La crisi greca si avvia verso un triste epilogo: l'uscita del paese ellenico dall'area Euro.
O
meglio, in realtà, ci si avvia verso la formalizzazione giuridica e
politica di ciò che si è già verificato da un punto di vista della
teoria economica con il provvedimento del governo greco che - più di una
settimana fa, obtorto collo - ha introdotto un ferreo controllo della circolazione dei capitali e la chiusura delle borse e delle banche.
Il
no al piano di austerità sancito dal referendum, nonostante
l'incredibile campagna mass mediatica tendente a terrorizzare
l'elettorato e così costringerlo a votare si, non ha spostato
minimamente le posizioni in campo: i paesi e le istituzioni creditrici
continuano a pretendere l'accettazione senza condizioni di ulteriori
riforme sulla base dei dogmi della "supply-side economics" e del "Washington Consensus"
del Fondo Monetario Internazionale mentre, dall'altro lato i greci
pretendono che le istituzioni creditrici accettino un taglio al debito
pregresso e un riscadenzamento delle rate più favorevole.
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