STUPIDA RAZZA

venerdì 13 maggio 2022

Prima la moda green, poi la guerra Le bollette continueranno a salire

 

Mario Draghi e il suo ministro Roberto Cingolani s ta n - no svendendo l’Italia alla Ue e agli Usa. Stanno prendendo denaro - quello del Pnrr, che peraltro è in parte a strozzo, visto che dovremo restituirlo e con gli interessi - in cambio di macelleria sociale, visto che il prezzo dell’e ne rg i a , elettrica e non, si avvia a decuplicarsi rispetto al prezzo degli ultimi vent’anni. E ove l’energia aumenta di prezzo, l’inflazione è assicurata. Coi salari invariati, la prospettiva è l’indigenza nera per i poveri e la povertà per la classe media. Nei primi vent’anni del millennio il prezzo medio del megavattora elettrico si attestava a circa 50 euro, ma è salito a 125 nel 2021, fino a 250 dello scorso ap r i l e. Prima della guerra sembrava che fosse la Germania ad avvantaggiarsene. Essa aveva preso accordi con Vladimir Putin per diventare un centro di raccolta quasi esclusivo del gas russo e quindi un quasi esclusivo centro di smistamento del medesimo gas verso altri Paesi della Ue. I tubi che portano gas dalla Russia alla Germania senza passare né per l’Ucraina né per la Polonia giovano sia a Mosca che a Berlino. A Mosca perché indeboliscono l’Ucraina, che ha preminenti introiti per i diritti di passaggio del gas, e a Berlino perché indeboliscono gli altri Paesi europei, che alla dipendenza da Mosca aggiungono quella da Berlino. Per la Polonia più che un indebolimento sarebbe un disastro, visto che essa dipende dal carbone, che avrebbe in abbondanza, ma il cui uso la Ue (cioè la Germania) vorrebbe proibire. Di queste cose ne scrivevamo già lo scorso agosto. La Germania ha un altro vantaggio dai prezzi alti dell’elettricità negli altri Paesi della Ue: la cosa favorisce l’implementazione degli impianti cosiddetti alternativi - eolico e fotovoltaico - che essa prima produce e poi vende ai gonzi. Rivediamo perché. Oggi, il governo italiano paga 24 miliardi tetti fotovoltaici che producano 1 gigawatt elettrico. Dopo 20 anni, che è la vita di quei pannelli, avranno prodotto meno di 200 milioni di megawattora, che a 50 euro per megawattora fanno 10 miliardi. La perdita secca è 14 miliardi. Se però il megawattora sale a 200 euro, il ricavato finale da quei tetti diventa 40 miliardi, con un guadagno di 16 miliardi. Con questa aritmetica i finti tonti credono di convincere i tonti veri che il fotovoltaico è un affare. Naturalmente non lo è, ma l’acquisto è approvato e Berlino gode e festeggia. Siccome, poi, questi impianti alternativi lo sono di  nome ma non di fatto, anche Mosca stappa una bottiglia di champagne per ognuno di quei tetti che i gonzi europei installano, non potendo costoro, in virtù di quei tetti, rinunciare a una sola molecola di gas. Il cerchio si chiuderebbe qui se non ci fosse il terzo incomodo: gli Usa. Ai quali del benessere degli europei non gliene può fregar di meno. Anzi. Il tubo Russia-Germania lo hanno sempre ostacolato, con la logica che se una cosa fa piacere a Mosca allora deve essere ostacolata da Washington. E quanto alla Ue, beh... «fuck the Eu», per dirla con le parole pronunciate da V ic to r i a Nu l a n d - sottosegretario di Stato americano agli affari in Eurasia - a Geoffrey Pyatt - ambasciatore americano in Ucraina - mentre i due, in una conversazione telefonica intercettata, stavano compilando la lista dei componenti del governo ucraino dopo il colpo di Stato del 2014, compilazione dalla quale la Ue era tenuta, con quelle gentili parole, esclusa. Grazie alla segnalazione di un colto, anche se per certi versi stravagante, blogger (è doveroso ringraziarlo: si chiama Massimo Mazzucco), ho appreso di un film documentario del 2016 - U k rai n e on fire - ove il noto regista e produttore americano O l ive r Sto n e indaga sui fatti occorsi in Ucraina nel 2013-14. Nel film, Sto n e intervista V i k to r Ya nu kov ich , il legittimo presidente ucraino che nel 2014 fu destituito con un colpo di Stato preceduto da proteste di piazza. Il pretesto delle proteste fu il rifiuto di Ya nu - kov ich di sottoscrivere accordi commerciali con la Ue. Giova riportare le parole di Ya nu kov ich , al quale Sto n e chiedeva chiarimenti su come nel 2013 egli si stesse muovendo per cercare di risollevare l’Ucraina dalla disastrosa condizione economica nella quale il predecessore l’aveva fatta piombare. «Avevamo due possibili alleati: prima di tutto, contavamo sul Fondo monetario internazionale, ma dopo un anno di trattative, il Fmi ci proponeva condizioni che erano inaccettabili, perché ci chiedeva un sostanziale aumento delle bollette energetiche - luce e gas - ma la cosa avrebbe comportato un forte aumento delle spese per il popolo, visto che il loro stipendio sarebbe rimasto invariato. Rifiutammo l’offerta, facemmo altre proposte al Fmi, ma ci furono tutte rifiutate. L’a l tro alleato era la Russia. Questa era pronta a sottoscrivere accordi, ma noi avremmo dovuto tenere in considerazione il loro interesse». L’intere ss e della Russia era chiaro: gli scambi tra Russia e Ucraina erano liberi e le frontiere aperte, ma se l’Ucraina avesse sottoscritto quegli accordi con la Ue, i prodotti Ue avrebbero transitato senza controllo in Russia, a meno che le frontiere con l’Ucraina avessero cessato di essere aperte. «E così ci prendemmo una pausa, un momento di riflessione», riferisce Ya nu kov ich . Insomma, su un piatto della bilancia c’erano le offerte della Ue, che però erano capestro per il popolo ucraino, e sull’altro la continuità dei buoni rapporti con la Russia. Yanukovich si rifiutò di svendere il proprio Paese e seguì quel che seguì: proteste prima, e colpo si Stato poi. D ra g h i eC i n gol a n i , invece, non hanno alcuna esitazione: loro ci svendono e basta.



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