STUPIDA RAZZA

lunedì 20 marzo 2023

Banche, in dieci giorni dall’euforia al panico (esclusa l’Eurozona)

 

Dieci giorni fa i mercati puntavano ancora sulle azioni delle banche europee che, dopo i maxi rialzi in Borsa di gennaio e febbraio, avevano raggiunto valutazioni record. Gli utili realizzati nel 2022 erano stati celebrati in molti casi come i migliori della storia, con corredo di annunci di maxi dividendi e buy back a pioggia a beneficio degli azionisti. Per il 2023 gli analisti stimavano ulteriori aumenti dei profitti grazie ai benefici che il rialzo dei tassi avrebbe portato sul margine di interesse. Il fallimento di Silicon Valley Bank di venerdì 10 marzo, seguito dalla crisi di altre banche regionali Usa e dalle ben più gravi incertezze sulla solidità di una banca di interesse sistemico come Credit Suisse, ha ribaltato gli umori degli investitori nei confronti del settore bancario sulle due sponde dell'Atlantico (e non solo). In pochi giorni in Borsa si è passati dall’euforia al panic selling: in una sola settimana a livello globale sono stati bruciati 500 miliardi di dollari di capitalizzazione. Se la precedente euforia era forse eccessiva, anche l’attuale panico appare ingiustificato almeno per quanto riguarda le banche europee. Secondo gli ultimi dati dell’Eba, il capitale primario (Cet 1) è in media del 14,8%, il liquidity coverage ratio (Lcr) è al 162,5%, mentre le sofferenze creditizie sono solo all'1,8% (Npe ratio). Mai, negli ultimi 15 anni, le banche europee erano state così solide e redditizie anche grazie all'azione rigorosa della Vigilanza Bce. Una situazione che non può essersi ribaltata completamente in dieci giorni. I rischi arrivano dunque dal contagio esterno all’Eurozona. E in prima battuta dall’esito del salvataggio “ordinato” di Credit Suisse che, con asset per circa 500 miliardi e una presenza nell’investment banking e nel capital market negli Usa e in Uk, è una delle 30 G-Sifi globali (banche di interesse sistemico). Pur non essendo un gruppo della taglia di Lehman Brothers, le sorti di Credit Suisse non preoccupano solo la Svizzera. Tanto che, secondo indiscrezioni, al tavolo del salvataggio la Snb opera in stretto contatto con  Federal Reserve, Bce e Bank of England. Se il caso Credit Suisse sarà risolto rapidamente e senza danni sistemici, la principale fonte di preoccupazione per le banche europee verrà eliminata e si allenteranno le tensioni che si stavano accumulando sul mercato interbancario. Resta però la preoccupazione per quanto sta avvenendo nel settore bancario negli Usa, dove gli istituti più fragili faticano a resistere all’innalzamento dei tassi d'interesse della Fed. Il problema non è tanto il contagio del default di SVB sulle altre banche, quanto la contrazione dei depositi bancari registrata nelle ultime settimane negli Usa. Proprio a causa degli alti tassi di interesse a breve termine, e con un’inflazione che resta sopra al 6%, già nel 2022 - secondo stime di JP Morgan - negli Usa oltre 400 miliardi di dollari sono migrati dai depositi bancari ai money market funds (che investono in strumenti di liquidità a breve, offrendo rendimenti sopra al 3% contro lo 0,5% dei depositi). Un trend che è proseguito anche a inizio 2023 e che proprio la scorsa settimana ha registrato un picco di 150 miliardi in coincidenza con la crisi delle banche regionali. Oltre al deflusso di depositi dagli istituti più a rischio verso le banche più grandi, la raccolta diretta bancaria soffre anche la competizione dei money market funds che attraggono crescente liquidità proprio a seguito dell'impennata dei tassi decisa dalla Fed. Un fenomeno che, se dovesse protrarsi nel tempo, rischia di creare seri problemi di disintermediazione per le banche Usa. E che potrebbe arrivare anche in Europa se la Bce, che ha già avviato il quantitative tightening e il rimborso dei prestiti Tltro, dovesse continuare ad alzare i tassi d’interesse.

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