Fra le tesi che ho sostenuto ne “La variante populista” – e rilanciato nel mio nuovo libro, “il socialismo è morto. Viva il socialismo” (Meltemi) – ve n’è una che ha suscitato critiche particolarmente aspre: mi riferisco all’affermazione secondo cui il conflitto di classe, nell’attuale fase di sviluppo capitalistico, si manifesta soprattutto come antagonismo fra flussi e luoghi. L’idea di fondo è che il capitalismo globalizzato e finanziarizzato – fatto di flussi sempre più veloci di merci, servizi, capitali e persone che ignorano i confini politici e geografici – opprime e sfrutta i territori – laddove resta confinata la stragrande maggioranza dell’umanità che non gode delle chance di mobilità fisica e sociale riservate alle élite – dai quali estrae risorse senza restituire nulla in cambio.
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