STUPIDA RAZZA

giovedì 23 marzo 2023

Ci vogliono competenze ad hoc per riportare in vita un rifiuto

 

N el riparare c’è insita anche la logica del recuperare. Recuperare pezzi di ricambio, componenti, piccole o grandi parti che possono venire utili per qualcos’altro. Quindi, a volte, può succedere che un bene non si può riparare ma, smontandolo, se ne recuperano i pezzi utili per aggiustare altro. Si devono sicuramente al movimento dei restarter - riparatori comunitari come li definisce Francesco Cara, docente di ecodesigner - gli enormi passi avanti che il settore ha ottenuto CONTRO L'OBSOLESCENZA PROGRAMMATA  Su quest’onda il Parlamento europeo ha da qualche anno rilasciato una normativa che riguarda il diritto alla riparabilità. A ciò si collega l’obbligo di rilascio dell’indice di riparabilità dei prodotti che valuta se l’oggetto in vendita rispetta la disponibilità, o meno, di pezzi di ricambio e si è sforzato di rendere il più possibile chiare e comprensibili le istruzioni per la riparazione dei guasti più comuni o la tipologia e la durata degli aggiornamenti software forniti dal fabbricante. Fabrizio Longoni, direttore generale del Centro Coordinamento Raee, attende da anni che l’Italia si doti di una normativa specifica per attuare la preparazione per il riutilizzo. Ovvero? «Prepararci per il riutilizzo è quell’insieme di attività che si potranno fare per riportare alla condizione di prodotto un rifiuto», fa notare Longoni specificando che a oggi non si può fare: se un oggetto è buttato (meglio conferito in un centro Raee) quello diventa un rifiuto: «Preparare per il riutilizzo un rifiuto richiederà competenze specifiche, perché dovrà sempre essere tenuto in considerazione un aspetto assolutamente prioritario: la sicurezza dell’utilizzatore». Fondamentale, così, il ricorso a persone e aziende che usino componenti e processi sicuri e certificati. L’aspetto professionale non va sottovalutato come lo stesso Cara evidenzia: «Il ricondizionamento tende a essere un’attività ad alto impiego di manodopera, ma apre anche valide opportunità di reinserimento professionale». Diversi istituti professionali – Artigianelli di Torino in testa – stanno già interpretando questa esigenza tendendo conto che tutto si può tentare di riparare: automobili, pc, cellulari e tutti gli elettrodomestici. Ma anche bici, porte e finestre (evviva il restauro conservativo). Vestiti compresi. «Più a lungo un prodotto resta in uso – fa notare Cara -, più l’impronta ambientale della sua fabbricazione viene spalmata nel tempo e più viene ritardata la sua sostituzione con un prodotto nuovo, con relativa impronta ambientale. Inoltre, i processi di ricondizionamento sono generalmente a basso impatto». Queste pratiche spesso avvengono nei Repair Café dove «circa il 70% degli apparecchi guasti vengono riparati – fa notare Cara che è un restarter convinto - e riprendono il loro uso invece che finire in discarica. La rete italiana è molto dinamica e in continua crescita, sostenuta da un interesse sempre maggiore da parte dei cittadini, della società civile, degli amministratori e dei media».

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