Più ancora che
economica. Tale deriva è iniziata quando ha preso vigore –
approfittando del cambio di regime operato in modo truffaldino, come si
trattasse di operazione di giustizia e di affermazione “etica”, con la
sporca manovra detta “mani pulite”, ordita dall’estero, appoggiata
dall’establishment dei “cotonieri” italiani e affidata a bassi
politicanti che rinnegarono, senza autocritica alcuna, il loro passato
finto comunista – un ceto intellettuale (professorale, giornalistico,
ecc.) uscito dal “mitico 68”, oggi del tutto svelato nel suo reale
significato di generazione di mostriciattoli.
Da
decenni ormai ho criticato l’altra idea “mitica” della sinistra pretesa
radicale: quella della Classe (operaia) come erede della borghesia, in
quanto classe egemone ma rivoluzionaria nel senso del rovesciamento e
trasformazione della società capitalistica. Pur avendo compreso che è
invece la classe (di pretesi dominati) meno rivoluzionaria di tutta la
storia delle lotte sedicenti di classe, ho però avuto sempre chiaro che
è comunque decisamente migliore di questo amorfo insieme di putrefatti
intellettuali. La “classe” operaia non è una classe, è un complesso di
ceti lavoratori; tuttavia concreti, fattivi, capaci di fare avanzare
la società anche non cambiandone la “natura” (diciamo, in assenza di
termini nuovi e più propri, capitalistica). Gli intellettuali, falsi
rivoluzionari e ipocriti moralisti, sono quelli piuttosto ben descritti
nell’ultimo film di Sorrentino: un gruppo sociale totalmente negativo,
degenerativo di ogni “intelligenza delle cose”, solo frustrato perché
non ha saputo sostituire al comando coloro che invidiava e di cui
voleva prendere il posto, alla fine vendendosi ad essi e spargendo
miasmi velenosi per ogni cervello pensante.
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