Uno stop delle forniture di gas dalla Russia produrrebbe uno shock sui volumi necessari a industria e servizi e farebbe crescere ancora i costi energetici. Imponendo al Pil italiano una frenata del 2% in media l’anno nell’orizzonte 2022-2023. Nella Congiuntura flash diffusa ieri, il Centro studi di Confindustria lancia l’allarme sulle conseguenze di un blocco delle importazioni di gas da Mosca, principale fornitore della penisola, e stima «un effetto molto forte» sull’economia italiana Un eventuale stop delle forniture di gas dalla Russia produrrebbe uno shock sui volumi necessari a industria e servizi e farebbe crescere ancora i costi energetici. Imponendo al Pil italiano una frenata del 2% in media l’anno nell’orizzonte 2022-2023. Nella congiuntura flash diffusa ieri, il Centro studi di Confindustria lancia l’allarme sulle possibili conseguenze di un blocco delle importazioni di gas da Mosca, principale fornitore della penisola negli ultimi anni, e stima «un effetto molto forte» su un’economia italiana, già indebolita. Il CsC mette in fila gli effetti dello stop sui volumi a disposizione del sistema ipotizzando innanzitutto una serie di condizioni: consumi mensili ai valori del 2021, azzeramento da giugno delle forniture dalla Russia (29,1 miliardi di metri cubi) e anche da Passo Gries (2,2 miliardi di metri cubi, da dove transita il gas in arrivo dal Nord Europa) e varie fonti alternative di offerta disponibili dal prossimo inverno (15,5 miliardi di metri cubi), in base ad accordi e progetti avviati. Se il quadro fosse questo, la carenza di offerta su 12 mesi (aprile 2022- marzo 2023) sarebbe pari a 14 miliardi di metri cubi (il 18,4% dei consumi italiani). E non sarebbe concentrata tutta nei mesi di picco (quelli invernali) ma distribuita anche in quelli precedenti e successivi. Né, fa notare il Csc, lo scenario migliorerebbe con la decisione del governo di imporre una stretta sulle temperature degli uffici della Pa (escludendo, però, le abitazioni private) poiché una tale misura riduce in modo limitato i consumi annui. Senza contare che, sulla disponibilità complessiva di gas, inciderebbe anche il livello delle scorte che, quest’anno, ricorda il CsC, sono ancora più basse rispetto al 2022. Con il risultato che, se si arrivasse allo stop dalla Russia, lo scenario ipotizzato include «l’utilizzo di parte della risorsa strategica (3,8 miliardi di metri cubi sui 4,5 disponibili) che esiste proprio per fronteggiare situazioni estreme». La congiuntura flash passa poi in rassegna anche i riverberi sull’industria di un eventuale stop del gas russo. Se, infatti, come conseguenza del blocco, scattasse l’eventuale razionamento imposto dal piano di emergenza gas del governo, che andrebbe a colpire per prima l’industria (poi i servizi e, a seguire, residenziale e sistema sanitario), le imprese, per effetto della carenza totale stimata, sarebbero private «di tutta la fornitura gas di cui necessitano (cioè i 9,5 miliardi di metri cubi annui consumati finora)», mentre i servizi subirebbero un taglio pari a 4,5 miliardi di metri cubi (su 7,8 miliardi di metri cubi). E l’impatto sul valore aggiunto - che il CsC stima considerando solo gli energivori come risultante della riduzione dell’attività (totale o parziale, in base al rapporto “consumo di gas/valore aggiunto”) - sarebbe pari a 9 miliardi di euro nel periodo di 12 mesi, ai quali vanno sommati gli altri 9 miliardi dei servizi. Con un impatto totale, per il mancato approvvigionamento di gas stimato, in un calo dell’1% del Pil tra la primavera 2022 e l’inverno 2023 (un dato vicino all’indicazione data da Bruxelles), mentre nei restanti 9 mesi del 2023 la carenza di offerta sarebbe inferiore (perché entrebbero in funzione altre fonti alternative per 6 miliardi di metri cubi) e coinvolgerebbe solo l’industria, con una contrazione aggiuntiva del Pil dello 0,4 per cento. A tutto ciò, osserva il CsC, andrebbe poi sommato un altro effetto: quello di un potenziale rincaro dei prezzi delle commodity energetiche sui mercati internazionali come conseguenza della mancanza di gas russo. E, se ciò accadesse sia per il gas (oltre i 200 euro per megawattora da giugno) sia per il petrolio (quasi 150 dollari al barile), l’impatto sul Pil sarebbe più contenuto nel 2022 (-0,2%) - perché il differenziale di prezzo peserebbe solo per la seconda metà dell’anno -, mentre nel 2023 sarebbe molto più significativo (-2,2%).
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