I dieci comandamenti
sono leggi che vietano all’uomo molto di ciò che egli ritiene naturale,
desiderabile e piacevole. Gli interpreti della legge di Dio hanno
ritenuto colpa grave il disobbedire ad essa e, per le trasgressioni,
hanno coniato il termine: “peccato”. Il peccato è stato presentato come
un’azione che offende Dio e della quale l’uomo dovrebbe vergognarsi e
chiedere perdono, per non dover incorrere nella collera divina.
Ma
Dio non si vede e non si vedono neppure le punizioni ai trasgressori
delle leggi che si dicono sue; allora è facile ritenere che il peccato sia una invenzione dei preti e che nessun peccato originale abbia mai incrinato l’uomo, che tutti gli impulsi naturali siano buoni e assecondabili, che tutto ciò che piace e si è capaci di fare si possa fare e infine, che non esista alcun Dio e quindi nessuna legge a cui l’uomo debba sottostare. L’uomo perciò ritiene che il suo istinto naturale a volere tutto per sé (l’egoismo) sia una caratteristica umana da sviluppare al massimo,
che sia giusto farsi strada a gomitate, che il debole debba ritrarsi
davanti al forte e che il forte debba indietreggiare solo davanti a chi è
più forte di lui.
Si è instaurato così il potere dell’uomo (forte) sull’uomo
e con esso si sono affermate le leggi umane: regole che stabiliscono
chi abbia la precedenza e chi e quando la debba invece dare.
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