STUPIDA RAZZA

martedì 27 dicembre 2022

L’anno dei falchi: le banche centrali globali alzano i tassi 137 volte

 

Dopo anni di tassi zero, l’inflazione ha costretto le banche centrali alla stretta e gli istituti di credito sono intervenuti di conseguenza: guardando le maggiori 26 banche centrali del mondo, ben 22 quest’anno hanno alzato i tassi d’interesse per un totale di 137 volte, aumentando il costo del denaro di 3,75 punti percentuali medi a testa.Ci eravamo quasi convinti che le banche centrali avrebbero lasciato i tassi a zero, sotto zero o comunque ai minimi termini, per sempre. Qualcuno accarezzava l’idea che la monetizzazione del debito e la spesa pubblica da Bengodi potessero durare in eterno. «Sarà per sempre Natale», come cantava Lucio Dalla. «E festa tutto l’anno». Sembrava una «nuova» (e comoda) normalità. Ma era troppo bello per essere vero: il 2022, anno che ha risvegliato il fantasma dell’inflazione, ha regalato a tutti una doccia fredda. Improvvisamente quasi tutte le banche centrali del mondo hanno iniziato a rialzare i tassi d’interesse come se non ci fosse un domani. Chi oggi punta il dito sulla Bce e sulla presidentessa Christine Lagarde, “colpevole” di danneggiare Paesi come l’Italia con i suoi aumenti del costo del denaro, sappia che non è la sola: guardando le maggiori 26 banche centrali del mondo (dagli Stati Uniti alla Polonia), ben 22 quest’anno hanno alzato i tassi d’interesse. In totale l’hanno fatto 137 volte: in media 6,2 volte a testa, cioè - facendo un conto grossolano ma che rende l’idea - un mese sì e uno no. Tutte insieme hanno aumentato il costo del denaro in totale di 82,6 punti percentuali, il che significa 3,75 punti percentuali medi a testa. Non solo: tante di loro hanno anche iniziato (o come la Bce hanno annunciato di farlo a breve) la riduzione del bilancio. Questo significa che stanno riducendo piano piano i titoli di Stato che avevano comprato durante le politiche ultra-espansive degli anni passati, drenando liquidità. Qui i numeri sono (per ora) piccoli, dato che molte banche centrali hanno appena iniziato la retromarcia o l’hanno solo annunciata. Ma ugualmente il trend è segnato: il bilancio della Federal Reserve Usa a gennaio ammontava a 8.750 miliardi di dollari, mentre ora è sceso a 8.580. Quello della Bce è aumentato, ma Christine Lagarde ha annunciato la riduzione a partire da marzo 2023. E in generale la liquidità globale (misurata in dollari e guardando l’aggregato M2) , tra alti e bassi dovuti anche all’effetto cambio è calata dal massimo di 103.783 miliardi di dollari a 100.480: una riduzione di 3.300 miliardi di dollari. Ed è solo l’inizio. Tassi più alti e liquidità meno abbondante, insomma: è questa la medicina amara e globale che le banche centrali stanno somministrando per combattere il nuovo virus che si è propagato nel mondo. L’inflazione. La grande stretta globale Dopo circa 15 anni di tassi bassissimi e di «quantitative easing», giustificati dalla scomparsa dell’inflazione, il mondo è dunque improvvisamente cambiato nel 2022. Un po’ perché la domanda dei consumatori si è improvvisamente svegliata dopo i lockdown del 2020-21 e un po’ perché l’offerta di beni non è riuscita a stare al passo (a causa delle catene globali delle forniture a singhiozzo e di fabbriche non pronte a soddisfare una domanda esplosa improvvisamente) l’inflazione nel 2022 si è impennata ovunque. Sin da inizio anno. Sin dal 2021, in realtà. Quando poi la Russia ha invaso l’Ucraina a febbraio, causando la più grande crisi energetica degli ultimi decenni con prezzi del gas schizzati in alzo, il “pacchetto” è stato completato: l’inflazione ha raggiunto vette che non si vedevano dagli anni ’70. In molti Paesi (Europa e Italia incluse) a due cifre. Le banche centrali non potevano che intervenire. L’inflazione è infatti la peggiore delle “tasse” perché colpisce soprattutto le classi sociali più povere, quelle per cui un aumento dei prezzi segna il confine tra il mangiare e il non