Sembra che nel nuovo ordine planetario che si va delineando due cose, apparentemente senza rapporto fra loro, siano destinate a essere integralmente rimosse: il volto e la morte. Cercheremo di indagare se esse non siano invece in qualche modo connesse e quale sia il senso della loro rimozione.
Che la visione del proprio volto e del volto degli altri sia per l’uomo un’esperienza decisiva era già noto agli antichi: «Ciò che si chiama “volto” – scrive Cicerone – non può esistere in nessun animale se non nell’uomo» e i greci definivano lo schiavo, che non è padrone di se stesso, aproposon, letteralmente «senza volto». Certo tutti gli esseri viventi si mostrano e comunicano gli uni agli altri, ma solo l’uomo fa del volto il luogo del suo riconoscimento e della sua verità, l’uomo è l’animale che riconosce il suo volto allo specchio e si specchia e riconosce nel volto dell’altro. Il volto è, in questo senso, tanto la similitas, la somiglianza che la simultas, l’essere insieme degli uomini. Un uomo senza volto è necessariamente solo.
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