STUPIDA RAZZA

domenica 21 maggio 2023

«Il problema più che il clima è il dissesto»

 

Paride Antolini, presidente d el l ’Ordine dei geologi in Emilia Romag na, la dis tu r b o? «Sono in bici e sto arrivando in prossimità del fiume. Vedo molti suoi colleghi. Mi faccia controllare il livello». Quale fiume? «Il Savio qui al ponte nuovo di Cesena... sì, la piena si è abbassata molto. Meglio». I n fu r i a senza sosta il dibattito sul cambiamento climatico, ma lei parla soprattutto di dissesto idrogeologico. «Abbiamo avuto a inizio maggio piogge estremamente intense. Ma l’acqua non aveva sormontato gli argini, bensì li aveva rotti. E questo riguarda principalmente la manutenzione più che il clima. Poi sono arrivate altre eccezionali piogge, intorno a 250 millilitri: un fenomeno ovviamente diverso. Chiaro che di fronte a un evento del genere gli argini anche ben manutenuti difficilmente tengono. Fra Lombardia, Veneto ed Emilia ci sono 2.500 chilometri di argini da gestire. L’incidente in queste situazioni estreme è pressocché inevitabile». «Houston abbiamo un probl em a », dicevano gli astronauti nello spazio in Ap oll o 13. «Una volta avevamo il presidio delle case cantoniere a livello comunale. Oggi siamo a raschiare il fondo del barile. Anche nella sanità, vediamo situazioni analoghe. Non abbiamo più questi presidi che pulivano il fossetto nella strada. Abbiamo appalti gestiti a livello centralizzato con imprese e mezzi meccanici che arrivano da fuori, coi loro tempi». M ic ro interventi di buon senso che mancano…. «Prenda le comunità montane. Queste unioni di 14-15 Comuni vivono il territorio e dovrebbero essere loro a farsi carico di questi interventi ma hanno uffici tecnici ridotti all’osso e possono a malapena sbrigare pratiche di autorizzaz io n e » . Sintetizzando il suo pensiero: «Alberi a monte e bacini di espansione a valle». Sintesi b r uta l e? «Esattamente così. Prima bisogna fermare le acque a monte e per far questo servono foreste e boschi. Tutte le autorizzazioni al taglio vanno quindi coordinate a livello di bacino. Per vedere quanto bosco si taglia e se si può. Se piove in una montagna con la foresta integra, l’acqua rallenta verso la pianura. E quando arriva qui, si immette in canali e qui gli alberi non ci devono stare. Gli argini devono essere puliti. Il corso d’acqua dalla sorgente alla foce ha delle caratteristiche precise e diverse a seconda di dove ci si trova. Talvolta i tagli sono indiscriminati». Lei ha citato un re c ente rapporto Ispra da cui spunta una mappatura molto dettagliata del rischio idrogeologico in Italia. «Calabria e Romagna sono le aree più problematiche. Da noi il 60% della popolazione vive in zone a rischio alluvione medio. Gli interventi sul territorio vanno congegnati di concerto con i meteorologi. Se dobbiamo fronteggiare eventi così gravi, che hanno una probabilità di accadimento ogni 200 anni, è una cosa. Se l’a rc o si riduce a 30 la situazione c a m bi a » . Se su 750.000 frane c e n s i te a livello europeo, secondo il suo collega Mario Tozzi,ne abbiamo 620.000 solo in Italia ne deduco che abbiamo un problema di dissesto idrogeologico. Perché altrimenti il cambiamento climatico lo avremmo solo noi. «Considero questo evento come eccezionale. La nostra regione ha un dissesto idrogeologico molto pronunciato, sia per conformazione geomorfologica del territorio che per densità abitativa. Situazione quest’ultima ereditata addirittura dagli antichi romani, che centuriavano la pianura per reperire terre coltivabili. Gli Estensi hanno poi bonificato molto. Pure il Papato cercava terre coltivabili e a stretti fiumi. Dal dopoguerra si è aggiunta un’i n c re d i bi l e continuità di costruzioni alimentata dal boom economico. In passato c’era meno attenzione al territorio. Si cercavano di superare i vincoli in assoluta buona fede. Oggi certe situazioni in prossimità dei fiumi - se la piovosità rimane a questi livelli - non potremo più permettercele. E comunque bisogna studiare la situazione e serve buon senso perché ci sono ormai attività economiche consolidate. Non sempre puoi spostarle. Intanto però partiamo dal cantoniere che pulisce il fosso e poi possiamo arrivare alle grandi strutture che costano centinaia di milioni. Abbiamo margini di recupero piccolissimi in ogni settore. Ma se li recuperiamo possiamo fare tanto». Non saranno molto sexy questi interventi agli occhi dei politici… «La tecnologia oggi ci aiuta nella costruzione degli argini. È chiaro che la gente apprezza più una bella rotonda asfaltata di queste iniziative meno visibili. Come, ad esempio, gli studi relativi alle tane che la fauna realizza lungo gli argini. C’è un passaggio anche culturale. Ormai da tempo si parla solo di Protezione civile ma bisogna soprattutto tornare a vedere uffici con la targhetta e su scritto “pianificazione del terr i to r io”. E chi prima faceva pianificazione ora si occupa di Protezione civile. Se poi cerco un geologo quasi sempre non lo trovo o se lo trovo si occupa di cose di cui potrebbe occuparsi un’altra persona, senza le sue qualifiche». Domanda retorica con risposta scontata: quale dovrebbe essere la priorità quando sentiamo parlare di Pn r r? «Ovviamente il dissesto idrogeologico ma anche il rischio terremoto. Prenda il superbonus e il bonus facciate. Interventi dove si sono spesi un sacco di soldi senza dare priorità alla sicurezza. Questa per noi è la vera emergenza. Si danno soldi solo per fare delle belle case». Ma sono green … «Però prima bisogna pensare alla sicurezza. Cosa ce ne facciamo dei cappotti termici alle case quando poi arriva il terremoto (o la frana) e la casa crolla? Di quella casa mi  rimangono le fotografie». 

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