I l criceto corre sulla ruota, ma è sempre fermo. La Banca centrale europea assomiglia sempre più al criceto: dopo otto mesi di politica monetaria al buio, le prospettive inflazionistiche sono peggiorate, quelle sulla crescita economiche pure, e, da ultimo, l’incertezza sui mercati finanziari e bancari è aumentata. E cosa fa la Bce? Invece di chiedersi se sta sbagliando qualcosa, o almeno sia il caso, per prudenza, di fermarsi, continua a fare rialzi, ma senza dire cosa farà dopo. Come sempre, il problema non è il rialzo in sé, ma la completa assenza di trasparenza. Il punto di partenza è la frase iniziale del comunicato Bce: «L’inflazione attesa sarà troppo alta e per troppo tempo». Poi più avanti, si annunzia «che la crescita attesa è minore di quello che era stato previsto, a causa della restrizione monetaria». Allora occorre guardare i dati sulle proiezioni macroeconomiche, e ricordare su cosa sono basate: sulle aspettative dei mercati. Le aspettative dei mercati sono a loro volte fondate sugli annunzi di politica monetaria. Se l’annuncio è chiaro, completo e credibile, le aspettative vengono influenzate nella direzione auspicata dalla Banca centrale: è il cosiddetto effetto Ulisse. Se invece la Banca centrale adotta la strategia scelta a partire dallo scorso luglio dalla Bce, smettendo di indicare il percorso futuro dei tassi, diventa un volano di incertezza, innescando rischi di volatilità: è l’effetto Delfi. Il risultato finale di una politica monetaria alla Delfi è che l’inflazione attesa peggiora, ed i costi economici della politica monetaria restrittiva aumentano. In una situazione di questo tipo, sarebbe naturale attendersi una riflessione dalla Banca centrale che ha messo in atto una politica monetaria inefficace su quello che è accaduto, e soprattutto su quello che non è accaduto. Ma non basta: la Bce ammette che le previsioni su cui sta prendendo le sue decisioni sono datate. Sono stime che si fermano alla fine di febbraio. Peccato che – per stessa ammissione della presidente Christine Lagarde – in queste due prime settimane di marzo è accaduto, e sta accadendo, di tutto sui mercati bancari e finanziari. Una seconda ragione per essere prudenti. Non è un caso che una minoranza del consiglio della Bce – sempre per ammissione della stessa presidente – fosse orientata proprio in quella direzione. Ed invece, si continua sulla stessa rotta che finora non ha dato risultati: da un lato si conferma il rialzo spot di cinquanta punti base annunziato in febbraio, che già all’epoca era apparso un controsenso rispetto alla strategia della politica monetaria al buio basata sul principio delle decisioni «consiglio per consiglio». Dall’altro lato, si conferma proprio tale principio. Ma il cortocircuito decisionale non si ferma qui. Durante la conferenza stampa, di fronte a quesiti che mettevano giustamente in luce come, nel breve periodo, può emergere un ovvio dilemma nel disegno della politica monetaria tra la tutela della stabilità monetaria e quello della stabilità finanziaria, la presidente Lagarde non ha trovato di meglio che negare l’esistenza del dilemma in questione. L’argomento utilizzato è che, dati due obiettivi, la presenza di due diversi strumenti risolve automaticamente il problema: i tassi di interesse vengono focalizzati sull’obiettivo disinflazionistico, mentre alla manovra sulla liquidità si assegna il compito di tutelare la stabilità finanziaria. Purtroppo l’argomento è fallace, perchè la cosiddetta regola di Tinbergen – è questo il nome – applicata alle banche centrali vale solo in tempi normali, cioè in assenza di turbolenze finanziarie da gestire. Quando si presenta un focolaio di instabilità finanziaria, si entra nei tempi straordinari, e la Banca centrale deve dedicare sia la politica dei tassi che quella della liquidità per provare ad affrontare con successo i rischi di una crisi sistemica. Per ricordarsi di questo non serve una conoscenza approfondita della storia bancaria e finanziaria, basta non avere la memoria corta: ci è passata la Fed nel dicembre 2007, la Bce nell’agosto 2012 – con il famoso “whatever it takes” – e da ultima la Banca d’Inghilterra lo scorso settembre. Certo, non è detto che i criceti abbiano memoria.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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