STUPIDA RAZZA

domenica 19 marzo 2023

«Occorre che la politica riprenda il controllo sul leviatano finanziario»

 

«Alla base di tutto c’è un errore storico: si è passati dalla fase della austerity e quella della liquidity». Giulio Tremonti, all’indomani dello scoppio del “caso Credit Suisse” analizza le cause della nuova crisi e riannoda i fili sparsi di uno scenario fragile che, a suo parere, erano fin troppo evidenti. Quali sono oggi i pericoli reali di questa situazione? «Rispetto al 2008 c’è una differenza: solo la guerra riduce i rischi di una rottura del sistema finanziario» osserva Tremonti, che ricorda le premesse del quadro attuale: «Nell’agosto 2011 arriva in Italia la lettera dalla Bce, che decreta l’austerity - anche se nelle considerazioni finali del maggio precedente il governatore Draghi aveva detto che le finanze pubbliche avevano avuto una gestione prudente – e poi in Grecia la trojka». Ma da quel momento inizia la stagione della liquidità, la massa monetaria cresce a dismisura, i tassi vanno sotto zero (“Ricordiamo cosa disse Karl Marx, i tassi a zero sono la fine del capitalismo”), ma il quadro nell’ultimo anno è cambiato molto rapidamente, facendo emergere i punti deboli. Tremonti – presidente della commissione esteri della Camera – questi aspetti li evidenzia da tempo, e di recente ha pubblicato il libro «Globalizzazione. Le piaghe e la cura possibile» (Solferino), dove le fragilità di questa architettura sono evidenziate. Dalla crisi del 2008, scrive Tremonti, questa politica di «sconfinata liquidità è arrivata fino a oggi, per mezzo di una continua cambiale girata dai popoli e dai governi alle banche centrali e da queste al mercato finanziario globale. E tuttavia, se negli Stati Uniti la politica è comunque rimasta viva, per la forza delle istituzioni americane, in Europa, e per un perduto decennio, la politica è invece quasi morta. Non per caso in Europa non è stata fatta, anzi nemmeno è stata tentata, una di quelle «riforme» che pure erano oggetto di sistematica domandante retorica politica». Il nodo è qua: è mancata la politica, che «avrebbe dovuto introdurre vere regole economiche. Serviva una Bretton Woods dei nostri tempi, per anzitutto dare una struttura al passaggio dal free trade al fair trade, e lo avevamo proposto nel 2009 con il Global Legal Standard, votato dall’Ocse. Ma fu preferita un’altra strada, introdurre dei “ratio” al posto di regole, e prevalse il Financial Stability Board, ispirato da Mario Draghi. Risultato? I problemi sono stati solo rinviati». Cosa è accaduto? «Risulta chiaro che c’è stato il trionfo della finanza, che si è basato, soprattutto in Europa, sulla confusione tra tecnica e politica e poi sulla supremazia della prima sulla seconda. In realtà c’è un’enorme differenza tra politica e tecnica, e c’è troppa confusione tra l’idea nobile della politica, formulata per la prima volta nella storia ad Atene, e l’idea della «tecnica politica» praticata soprattutto dalla tecnofinanza a partire dal 2012». Tremonti ricorda – e lo fa anche nel libro – una rappresentazione plastica di questo testacoda, quando nel 2019 ci fu il passaggio di presidenza da Draghi a Christine Lagarde: «Convinti e partecipi, in platea ad applaudire, c’erano i principali capi di Stato e di governo europei. Un caso in cui l’iconografia dice tutto. Difficile, molto difficile sarebbe stato vedere Adenauer o De Gasperi, De Gaulle o Kohl, Mitterrand o Cossiga seduti in platea ad applaudire i banchieri centrali, pur se vero che questi oggi amano definirsi come gli eroi del nostro tempo». Secondo Tremonti questo processo in atto – che ha fatto tornare il panico sui mercati come non lo si vedeva da tempo - si è sviluppato con la congiunta e contemporanea violazione delle due fondamentali regole dell’euro: il 2 per cento di inflazione, previsto come insuperabile plafond; il divieto per la Bce di finanziare i governi. Ma come è stata operata questa violazione? «Per cominciare, quello che era un plafond è divenuto un target, un obiettivo da raggiungere. E l’obiettivo è stato in effetti raggiunto, tanto che oggi l’inflazione è sopra l’8 per cento. Il divieto è stato poi aggirato triangolando tra i governi, le banche e la Bce. I governi emettono titoli di debito pubblico, le banche private li sottoscrivono, ma per piazzarli subito dopo in Bce. Quote molto importanti del debito italiano sono nelle casse di Francoforte, il 30%. Un processo, questo, che ha via via trasformato la Bce in un hedge fund intossicato e mezzo fallito». Ricorda che uno degli eventi-simbolo di quegli anni fu il celebre «Whatever it takes» pronunciato da Draghi nel luglio 2012 come il messaggio di intervento rapido (e al momento risolutivo) è stato poi «praticato e celebrato lungo tutti i successivi dieci anni, si è trasformato in una lungodegenza incubatrice proprio del male che all’origine doveva curare. È così che dai conti in billion siamo passati ai conti in trillion. È così che la bolla della finanza è cresciuta fino a essere tre volte la ricchezza reale. È così che il celebrato salvifico «Whatever it takes» si è via via trasformato in un terribile «Whatever mistakes», origine di un nuovo tipo di Leviatano: il Leviatano finanziario, una creatura che pare onnipotente ma che in realtà è tragicamente impotente». Ora naturalmente c’è la variabile determinante del rialzo dei tassi per fronteggiare l’inflazione, ma per Tremonti la lettura deve essere più ampia: «La bolla finanziaria era insostenibile già prima della pandemia o della guerra in Ucraina, anzi semmai entrambe stanno funzionando come acceleratori dell’inflazione o come aghi che potrebbero bucarla». Quindi «serve ora più che mai una rotazione decisa di responsabilità dalla finanza alla politica. Fino ad oggi i governi hanno avuto vita facile» e comunque non sono l’ultima stazione del processo decisionale: «Quando si crede nella follia monetaria, certo niente è come appare. Ma è così solo fino a che i popoli ci credono, fino a che i popoli non reagiscono».

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