare un’idea degli ordini di grandezza in gioco, tra ottobre e dicembre l’inci - denza dei casi di positività nei vaccinati con doppia dose è cresciuta di 7,4 volte, passando da 77 casi ogni 100.000 individui a 567 casi ogni 100.000. Un incremento, in proporzione, maggiore rispetto ai non vaccinati, per i quali l’incidenza è aumentata di 5,2 volte, ovviamente con valori assoluti decisamente più alti (da 368 casi/100.000 a 1.929 casi/100.000). Un discorso analogo si può fare per l’incidenza delle ospedalizzazioni nei reparti ordinari, aumentati di 6,1 volte per i vaccinati e 2,4 volte per i non vaccinati. Per ciò che concerne i ricoveri in terapia intensiva e i morti, invece, l’incidenza ha fatto registrare una crescita pressoché identica per i due differenti gruppi: triplicata per i reparti critici e duplicata per i decessi. Complice l’ele - vato numero dei vaccinati, l’ultimo report attesta che ben sei casi di positività su dieci interessano vaccinati con ciclo completo, così come metà dei ricoveri in reparto ordinario e un terzo delle terapie intensive. Fin qui parliamo però ancora di una tendenza, che per quanto chiara ai limiti dell’inequivocabile rappresenta a conti fatti un semplice andamento. Non paghi del trend già riscontrato e descritto nelle scorse settimane su queste stesse pagine, siamo andati alla ricerca di cifre puntuali, nel tentativo di quantificare una volta per tutte l’apporto dei vaccinati alla diffusione del virus. Nel documento sull’a nd am ento nazionale pubblicato con cadenza settimanale dall’Is tituto superiore di sanità, infatti, non viene riportato il numero puntuale di casi di positività, ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi da inizio pandemia, ma solo quello relativo agli ultimi 30 giorni, peraltro con date sfasate. Per fare un esempio, l’ultimo rapporto disponibile aggiornato al 21 dicembre riporta le diagnosi di Sars-CoV-2 dal 19 novembre al 19 dicembre, le ospedalizzazioni e i ricoveri in terapia intensiva dal 5 novembre al 5 dicembre e i decessi dal 28 ottobre al 28 novembre. Una sorta di «tetris», insomma, che nemmeno l’Iss è riuscito a sbrogliare. A seguito di richiesta da parte del nostro quotidiano, l’ufficio stampa di via Regina Elena ha candidamente ammesso che «purtroppo non sono disponibili dati aggregati di questo tipo». Nemmeno la piattaforma «CovidStat», gestita dall’Is t ituto nazionale di fisica nucleare e solitamente miniera di informazioni preziose, stavolta ci risulta d’a i uto. Nonostante qualche difficoltà, «spremendo» i documenti della sorveglianza integrata siamo riusciti nell’i ntento. Va premesso che l’Isti - tuto superiore di sanità ha iniziato a diffondere i dati relativi a contagi, ricoveri e decessi divisi per stato vaccinale e fascia d’età solo a partire dal rapporto del 7 luglio 2021. Ovvero circa un mese dopo l’apertura della campagna vaccinale a tutte le fasce d’età . Per riuscire a «incastrare» correttamente le date, i nostri calcoli partono in realtà dal rapporto successivo, pubblicato il 14 luglio 2021 (conteggio casi a partire dall’11 giugno 2021). Fino ad allora, nel nostro Paese si erano registrati poco meno di 4 milioni di casi. Per ottenere una stima valida delle diagnosi di positività, abbiamo messo in fila sei differenti report sull’an - damento della pandemia, ciascuno dei quali può sovrapporre, o viceversa lasciare scoperta, solo una manciata di giorni. Non si tratta - e non per volere nostro - di un conteggio esatto all’unità, ma basti sapere che dal confronto con quanto ottenuto e la realtà l’errore totale si aggira intorno all’1%. Ebbene, dall’11 giugno al 5 dicembre 2021 si sono verificati circa 754.000 casi, di cui poco meno di 386.000 a carico di non vaccinati (51%) e poco meno di 369.000 (49%) a carico di vaccinati con almeno una dose. Negli