STUPIDA RAZZA

mercoledì 23 novembre 2022

Ocse: nel 2023 non ci sarà la recessione globale

 

Indebolita dalla guerra in Ucraina e dal peggiore shock energetico dagli anni Settanta, l’economia mondiale frena, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, anche se dovrebbe riuscire a evitare la recessione l’anno prossimo, sempre che il quadro non peggiori. Lo scenario è quello dell’ultimo outlook dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che per l’Italia prevede una contrazione alla fine dell’anno e una sostanziale stagnazione (+0,2% appena) nel 2023. La crescita mondiale rallenterà quest’anno al 3,1% (a settembre la stessa Ocse aveva previsto un +3,1%) contro il 5,9% del 2021, per poi calare al 2,2% nel 2023 e risalire al 2,7% nel 2024. Principale motore della crescita nel biennio 2023-2024 saranno i Paesi emergenti dell’Asia, che peseranno per tre quarti, mentre Europa, Nord America e Sud America registreranno basse performance. A cominciare dall’Europa, che più di tutti sente il peso del conflitto in Ucraina e del conseguente shock energetico nonché – ma questo è un problema condiviso con l’altra sponda dell’Atlantico – dell’inflazione fuori controllo. Per l’Eurozona, l’Ocse prevede quest’anno un incremento del 3,3% del Pil, che frenerà bruscamente nel 2023 (+0,5%) e risalirà all’1,4% nel 2024. A soffrire di più sono le economie tradizionalmente dipendenti dalle importazioni di energia russa, come quella tedesca: per Berlino si prevede l’anno prossimo una contrazione del Pil dello 0,3%, comunque meno marcata dello 0,7% stimato a settembre; meglio andrà invece in Francia, dove la dipendenza è minore e dove si stima una crescita dello 0,6%. Per l’Italia, dopo la crescita sostenuta dei primi trimestri del 2022 (che si tradurrà in un +3,7% annuo), l’Ocse rileva indicatori che puntano a un declino dell’attività e fanno prevedere qualche contrazione trimestrale. Il 2023 dovrebbe tuttavia registrare un lievissimo segno positivo (+0,2%), prima di ritrovare la crescita vera e propria (+1%) nel 2024. Il debito pubblico si attesterà al 146,5% nel 2022, per poi ridursi al 144,4% nel 2023 e al 143,3% nel 2024. «Pensiamo che le politiche attuate oggi cominceranno ad avere un impatto nel 2024 – ha dichiarato il capo economista dell’Ocse, Alvaro Santos Pereira - e pensiamo che ci sarà un rimbalzo dell’economia italiana. Ripeto – ha aggiunto però - quello che già da tempo diciamo: prima di tutto ciò che è importante per l’Italia è la prudenza di bilancio, perché c’è comunque un indebitamento abbastanza forte». Fuori dall’Eurozona, peggiora lo scenario nel Regno Unito, maglia nera del G7 per i prossimi due anni (con una contrazione dello 0,4% nel 2023) per effetto di alta inflazione ed elevati tassi di interesse. Anche per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’aggressiva politica della Federal Reserve per contenere l’inflazione produrrà una frenata della crescita: dall’1,8% di quest’anno allo 0,5% del 2023 (+1% la stima per il 2024). L’Ocse tuttavia, in linea con le principali banche centrali e con la Commissione europea, in questa fase prolungata di alta inflazione (8,3, 6,8 e 3,4% le stime per l’Eurozona tra il 2022 e il 2024) non vede alternative a politiche monetarie restrittive, accompagnate da misure mirate da parte dei governi. «L’ulteriore inasprimento della politica monetaria – si legge nel rapporto presentato ieri - è essenziale per combattere l’inflazione e il sostegno della politica di bilancio dovrebbe diventare più mirato e temporaneo». «Non prevediamo una recessione – ha sintetizzato il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann, presentando l’outlook – ma certamente un periodo di marcata debolezza». Il condizionale tuttavia rimane d’obbligo. I numeri indicati fanno parte dello scenario base dell’Ocse, che non manca di ricordare che c’è il rischio di più gravi carenze di gas, con effetti a cascata sulla catena produttiva. In questo caso, le ricadute su crescita e inflazione potrebbero essere consistenti. Soprattutto in Europa, dove l’Ocse stima nel 2023 un impatto fino a 1,4 punti percentuali di Pil in meno e 1,25 punti percentuali in più per l’inflazione. A quel punto, diversi Paesi non riuscirebbero più a scongiurare la recessione.

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