STUPIDA RAZZA

domenica 8 maggio 2022

La stretta della Bce, il peso del gas russo: i motivi del caro BTp

 

La domanda viene quasi spontanea: che fine ha fatto l’effetto Draghi? Quell’effetto “camomilla” che tanto calmava i mercati finanziari? Insomma: come mai lo spread tra BTp e Bund è tornato a 200 punti base, livello che non si vedeva dal maggio del 2020 in piena pandemia? Se questi interrogativi sono legittimi, analizzando i dati del mercato si capisce che l’effetto Draghi non è sparito: è semplicemente stato sormontato da altri fattori. Dall’aumento dei tassi globali alla delicata situazione economica dell’Italia; dalla fine degli acquisti di titoli da parte della Bce fino alla crescente incertezza politica. Tante sono le cause dell’aumento dello spread. E se si confronta l’impennata attuale con quelle del passato, la differenza si vede. La peculiarità di oggi Oggi lo spread tra BTp e Bund è a 200 punti base. Soglia toccata a inizio pandemia e in precedenza durante il Governo giallo-verde (2018). In realtà in entrambi i casi lo spread salì anche più in alto. Qual è la differenza tra oggi e questi due momenti del passato? La differenza è questa: oggi i rendimenti sono più alti in tutto il mondo, a causa dell’inflazione galoppante e delle politiche monetarie che diventano restrittive. La Fed Usa ha appena alzato i tassi di mezzo punto, molte banche centrali nel mondo stanno facendo lo stesso e presto anche la Bce potrebbe seguirne le orme. La svolta nella politica monetaria globale è epocale. Tutto questo non accadeva né nel 2018 né nel 2020. E lo dimostra la differenza nei rendimenti europei tra oggi e allora. Nel maggio 2018, quando lo spread balzò fino a superare i 300 punti base durante la formazione del Governo Conte 1, il rendimento dei BTp italiani era uguale ad oggi: 3,15%. Diversi erano però tutti gli altri rendimenti: i Bund quotavano a 0,50% (mentre oggi sono a 1,13%) e i Bonos spagnoli stavano a 1,5% (oggi sono invece a 2,45%). Questo significa che allora la tempesta era solo nostra e solo noi avevamo tassi elevati. Oggi, invece, è molto più estesa. Diverso ancora il caso del 2020. La pandemia era un flagello che colpiva tutti indistintamente e i rendimenti erano più bassi di oggi ovunque in Europa. Anche perché laBce aveva da poco avviato il superprogramma di acquisti di titoli chiamato Pepp: la politica monetaria era insomma opposta a quella di oggi. Gli spread erano elevati per un motivo diverso: lo shock che aveva colpito i mercati (Borse in caduta e panico generale). A maggio l’allarme finanziario stava diminuendo, ma ancora lo spread era elevato. Oggi la situazione è diversa sia da quella del 2018 sia da quella del 2020. A muovere i mercati stavolta è la Bce, che terminerà presto gli acquisti di bond e in estate potrebbe già iniziare ad alzare i tassi d’interesse per far fronte all’inflazione. Per questo oggi i rendimenti lievitano ovunque: dalla Germania alla Spagna all’Italia. E con essi gli spread, come sempre accade in momenti di aumenti generalizzati dei tassi. Tanto che uno studio di Commerzbank nota che questa volta il rialzo dello gap tra BTp e Bund è molto più graduale che in passato e che questa volta - a differerenza del 2020 e del 2018 - non si registrano vendite particolarmente aggressive da parte degli investitori extra-europei sui nostri BTp. Situazione ben diversa da quelle del passato. Il caso italiano oggi Eppure una specificità italiana c’è anche questa volta. Anche oggi il nostro Paese sta soffrendo sui mercati più di altri. Lo dimostra l’andamento della Borsa di Milano: Piazza Affari è infatti la peggiore d’Europa dall’inizio della guerra, con un calo di quasi il 10%. E lo conferma anche lo spread tra i BTp e i titoli di un Paese “periferico” come Spagna: i nostri titoli oggi offrono 70 punti base più di quelli spagnoli, mentre a inizio guerra il differenziale era a 55. Insomma: i BTp sono andati molto peggio dei Bonos spagnoli. C’è dunque anche oggi un caso Italia? La risposta è affermativa. Motivo: il nostro Paese paga più di altri il conto della crisi per alcune sue caratteristiche specifiche. Da un lato il fatto di avere un debito pubblico gigantesco: ora che la Bce non compra più titoli, questo pesa più in Italia che altrove. Dall’altro il nostro Paese dipende più di Spagna e Portogallo dal gas russo: questo espone la nostra economia a un maggiore rischio di rallentamento e dunque a un maggiore pericolo sul fronte del rapporto debito/Pil. Inoltre l’Italia si avvia, anche se manca ancora tempo, verso le elezioni: un minimo di incertezza piano piano si percepisce sui mercati. Infine l’Italia è il Paese che più dipende, per acquistare titoli di Stato, dagli investitori nazionali e dalla Bce: ora che quest’ultima finisce di comprare BTp, riusciranno i primi o quelli esteri a sostituirla?    

Nessun commento:

Posta un commento