Fin dai primi giorni della pandemia COVID, erano iniziate ad emergere prove secondo cui il virus non sarebbe stato un fenomeno evolutivo naturale, come asserito dall’OMS, dalla rivista Nature e dagli editori di Lancet, ma avrebbe avuto altre origini.
Uno dei primi sostenitori di questa teoria era stato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lijian Zhou, che, a livello internazionale, aveva fatto scalpore condividendo due articoli di Larry Romanoff sulla possibile “targettizzazione genetica” di un virus che stava avendo un effetto sproporzionatamente letale su iraniani, italiani e vari genotipi asiatici. Zhou era stato subito affiancato da esperti di armi biologiche, come Francis Boyle, dai virologi di spicco Luc Montagnier e Judy Mikovits, seguiti da una crescente schiera di studiosi, scienziati e accademici mondiali, tutti concordi sul fatto che l’apparente sequenzialità genetica del virus implicava un intervento umano. Anche se tutti erano d’accordo sul fatto che il COV-2 sembrava aver avuto origine da un laboratorio, non era ancora chiaro se quel laboratorio fosse cinese o controllato dagli USA.
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