ultimi sei mesi, dunque, quasi un caso su due ha riguardato un italiano che aveva almeno iniziato il ciclo di immunizzazione, e in due casi su cinque chi lo aveva già completato. Dati che confermano quanto già avvenuto prima in altri Paesi, e cioè che il siero protegge dall’i nfezione solo fino a un certo punto e in maniera più blanda tanto più ci si allontana dalla data dell’ultima somm i n i s tra z io n e. Colpiscono anche i dati delle ospedalizzazioni. Sugli oltre 38.000 ricoveri, quasi il 40% (poco meno di 15.000) hanno interessato i vaccinati con almeno una dose, e il 33% i vaccinati con ciclo completo. L’efficacia del vaccino nel prevenire la malattia grave si nota soprattutto nei dati relativi alle terapie intensive, dove però da giugno a oggi sono finiti comunque un migliaio di italiani immunizzati, in un quarto dei casi totali con la seconda dose. Completa il quadro il dato dei decessi, con quasi un morto su due (2.600 su 5.500) già destinatario di una dose del siero. Sono numeri destinati a crescere, perché si fermano ai primi di dicembre, alla vigilia cioè della fortissima impennata di casi alla quale stiamo assistendo in queste ultime settimane. Alla faccia, numeri alla mano possiamo proprio dirlo, della pandemia dei non vaccinati. 

Addio alle balle truccate da scienza La card non è più una «garanzia»

 

Che tra quarantene e tamponi il governo sia in totale confusione lo dimostra il caos di questi giorni, di cui gli italiani sono vittime, costretti in casa, anche senza sintomi, dopo essere entrati in contatto con un positivo o in fila per ore fuori dalle farmacie per sottoporsi a un test anti Covid per poter lavorare. Ma se ancora ci fosse chi nutre dubbi sulle disastrose strategie, della combriccola guidata da Rober to S p e ra n za , la prova più convincente è giunta ieri, con le nuove misure adottate dall’esecutivo di fronte a un’esplosione di contagi. Resisi conto di essere finiti in un vicolo cieco a causa dell’istituzione del green pass e di norme restrittive di discussa efficacia, ministri ed esperti sono stati costretti a fare retromarcia, adottando decisioni che di fatto contraddicono la linea del rigore, ma soprattutto sconfessano mesi di certezze pseudo scientifiche. In pratica, basta tamponi per tutti coloro che sono entrati in contatto con un contagiato, stop alle quarantene se si hanno avuti stretti rapporti con un positivo. A patto però di essere addetti a servizi essenziali e purché si sia vaccinati da meno di quattro mesi, con tripla o doppia dose. S p eran za e compagni, ammettono cioè che il certificato verde non serve a nulla ed è una foglia di fico usata per spingere le persone a vaccinarsi, ma non certifica un bel niente, di certo non di essere immuni. Se infatti fosse ciò che ci hanno fatto credere, dicendoci che averlo ci avrebbe garantito di essere «tra persone che non sono contagiate e non si contagiano», oggi non sarebbe necessario introdurre norme che ammettono i rischi per chiunque sia stato nella stanza con un positivo, a prescindere dal passaporto vaccinale. Non solo. Se le cose stessero come ci erano state raccontate, ora non si dovrebbe restringere la possibilità di circolare a chi, dopo il contatto con un contagiato, sia immunizzato da più di quattro mesi. Ma come? Fino all’altroieri il green pass aveva validità di un anno, poi è stato ridotto a 9 mesi e da febbraio si restringerà a 6 mesi e adesso, senza fare un plissé, implicitamente ci dicono che se si è ricevuta l’iniezione anti Covid da più di quattro mesi ci si può contagiare e infettare le persone vicine. Non è finita: la misura più antiscientifica di cui si è parlato riguarderebbe l’esenzione per le persone impiegate nei servizi essenziali, per le quali non varrebbero le regole in vigore per il resto degli italiani. Si tratterebbe - se