Il 5 ottobre, l’Opec (Orga - nizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ndr.) plus ha deciso di tagliare la produzione di 2 milioni di barili al giorno (b/g) a novembre rispetto alla propria base produttiva. In particolare, l’Arabia Saudita ridurrà l’output di 526.000 b/g rispetto alla propria quota di 11.004.000 b/g (10.904.000 b/g l’output effettivo a settemb re ) . La Casa Bianca ha definito la scelta dell’Opec plus come un «atto ostile» nei propri confronti. Più precisamente, il presidente Usa Joe Biden ha dichiarato che «ci saranno alcune conseguenze per quello che hanno fatto con la Russia […]. Non entrerò (nel dettaglio, n d r. ) di quello che ho in mente. Ma ci saranno - ci saranno delle conseguenze». Netta la risposta saudita affidata al ministero degli Esteri, secondo il quale «il governo del regno dell’Arabia Saudita desidera innanzitutto esprimere il suo totale rifiuto per queste affermazioni che non sono basate sui fatti e che mirano a ritrarre la decisione dell’Opec plus al di fuori del suo contesto puramente economico. Questa decisione è stata presa all’unanimità da tutti gli Stati membri del gruppo Opec p lu s » . L’OPEC E LA RUSSIA In realtà, alcuni membri dell’Opec - a partire dall’I raq , il secondo produttore dell’Or - ganizzazione - pare abbiano espresso malumori in merito alla decisione del gruppo non tanto per assecondare le volontà politiche della Casa Bianca alle prese con le difficili elezioni di mid-term di inizio novembre e un alto tasso di inflazione (8,2% a settembre, anno su anno), ma perché desiderosi di incrementare ulteriormente i rispettivi output e rendite minerarie. Nei fatti, la Federazione russa, che ha frattanto accolto a Mosca il sultano degli Emirati Arabi Uniti per discutere di energia ma non solo (lo scorso 11 ottobre), è la principale beneficiaria del taglio, poiché non ridurrà la propria produzione in quanto già al di sotto della propria base estrattiva a causa delle sanzioni. Più precisamente, il taglio reale dell’Opec plus sarebbe di 1-1.1.000.000 b/g proprio perché anche altri produttori, oltre la Russia, non sono stati in grado di rispettare le rispettive quote negli ultimi mesi (su tutti, Nigeria e Angola). Al 7 ottobre, il taglio dell’Opec plus ha determinato il più marcato incremento settimanale di prezzo dal mese di marzo e, nonostante una successiva flessione, il successivo 24 ottobre il barile continuava a essere comunque scambiato al di sopra della chiusura di settembre (+4-5 dollari al barile). A differenza degli Stati Uniti, che sono fornitori netti verso l’estero per l’1% circa dei propri consumi totali di energia, l’Unione europea, il cui tasso di inflazione ha raggiunto il 10,9% a settembre (anno su anno), ha una dipendenza energetica dall’estero pari al 60% dei propri consumi totali di energia e il petrolio è la fonte energetica più utilizzata nel proprio paniere energetico (nel 2021, rappresentava il 36% del totale). G7 E PRICE CAP Secondo il sito statunitense O ilp ric e, la decisione dei tagli presa dall’Opec plus potrebbe «rendere molto rischioso» anche l’accordo del G7 volto a imporre un price cap al prezzo del greggio russo a partire dal prossimo dicembre, al fine di ridurre la rendita mineraria della Russia. Premesso che quest’ultima misura avrebbe un senso solo se anche Cina e India la implementassero, il che appare al momento piuttosto inverosimile, la decisione del G7 sommata a quella dell’Opec plus potrebbero determinare un ulteriore incremento della volatilità del barile dalle conseguenze asimmetriche tra le due sponde dell’Atlantico. Più precisamente, se la Federazione russa reagisse alla scelta del G7 con un ulteriore taglio del proprio output, Ubs stima che il prezzo del barile potrebbe immediatamente crescere sino a 125 dollari al ba r i l e. In attesa che il 5 dicembre scattino le sanzioni Ue sul greggio russo via mare, secondo Blo o m b e rg la Federazione russa ha esportato 2.320.000 b/g in Turchia, Cina e India nelle quattro settimane precedenti il 14 ottobre, record dall’inizio del 2022, mentre le esportazioni totali via mare hanno oltrepassato i 3.000.000 b/g, il massimo da metà agosto, a dimostrazione della veloce sostituzione in corso da parte russa degli storici acquirenti europei con i nuovi clienti asiatici. Il 10 ottobre, durante la conferenza sulla sicurezza energetica dell’Institute of international finance di Washington, Monica Malik, capo economista presso la Abu Dhabi commercial bank, ha dichiarato che gli Stati del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) non saranno in grado di aumentare la loro produzione per sostituire il petrolio russo in Euro pa . I RAPPORTI DI FORZA Il 25 novembre 2021 scrivemmo che «nel campo dell’energia, i rapporti di forza paiono volgere a sfavore del blocco atlantico e a favore di Federazione russa e Cina». Il 26 febbraio 2022, il voto sulla risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Organiz zazione delle nazioni unite allargato che «deplorava» l’i nva s io n e russa dell’Ucraina, metteva effettivamente in luce la divergenza di valutazioni fra l’area di più antica industrializzazione del pianeta e ampia parte dell’area emergente. Di rilievo il fatto che l’asten - sione avesse riguardato un importante membro dell’Opec, nonché alleato degli Stati Uniti d’America, gli Emirati Arabi Uniti. Al tempo, O ilp ric e scrisse che «questo voto evidenzia che la capacità di Washington di contrastare l’in - fluenza di Cina e Russia in Medio oriente è limitata». Il 2 marzo 2022, il voto all’Assem - blea generale delle Nazioni unite rendeva ancora più evidente tale divergenza in virtù dell’astensione di circa la metà dei membri dell’Opec plus, nonché di Cina e India, rispettivamente primo e terzo importatore di greggio al mondo nel 2021 con circa 10.260.000 b/g e 4.250.000 b/g. Se la rottura dell’Opec plus ci appariva, al tempo, alquanto improbabile, oggi non è nemmeno all’ordine del giorno. In attesa della reazione preannunciata dal presidente degli Stati Uniti, l’indice della posizione finanziaria Usa (net international investment position-Neep), dopo avere toccato il record negativo di 18.000 miliardi di dollari nel quarto trimestre del 2021, è migliorato di ben 2.000 miliardi di dollari nei primi due trimestri del 2022 (-16.000 miliardi di dollari). Un dato su cui l’Unione europea e l’Ita l i a dovrebbero urgentemente rif l ette re.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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