Si può aprire un canale a scelta, e anche oggi si vedranno, tratteggiate con doveroso pathos, condizioni di necessità umanitaria, e urgenza inderogabile, tali per cui solo un bruto potrebbe mettere in dubbio l’obbligo morale dell’accoglienza.
Le emergenze umanitarie – con connessi riflettori, tempeste mediatiche, stracciamento di vesti, invettive morali, arrembaggi di deputati in cerca di gloria, infuocate prese di posizione internazionali – vengono in esistenza intorno al limite della acque territoriali libiche e scompaiono nel nulla quando i giornalisti vanno a casa, a sbarco avvenuto.
Pare che, prima e dopo, debbano sussistere pace ed abbondanza, non ci siano crisi di cui doversi occupare, non ci siano responsabilità, non ci siano obblighi morali, non ci siano questioni geopolitiche, non ci sia nulla.
I soggetti in condizione di urgenza umanitaria sono quegli strani esseri che si materializzano in forma di emergenza su un gommone e si smaterializzano appena messo piede a terra.
Ora, però, per quanto lo spettatore medio abbia la memoria di un pesce rosso, anche lui non potrà non notare che ci viene ammannita più o meno una ‘inderogabile emergenza umanitaria’ al giorno, feste comandate incluse, da dieci anni.
Per quanto sciocco, incolto e barbaro egli sia, è difficile che non capisca che chiamare ’emergenza’ questi eventi è una presa in giro.
Così come capisce che è una presa in giro utilizzare tutta una legislazione marittima nata per occasionali naufragi per affrontare un’attività di trasferimento costante e prevedibile, che con quella fattispecie non c’entra nulla.
I governi europei sono liberi di mandare in onda quotidianamente la sceneggiata dell'”imprevedibile emergenza umanitaria”, ma pretendere che i popoli europei stiano al gioco, raccogliendo ‘risorse emergenziali’ per i decenni a venire è francamente troppo.
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