confermato - di una resa, di una bandiera bianca sventolata di fronte a una situazione sfuggita di mano. Altro che modello Italia. Per non bloccare il Paese, per evitare milioni di persone in quarantena anche se non contagiate e senza sintomi, per scongiurare code interminabili di persone in cerca di un tampone che non si trova, il governo alzerebbe le mani, riconoscendo il fallimento. Se si è impiegati in servizi ritenuti essenziali si può ignorare ciò che è richiesto alle persone comuni? Ma il Covid non colpisce tutti indistintamente? E che senso avrebbe poi porre un limite di quattro mesi, quasi che quello fosse l’a rg i - ne che protegge dal virus? Conosco personalmente chi, pur essendosi vaccinato con tre dosi, dopo poco più di un mese si è ritrovato positivo. E allora perché adottare una misura che non ha nulla di scientifico? Il nostro A nto - nio Grizzuti si è preso la briga di calcolare quante persone vaccinate si siano contagiate negli ultimi sei mesi. Si tratta di dati ufficiali, ricavati dalle statistiche diffuse dall’Istituto superiore di sanità. Basta leggerlo per capire che il green pass come certezza di stare tra persone non contagiate e che non contagiano è una sciocchezza, come una stupidaggine è l’idea che l’epidemia a cui stiamo assistendo sia quella dei non vaccinati. Chi non si è immunizzato si ammala di più e muore di più, ma dei 754.000 casi registrati in Italia da giugno al 5 dicembre, il 51% riguardava persone non vaccinate, mentre il 49% dei positivi aveva ricevuto almeno una dose. Nessuno di noi nega il Covid e nessuno di noi ritiene che i vaccini, per quanto imperfetti, non ci abbiano aiutato, ma insistere a raccontarci cose false del tipo che basti un Qr code a proteggerci non aiuterà a superare una pandemia. Di false certezze spacciate per oro colato ne abbiamo le tasche piene. E purtroppo anche le c o r s ie.


L’asse Lega-5 stelle (PER ORA) blocca il super green pass sul lavoro

 

lega e M5s si impongono e fanno saltare l’idea di estendere il super green pass a tutto il mondo del lavoro, a partire dai dipendenti della pubblica amministrazione, oltre a quelli della sanità, della scuola e del comparto sicurezza, dove l’obbligo del certificato verde rafforzato è già in vigore. Uno smacco senza precedenti in particolare per il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brun etta , che l’altro ieri aveva auspicato «l’applicazione del super green pass a tutto il mondo del lavoro, pubblico, privato e autonomo». Sconfitti anche il solito Walter Ricc i a rd i , consigliere scientifico del ministro della Salute, che ieri mattina aveva proclamato: «È il momento del super green pass per fare tutto, a partire dal poter andare a lavorare» e le Regioni, che pure avevano chiesto di estendere l’obbligo del green pass rafforzato, ovvero quello che si ottiene con il vaccino o con la guarigione dal Covid, ma non viene rilasciato a chi presenta un tampone negativo, a tutto il mondo del lavoro. La giornata di ieri segna quindi un nostalgico ritorno ai tempi della maggioranza Lega-M5s: di buon mattino si riunisce il Comitato tecnico scientifico, che esamina le proposte di nuovi provvedimenti sul contrasto alla pandemia. Alle 16.45 si riunisce la cabina di regia, presieduta da Mario Draghi. Presenti i capidelegazione dei partiti di maggioranza, Gi ancarlo G io rgetti (Lega), Dario France sch ini (Pd), Roberto Spera n za (Leu), Elena Bonetti( Iv) Stefano Patuanelli (M5s) e Mariastella Gelmini ac c o m - pagnata da Renato Brunetta (Fi), il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Rober to G a ro fol i . Su ll ’estensione del super green pass a tutto il mondo del lavoro, o almeno ai dipendenti della pubblica amministrazione che lavorano a contatto con il pubblico, Lega e M5s fanno muro. Il primo a prendere la parola