mangiare. Così le Banche centrali hanno somministrato al mondo la più amara delle medicine: il rialzo dei tassi e la riduzione della liquidità. L’obiettivo è rendere i prestiti più cari e disincentivare i consumi. Frenando l’economia. Fino alla recessione. Questa è, in fin dei conti, la principale cura universalmente riconosciuta per l’inflazione: se i consumi calano, anche i prezzi calano. Oggi tutti guardano alle banche centrali con preoccupazione per la velocità di questa manovra globale, ma il problema è che le stesse banche centrali hanno aspettato troppo ad agire: credendo per molti mesi che l’inflazione fosse solo «temporanea» (a causa di previsioni sbagliate ma forse anche di un’illusione collettiva), hanno temporeggiato. L’ha fatto la Federal Reserve Usa. L’ha fatto la Banca centrale europea. Poi, quando si sono accorti che l’inflazione non era affatto «temporanea», i banchieri centrali sono corsi ai ripari con una velocità che ha pochi precedenti nella storia. Solo quattro Banche centrali (tra le maggiori 26 del mondo) si sono mosse in controtendenza: quelle di Cina (che ha lievemente tagliato i tassi nel 2022), di Giappone e Indonesia (che sono rimaste ferme) e quella della Turchia. Sebbene qui l’inflazione sia arrivata all’85,5%, la banca centrale (etrodiretta dal presidente Erdogan) ha tagliato i tassi dal 13% al 9% nel corso dell’anno.Le conseguenze della stretta La prima domanda da porsi è se questa medicina, amara, avrà effetto. Negli Stati Uniti l’inflazione sta in effetti già scendendo un po’ (a dicembre è calata al 7,1% dal precedente 7,6%), mentre in Europa si vede solo qualche irrisoria limatura. Ma se oltreoceano il caro-vita è in gran parte dovuto al surriscaldamento dei consumi (dunque gelandoli la Fed può sperare di uccidere il caro-vita), in Europa due terzi dell’inflazione sono invece dovuti al caro-energia. Questo rischia di rendere meno efficace la medicina nel Vecchio continente, anche se pur sempre necessaria per calmare anche l’”altra” inflazione: quella (sempre troppo alta) che esclude l’energia e gli alimentari. Il problema è che la medicina avrà degli effetti collaterali. Il primo, ormai praticamente inevitabile, è la recessione economica. O comunque un brusco rallentamento. Ma ce ne potrebbero essere ulteriori. Un mondo che ha vissuto con tassi a zero per più di un decennio, che ha un indebitamento da record e che ha un sistema finanziario gigantesco costruito quando i tassi erano a zero, quanto a lungo potrà resistere con il costo del denaro sempre più elevato? È vero che oggi resta ben più basso di quello visto non troppi decenni fa. Ma è anche vero che oggi il mondo è diverso da quello degli anni ’70 e ’80: i debiti (pubblici e privati) sono molto maggiori e sono stati accesi in un contesto di tassi bassi che li rendevano sostenibili. Anche il sistema finanziario globale (con una grande quantità di leva) è stato costruito in un contesto diverso da quello di oggi. L’effetto spiazzamento rischia di essere simile a quello di chi prepara le valigie per andare al mare e invece finisce in alta montagna: l’abbigliamento non va più bene. La domanda che tutti si pongono, guardando al 2023, è dunque una sola: per quanto tempo si può resistere in alta montagna con costumi, pinne e magliette? Fuor di metafora: quanto a lungo possono resistere il mondo e i mercati finanziari in un contesto così diverso da quello a cui erano abituati e in cui credevano di restare ancora per molto tempo? Le prossime mosse Anche perché non è finita qui. Le banche centrali hanno comunicato, più o meno tutte, che continueranno nella stretta monetaria. Nel 2023 si farà molto più sul serio sulla riduzione dei bilanci (e dunque dei titoli acquistati negli anni passati). Ma anche i tassi saliranno ancora. Sia la Fed sia la Bce (soprattutto quest’ultima) l’hanno detto senza mezzi termini. Siamo all’inizio di un tragitto. Il traguardo? Ancora lontano. Soprattutto in Europa.

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