STUPIDA RAZZA

domenica 8 maggio 2022

Fiammata dello spread a quota 200

 

Sindrome da rialzo dei tassi sui mercati finanziari. Aumentano infatti i timori per l’arrivo di una stretta monetaria da parte della Bce, dopo le mosse della Fed e di altre Banche centrali, per provare a dare una spallata all’inflazione che nell’Eurozona viaggia al 7,5%. Le Borse affondano, e salgono i rendimenti dei titoli di Stato. Lo spread, il differenziale di rendimento tra BTp e Bund a dieci anni, è tornato oltre la soglia dei 200 punti base, come non accadeva da maggio del 2020.Si chiude una settimana di pesanti vendite, tanto sul mercato azionario quanto sull’obbligazionario. E torna d’attualità un vocabolo che per un po’ di tempo era scomparso dai radar. Quello “spread”, che nell’accezione comune è diventato il differenziale di rendimento tra BTp e Bund a 10 anni, tornato oltre la soglia dei 200 punti base (come non accadeva da maggio del 2020) anche per l’acuirsi della tensione intorno al governo Draghi e alle coperture del Dl aiuti. A questo giro della storia il rialzo dello spread non è frutto della fuga degli investitori dai Paesi della periferia dell’Eurozona, ma di combinate vendite tanto sui bond a tripla A della Germania (con i rendimenti a 10 anni che ieri si sono portati all’1,13%, come non accadeva dal 2014) quanto sui BTp (i cui tassi si sono issati fino al 3,14%, come nel dicembre nel 2018). Il mercato obbligazionario sconta giorno dopo giorno un crescente “rischio tassi”, dettato dalle aspettative che la Bce possa presto agire per provare a dare una spallata all’inflazione (che nell’Eurozona viaggia al 7,5% anche se va detto che quella “core”, depurata per energetici e alimentari, è molto più bassa, al 3,5%). In tale direzione, proprio ieri si è pronunciato Olli Rehn, governatore della Banca di Finlandia e membro del consiglio direttivo della Bce: «Inizieremo ad alzare i tassi a luglio verso zero e arriveremo a un territorio positivo verso fine anno». Parole che hanno dato un po’ di forza all’euro, che in settimana era scivolato sotto 1,05 dollari, riavvicinatosi a quota 1,06. Tassi più alti non piacciano, da manuale, agli investitori azionari che si trovano tra l’altro ad affrontare un contesto macroeconomico di rallentamento che potrebbe riflettersi nelle prossime trimestrali. Si spiega anche così il ribasso congiunto delle Borse di ieri con l’Eurostoxx 50 che ha lasciato sul terreno l’1,8% portando a -4,5% il passivo settimanale e a -15% il bilancio da inizio anno. Spostandosi a Wall Street il quadro non migliora. Si è chiusa la quinta settimana consecutiva in rosso con l’S&P 500 che è riuscito con le unghie a riprendere il grande supporto a 4.100 punti che aveva perso intraday. Se in settimana Jerome Powell ha escluso che a giugno la Fed alzerà i tassi di 75 punti base (aprendo difatti la strada ad un’altra manovra da 50 punti base dopo quella di mercoledì scorso) una parte del mercato non gli dà fiducia e sta iniziando a scontare proprio una stretta da 75 punti base. Il clima di incertezza ruota intorno al rischio stagflazione (quel combinato macro in cui la stagnazione viene accompagnata dall’inflazione) alimentato anche dai dati arrivati ieri dal mondo del lavoro. Ad aprile negli Usa sono stati creati 428mila nuovi posti (escluso il settore agricolo) rispetto al mese precedente, mentre gli analisti attendevano un aumento di 400mila posti. La disoccupazione è rimasta al 3,6%, il miglior dato dall’inizio della pandemia, con attese per un calo al 3,5%. Quello che preoccupa di più gli investitori è il dato sui salari cresciuti su base annua del 5,46%. La componente delle buste paga rappresenta una mina vagante nel tentativo di contrastare l’inflazione e pertanto è un dato che i mercati continueranno a monitorare con attenzione. Wall Street sta soffrendo inoltre l’impennata dei tassi reali. Sulla scadenza a 10 anni questi sono passati da -1,14% di marzo a +0,2%. Sono tornati positivi perché i tassi nominali stanno crescendo mentre le aspettative di inflazione a 10 anni sono ferme al 2,8%. C’è quindi ottimismo sul fatto che l’inflazione di medio-lungo periodo si normalizzi, proprio per effetto della cura da cavallo sui tassi intrapresa dalla Fed. Nel mezzo però per le Borse sarà sempre più difficile invertire l’attuale trend ribassista e l’elevata volatilità.

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