STUPIDA RAZZA

venerdì 17 marzo 2023

Crisi bancaria, il Credit Suisse affonda Un’altra giornata shock per le Borse

 

Nuova giornata di pesanti vendite sulle Borse europee (con Milano la peggiore con un -4,61%), trascinate al ribasso soprattutto dalle banche, cadute sulla scia del caso Credit Suisse. L’istituto svizzero ha vissuto la sua peggior seduta della storia perdendo circa il 25%, dopo che il principale azionista, Saudi National Bank, ha detto che non fornirà ulteriore liquidità alla banca. I vertici della banca sono, però, in contatto con le autorità svizzere per studiare una serie di soluzioni per stabilizzare l’istituto di credito. Un nuovo allarme per il sistema finanziario europeo era forse l’ultimo spettacolo al quale gli investitori speravano di assistere, a pochi giorni di distanza dalla crisi che al di là dell’Atlantico ha coinvolto Silicon Valley Bank. Il caso Credit Suisse, inatteso almeno nei suoi sviluppi, è invece piovuto sui mercati provocando la reazione più prevedibile: una nuova fuga dai titoli delle banche a livello Continentale (-7% l’indice di settore); la conseguente debacle dei listini azionari, con Milano (-4,6% il Ftse Mib) e Madrid (-4,4% l’Ibex 35) penalizzate oltremisura a causa della maggiore esposizione dei rispettivi indici al comparto finanziario; il rifugio nei titoli di Stato infine, che si è tradotto in un nuovo forte ribasso dei rendimenti più accentuato sulle scadenze brevi. Si tratta insomma di un copione già recitato, l’ultima volta non più di due giorni prima in quel «lunedì nero» che ha fatto seguito alla vicenda Svb. Ieri come allora è stata l’Europa a pagare il dazio più elevato, stavolta anche con una certa ragione visto che l’epicentro appare molto più vicino, ma anche Wall Street ha accusato il colpo, se pur in misura inferiore. E anche in questo caso, come orientati da un riflesso condizionato, gli sguardi si rivolgono a quella Bce che tra poche ore sarà chiamata a riunirsi per deliberare sui tassi di interesse. Il meccanismo visto all’opera ieri non è in sé nuovo e resta di facile interpretazione: al di là delle questioni che riguardano Credit Suisse - il cui titolo è precipitato a Zurigo del 24%, mentre i valori dei Cds (Credit default swap, gli strumenti finanziari che equivalgono a un’assicurazione contro il fallimento di un emittente) sarebbero addirittura coerenti con una probabilità di default del 50% nell’arco di due anni - sul mercato ci si chiede se ci si trovi ancora una volta di fronte a un caso isolato o se invece sul cruscotto del sistema del credito si sia accesa l’ennesima spia di allarme che possa preludere a una crisi di portata ben più vasta. La protagonista del giorno è a tutti gli effetti una banca elvetica (e non soggetta alle regole dell’Eurozona, né alla supervisione Bce), ma le sue ramificazioni all’interno del Continente, così come il suo rilievo sistemico, sono innegabili. Il dubbio, ieri come lunedì scorso con Svb, è se e quanto la reazione di panico, o quasi, alla quale si è assistito sia in fondo giustificata. «Credit Suisse non è solo un problema svizzero, ma globale», avverte Andrew Kenningham, capo economista di Capital Economics, rimarcando da un lato l’impatto potenzialmente differente rispetto a quello della banca regionale Usa nel mirino nei giorni scorsi, ma riconoscendo anche che il caso non rappresenta certo una sorpresa: «I suoi problemi erano ben noti - aggiunge parlando dell’istituto elvetico - e quindi non rappresentano uno shock totale, né per gli investitori né per i politici». «Credit Suisse ha appena fatto un aumento di capitale a dicembre, risulta abbondantemente capitalizzata, e con un livello di leverage nella norma», nota Giuseppe Sersale, Partner e gestore di Anthilia, che appartiene alle fila di quanti ritengono in larga parte «esagerata» la reazione vista ieri. «Il problema va visto sul piano della fiducia e purtroppo l’esperienza di Svb ha mostrato a quale velocità si possano volatilizzare i depositi bancari quando questa viene bruscamente meno», tende piuttosto a sottolineare Sersale, che punta il dito anche sull’evidente contrappasso determinato da «un posizionamento degli investitori sulle banche europee che fino a pochi giorni fa era sicuramente di livello elevato». Gli esperti di mercato rischiano di dividersi anche sull’atteggiamento della Bce, che almeno fino a poche ore prima era fuori da ogni discussione. «Si proseguirà con il piano preannunciato di aumentare il tasso di deposito dal 2,5% al 3,0%, sottolineando al tempo stesso che la politica monetaria non è su un percorso predeterminato», è convinto da una parte Kenningham. Appare invece più possibilista Sersale, che si chiede se il caso Credit Suisse possa rappresentare lo scenario «piuttosto estremo» evocato un mese fa da Christine Lagarde come condizione necessaria per deviare dalla traiettoria e resta del parere che l’Eurotower «modererà le ambizioni e si accontenterà di alzare i tassi di 25 punti base, come una sorta di compromesso tra i falchi e le colombe nel Consiglio». Il mercato obbligazionario intanto ha già emesso la sua sentenza, e con rendimenti in picchiata sui Bund (2,13%) e sui BTp (4,11%) decennali e ancor più sulle scadenze ravvicinate (-52 punti base al 2,40% per il titolo tedesco a due anni) resta alla finestra in fiduciosa attesa.

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