“Boom di astensioni”, “affluenza in calo”, “vota la metà degli aventi diritto”.
Sono
questi alcuni dei commenti che hanno accompagnato i titoli d’apertura
dedicati alle recenti elezioni amministrative che hanno avuto luogo in
alcune importanti città, tra cui Roma.
Eppure
una domanda sorge spontanea: come fanno a presentare come
“democratica” una votazione ignorata dalla metà degli elettori?
Non
tanto agli occhi del sottoscritto, che ha chiaro che cos’è la
“democrazia”, bensì a chi crede che “democrazia” faccia il pari con
“partecipazione”, “pluralismo”, “consenso”.
La
cosa che infastidisce di più, non è tanto il fatto che procedano
imperterriti per la loro strada come nulla fosse, incuranti del
malcontento e della disaffezione montanti (peraltro indotte e
canalizzate), ma che se ne infischino smaccatamente della patente
contraddizione tra le loro parole d’ordine, le loro dichiarazioni di
principio e la prassi quale viene instaurata attraverso tutta una serie
di artifici e stati d’animo diffusi: dalla “legge elettorale” (dai nomi
sempre più ridicoli, come il “porcellum”) alle regole per la
presentazione delle liste, passando per l’odio diffuso verso “la casta”,
e finendo con l’oscuramento mediatico di alcuni candidati scomodi
(come l’avv. Marra a Roma) e quelle “norme” che vietano la
proposizione, in campagna elettorale, di temi particolarmente sentiti
dalla famosa “gente”, che poi è quella che rimpolpa i ranghi del
cosiddetto “corpo elettorale”.
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