E il nodo puntualmente ignorato è che il problema non è salvare le
banche che non sanno badare a sé stesse, ma salvare le nazioni, e i
rispettivi popoli, dai banchieri che lo sanno benissimo, come badare a
sé stessi.
Poco
meno che di sfuggita, come un avvertimento doveroso ma tutto sommato
di routine. E con il solito, comodissimo alibi del richiamo alle norme
UE: della serie “ormai si è deciso così, lassù, e noi possiamo/dobbiamo
soltanto adeguarci”. La comunicazione del governatore della Banca
d’Italia, del resto, è arrivata nel corso di un’audizione al Senato e
nell’ambito di un discorso più ampio, dal titolo fatalmente ponderoso di
“Indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano nella prospettiva
della vigilanza europea”.
Tra
una riflessione e l’altra, ecco spuntare anche l’insidiosissimo
promemoria su ciò che cambierà a partire dal primo gennaio 2016 in tema
di salvataggi bancari, con l’entrata in vigore del Meccanismo Unico di
Risoluzione delle Crisi (Single Resolution Mechanism, SRM). Lo scopo,
secondo i proclami dei suoi sostenitori, consisterebbe nel non scaricare
più esclusivamente sulle casse pubbliche i costi necessari ad evitare
il fallimento degli istituti di credito ormai prossimi al crac, per
introdurre invece una nuova disciplina in base alla quale le perdite vengono innanzitutto addebitate agli azionisti e alla clientela.
Detto in sintesi, e utilizzando la neolingua della finanza
internazionale di matrice angloamericana, si passerà dal vecchio
bail-out al novello bail-in.
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