STUPIDA RAZZA

domenica 1 maggio 2022

La battaglia ai prezzi è appena cominciata ma i fondi stanno finendo

 

Nei calcoli Istat il Pil è calato meno della metà di quanto temuto nel Def che tre settimane fa aveva ipotizzato un -0,5%. Ma il primo trimestre, che in ogni caso si chiude con una crescita negativa accompagnata da un’inflazione in corsa, è solo il prologo della partita vera; che si gioca in un secondo trimestre investito in pieno dalla guerra in Ucraina, dalle sanzioni contro la Russia e dalle agitazioni crescenti che entrambi i fattori producono sui mercati di materie prime e titoli di Stato. Si spiega così il «cauto ottimismo» con cui il ministro per la Pa Renato Brunetta ha riassunto l’atteggiamento del governo di fronte ai numeri licenziati dall’Istituto di statistica, mentre dal Mef non sono arrivati commenti ufficiali. Per la finanza pubblica la minicontrazione nei primi tre mesi dell’anno cambia poco lo scenario. Perché le incognite vere arrivano ora. E sono concentrate su un’inflazione che nel modestissimo rallentamento di aprile registra l’effetto delle misure scritte nei decreti a ripetizione degli ultimi mesi: misure costose, che con un decreto Aiuti atteso lunedì in viaggio verso quota 10 miliardi portano vicino ai 25 miliardi il conto dei primi quattro mesi, ma dagli effetti limitati se paragonati alle dimensioni del problema. La scomposizione della dinamica del Pil abbozzata nella stima preliminare di ieri conferma i termini della questione. La spinta ancora una volta è arrivata soprattutto dalla domanda nazionale, che ha compensato quasi integralmente la caduta di quella estera. Ma proprio sui  consumi interni pesa il carico di un’inflazione che promette di influenzare a lungo la salute economica di famiglie e imprese. Detta in termini semplici, la battaglia della politica economica contro l’inflazione e le incertezze della crisi internazionale è solo all’inizio. Ma con il decreto di lunedì le risorse disponibili sono finite. E per trovarne di nuove serviranno scelte non semplici: ma obbligate, tanto più se il provvedimento (si veda il servizio nella pagina successiva) per salire di peso dovrà rinunciare a sbloccare tutti i fondi Mef congelati a marzo per finanziare il secondo decreto energia del 2022 (nel frattempo ce n’è stato un terzo). Per trovare nuove risorse, le proposte della maggioranza si concentrano su due leve, miracolose per la politica ma complicate nella pratica. La prima sono gli «extraprofitti» delle compagnie energetiche, su cui il governo non sembra intenzionato a replicare la prova da 3,9 miliardi avviata con l’una tantum del 10% misurata sugli imponibili Iva per la semplice ragione che quel meccanismo non misura davvero i profitti, ed è esposto al rischio concreto di ricorsi. La seconda è l’extradeficit, via diventata abituale dopo i sette scostamenti che fra 2020 e 2021 hanno autorizzato 214 miliardi (e 588 miliardi fino al 2031) di debito aggiuntivo. Ma questo «forte aumento del debito pubblico», ha spiegato ieri Bankitalia nel rapporto sulla stabilità finanziaria, con «il rallentamento dell’attività economica e il rialzo dei tassi di interesse» può «esporre il Paese a rischi in caso di tensioni finanziarie». È la ragione per la quale Draghi e Franco hanno resistito alle richieste della maggioranza. Fin qui.

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