per esprimere le sue perplessità e quelle del Carroccio è G io r - getti . Il ministro dello Sviluppo economico fa presente ai colleghi che estendere l’ob - bligo del super green pass a tutti i lavoratori si configurerebbe come un vero e proprio obbligo vaccinale. In questo caso, tiene a sottolineare G io rgetti , lo Stato dovrebbe assumersi la responsabilità di eventuali effetti dannosi del vaccino, e stilare un elenco di persone fragili da esentare. Anche il ministro dell’Agricoltura, il grillino Ste fa n o Patua n el l i , si mette di traverso: «Abbiamo sempre ragionato per funzioni», dice Pa - tua n el li alla Ve rità , «forze dell’ordine, docenti, sanitari. Quelli a contatto con le persone. Quale sarebbe la ratio di distinguere tra un lavoratore e un disoccupato? Non siamo contrari all’obbligo», aggiunge Patua nel li , «come dimostrano i precedenti decreti, ma con raziocinio». Patuan el l i in cabina di regia dice anche di preferire, a questo punto, di iniziare a ragionare di obbligo vaccinale. Fra n c e s ch i ni , S p e ra n za , Br u n etta e la G el m i n i c e rc a - no di convincere D ra g h i a introdurre questa specie di obbligo vaccinale mascherato, ma il premier non vuole forzare la mano, e quindi si ragiona di una estensione bonsai, per il personale dei trasporti, i lavoratori delle fiere e quelli degli impianti sciistici. Una sconfitta del fronte dei pasdaran del super green pass, che finisce per far imbestialire il Pd: «Ancora una volta», twitta imbestialito il senatore dem Dario Stefano, «la Lega di Sa lv i n i vuole impedire al governo di prendere iniziative forti contro la pandemia. Un atteggiamento non più tollerabile. Si decida subito il super green pass per tutti i lavoratori». Se non ci fosse, dovrebbero inventarlo, il senatore Ste fa - n o: twitta contro la Lega ma si dimentica di citare il M5s, che pure si è opposto al super green pass per tutti i lavoratori, o forse finge di dimenticarlo, poiché i pentastellati sono alleati dei dem. Del resto, la mossa di Patua n el l i , fedelissimo di Giuseppe Conte, non potrà non avere ripercussioni sull’alleanza giallorossa, già messa a dura prova dal crollo costante dei consensi del M5s. Nervoso, per usare un eufemismo, anche Br un etta . La posizione di Giorgetti è all’insegna del più puro buon senso e anche della chiarezza nei confronti dei cittadini. Estendere a tutto il mondo del lavoro il super green pass, infatti, equivale a introdurre surrettiziamente in Italia l’obbligo vaccinale senza però stabilirlo per legge, e dunque non assumendosi la responsabilità di erogare indennizzi in caso di effetti avversi. Una questione affrontata spesso dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: «Penso che l’e s te n s io n e del green pass e il vaccino obbligatorio», ha detto a questo proposito, alcune settimane fa, la M el o n i , «siano due cose diverse. Il green pass era una misura nata dall’Unione europea per favorire la circolazione delle persone, il vaccino obbligatorio è un’altra cosa: se il governo vuole usare il green ass per inserire surrettiziamente l’obbligo vaccinale allora io penso che questo non sia giusto. Inserisca l’ob - bligo vaccinale», ha aggiunto la M el o n i , «io non sono d’ac - cordo ma se ne assume la responsabilità; anche perché ci sono regole diverse sugli indennizzi nel caso in cui qualcosa non funzioni. L’obb l i go vaccinale prevede per legge che lo Stato indennizzi, sul resto ci sono sentenze della Corte costituzionale ma la legge non c’è». Alle 21 inizia il Consiglio dei ministri: «Il Pd è a favore dell’obbligo vaccinale ma intanto l’estensione del super green pass a tutte le attività rappresenta un incentivo a vaccinarsi», (NO,RAPPRESENTA UN RICATTO !) spiegano fonti dem mentre la riunione è ancora in corso. La battaglia c o nt i nu a .