Il 20 gennaio del 2010 un gruppo di uomini dei servizi israeliani eliminò in un hotel di Dubai Mahmoud Al Mabhouh, figura di spicco di Hamas. Fu un duro colpo per i palestinesi, ma uno smacco anche per Gerusalemme. L’operazione non fu proprio «pulita», come si dice in gergo. Le telecamere dell’albergo tracciarono i volti delle forze speciali. Dubai chiamò l’Fbi, gli inglesi scoprirono che la squadra israeliana in missione utilizzava passaporti di veri sudditi della Corona e cacciò da Londra un paio di diplomatici di Israele. Oggi questo pasticcio non sarebbe accaduto, grazie a un sistema di software prodotto da una start up, ovviamente israeliana, che prende il nome di Toka. Tra gli advisor c’è l’ex premier Ehud Barak e tra i fondatori addirittura il generale Yaron Rosen, per anni il capo della sezione cyber dell’esercito israeliano. Se Toka fosse esistito nel 2010 avrebbe potuto agilmente intervenire sul sistema di sorveglianza dell’edificio e sostituire a posteriori o addirittura in presa diretta i volti degli agenti con quelli di altre persone. E nessuno sarebbe risalito al Mossad, garantendo a Tel Aviv un successo su tutti i fronti. La manipolazione è possibile grazie a un sistema estremamente complesso che non si basa soltanto sul software di punta (quello svelato l’altro ieri dal quotidiano Ha re et z ), ma da un sistema di connessioni che permette di setacciare e intervenire su qualunque telecamera praticamente in tempo reale. O meglio, in tempo reale se il perimetro di ricerca è più o meno limitato a un città. Per setacciare le telecamere globali collegate alla Rete ci vogliono probabilmente minuti. Ma alla fine della ricerca sarà possibile scoprire dove un singolo individuo è stato immortalato per l’ultima volta. A novembre dello scorso anno il generale Rosen ha pubblicato un editoriale sul The Time of Israel s piega n d o, da ex pilota di elicotteri, che lo scenario e le necessità di difesa nei cieli sono cambiate molto più lentamente in decenni, di quanto sta accadendo negli ultimi mesi nel teatro di guerra cyber. Per questo Israele ha, da un lato, istituito un programma (Cyber4s) per convertire in sei mesi soldati di fanteria (e non solo) in cyber guerrieri e, dall’a l tro, ha spinto il più possibile su start up come Toka. E in passato su altre già finite sulle colonne dei quotidiani perché connesse a fatti di cronaca che con il terrorismo nulla avevano a che fare. Basti pensare a Pegasus, un software spia, prodotto da Nso, e scoperto negli smartphone di numerosi politici occidentali, giornalisti o attivisti di varie Ong. Il nome Pegasus è in qualche modo collegato al Qatargate perché la scorsa primavera Bruxelles ha istituito una commissione d’i n c h ie s ta per scoprire quali governi ne facessero uso e contro chi. Da lì il timore dei servizi d’intelligence marocchini di finire nell’inchiesta e le numerose sollecitazioni al gruppo di Antonio Panzeri con l’obiettivo di mitigare le ricerche. Ma Pegasus è solo uno dei tanti software svelati. Se torniamo indietro, scopriamo che anche gli italiani di Hacking team si sono trovati coinvolti in un fatto di cronaca. Dietro all’omicidio del saudita Jamal Khashoggi s a rebb e stato testato un software in grado di bucare praticamente tutti i d e vic e. Vale la pena sottolineare che ogni volta che la stampa svela (o riceve una velina relativamente a) un software, è già pronto a entrare in commercio il modello successivo. Immaginiamo che potrà avvenire la stessa cosa anche con Toka. Il che porta a chiedersi che cosa mai sarà in grado di fare la versione agg io r n ata . Sul suo sito ufficiale Toka ancora oggi spiega che i prodotti vengono offerti soltanto alle forze armate, alle organizzazioni per la sicurezza nazionale, all’intelligence e alle forze dell’ordine «degli Stati Uniti e dei suoi più stretti alleati». Per il giornale israeliano i clienti sono almeno Israele, Usa, Germania, Australia, Singapore. «Ma sulla mappa fornita dal pagina web della start up compare anche l’Italia, senza però fornire dettagli ulteriori», si legge sempre nell’articolo. Nell’elenco seguono Spagna, Portogallo, Francia, Regno Unito, Grecia, Canada. Anche solo fermandoci alla versione attuale, è facile immaginare la rete di informazioni che può essere raccolta su ciascun cittadino. Pegasus, per esempio, era in grado di bucare tutti i telefoni eccetto il vecchio Nokia 6610. Per il semplice fatto che si tratta di un apparecchio così poco diffuso che gli sviluppatori non hanno voluto dedicare tempo a metterlo nel mirino. Se poi aggiungiamo il numero presunto di telecamere installate nel mondo, si comprende quanto il cappio attorno alla nostra privacy sia stretto. Aithority sti - ma che in Cina siano funzionanti 200 milioni di apparecchi di video sorveglianza. Gli Stati Uniti ne avrebbero 50 milioni e la Germania più di 5. Tante quante ne registra la Gran Bretagna o il Giappone. La piccola Olanda ha ben 1 milione di apparecchi attivi su un totale di 17 milioni di abitanti. Per rimanere nell’Ue , Germania e Olanda sono i Paesi più controllati. Contano infatti rispettivamente 6,2 e 5,8 telecamere ogni 100 pers o n e. In Italia, secondo statistiche non confermate, il rapporto dovrebbe essere 3 ogni 100 abitanti. Numeri impressionanti che inducono a riflettere sulle possibili conseguenze. Chi sviluppa i software e usa l’intelligenza artificiale per spalmarne l’effica - cia su milioni di obiettivi tiene sempre a precisare che «gli standard etici vengono rispettati». Il tema è però: chi li scrive o chi li aggiorna?
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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