STUPIDA RAZZA

martedì 21 marzo 2023

NEW ECONOMY, la fine di un'illusione?

 

Il crac della Silicon Valley Bank, la banca delle start up tecnologiche, e della newyorchese Signature Bank, chiusa a causa dei legami con le criptovalute, che hanno fatto tremare le borse e mandato a picco i titoli bancari di tutto il mondo, mette in crisi quel tecno-ottimismo incondizionato e cieco che ha finora dominato i mercati e l’economia mondiale. Dietro il fallimento della Svb non c’è solo un sistema di controlli troppo lasco e la politica del rialzo dei tassi della Fed, c’è anche la crisi di liquidità delle big tech che per anni si sono ingrassate di liquidità a costo zero e sono cresciute a dismisura favorite dalle valutazioni ipertrofiche delle banche d’affari che in esse vedevano il nuovo Eldorado. Durante la pandemia il settore ha fatto i suoi affari migliori grazie alla grande accelerazione nell’uso di servizi tecnologici. Un esempio su tutti: l’utile di Google nel 2021 è stato di 76 miliardi, contro i 40 del 2020. Gli organici si sono gonfiati. Fino a quando non è arrivata la stretta monetaria delle Federal Reserve e allora l’aria è cambiata. La Silicon Valley Bank aveva come sua clientela le start up tecnologiche che finanziava senza farsi tanti problemi sicché quando le big tech sono andate in crisi, il meccanismo è s a l tato. Come ha scritto l’Ec o n o - m i st le start up tecnologiche sono state più colpite di altre dall’aumento dei tassi di interesse, imposto per combattere l’inflazione. Il maggiore costo del denaro ha ridotto il valore dei profitti attesi dalle aziende e molti possibili investitori hanno iniziato a guardare altrove. Secondo Pitchbook, un fornitore di dati sul mercato azionario, nel 2022 gli investimenti globali da venture capital si sono ridotti di un terzo rispetto all’anno precedente. Negli Stati Uniti sono passati da 343 a 230 miliardi di dollari. E sono arrivati i licenziamenti. Google ha licenziato 12.000 persone da un giorno all ’altro, Amazon 18.000, Meta 11.000 e la settimana scorsa ne ha annunciati altri 10.000, Microsoft 10.000, Salesforce 8.000 e Twitter 4.000. Un imprenditore digitale americano, Roger Lee, subito dopo la pandemia ha lanciato una piattaforma, Layoffs.fyi, per registrare tutti i licenziamenti nel settore tech post Covid. Per il 2022 sono stati tracciati 161.061 casi e dall’inizio del 2023 circa duemila al giorno, per un totale di oltre 270.000 dipendenti lasciati a casa in tutto il mondo, ma principalmente negli Stati Uniti. Insomma quelle aziende dipinte come l’Eden del lavoro flessibile, sostenibile, del rispetto dei diritti e della valorizzazione della creatività, hanno cominciato a tagliare teste senza pensarci due volte. Quel mondo preso a modello dal sinistra, coccolato dal Partito democratico che peraltro ha finanziato (e che ora ricambia con il presidente Biden che ha salvato con soldi pubblici tutti i clienti della Silicon Bank), ha improvvisamente mostrato il volto arcigno e cinico del business. Google, al top delle classifiche delle migliori realtà in cui lavorare, ha licenziato migliaia di persone di cui non aveva più bisogno, con una semplice email. È evidente che le politiche di assunzione attuate durante la pandemia si sono rivelate troppo ottimistiche. Come si è rivelata ciecamente ottimistica la strategia della Svb che ha finanziato quasi la metà delle Ipo del settore tech da inizio anno senza coprirsi dal rischio del rialzo dei tassi. Ora che gli strumenti di politica monetaria che hanno alimentato la ripartenza si sono esauriti, il settore delle imprese tecnologiche, e la finanza ad esso collegata, deve riposizionare le risorse sulla base delle risposte e delle indicazioni del mercato. Il che significa all’i nte r n o delle aziende più spazio all’automazione rispetto al personale e per gli investitori una scelta più selettiva delle start up. Il vento di instabilità che viene dagli Usa può influenzare le imprese tecnologiche italiane? Gli effetti non sono diretti ma la crisi del settore è un campanello d’a l l a r m e. I tagli di Meta avrebbero dovuto colpire in modo massiccio anche l’Italia, con il licenziamento di 23 dei 127 dipendenti, ma poi il numero è stato dimezzato in virtù di un accordo sindacale. Ora con il nuovo piano di esuberi, tutto potrebbe essere rimesso in d i s c u s s io n e. Nel nostro Paese il rallentamento dell’economia, l’au - mento dei prezzi, dei tassi d’interesse, nonché dell’i ncertezza sul futuro, hanno già prodotto un calo delle nuove start up. Secondo un report del Cerved, nel 2022 sono nate solo 89.192 startup, il 10,6% in meno (10.587) rispetto al 2021, numero in calo anche sul 2019, quando per la prima volta si è invertito un trend positivo che durava dal 2013. Le mancate nascite del 2022 rischiano dunque di tradursi in 27.080 addetti in meno e in un calo di 2,5 miliardi di fatturato, perché le nuove società apportano ricchezza, dinamismo e competitività al sistema. «Il calo delle nascite è un segnale da non trascurare: le startup sono una leva di trasformazione del nostro sistema economico, apportano idee innovative, tecnologia e competitività», commenta amministratore delegato del Cerved, Andrea Mignanelli. L’impatto diretto invece si è fatto sentire sul mercato finanziario. Il salto dello spread tra Bund e Btp che ha superato quota 191, ha riacceso i fari sul debito pubblico e i rischi della speculazione. La politica binaria della Bce, de ll ’aumento del tasso di sconto e dell’acquisto di una quota inferiore di titoli di Stato, apre uno scenario denso di incognite. Da marzo la Banca centrale non rinnoverà l’acquisto di titoli pubblici in scadenza per 15 miliardi al mese in Europa e questo significa per l’Italia cercare 1,5 miliardi in più al mese tra gli investitori. C’è il timore che si scateni la speculazione sul l’onda delle perdite di Piazza Affari di questi giorni. L’Eurogruppo ha escluso una interconnessione tra le due banche americane e il sistema del credito europeo ma l’attenzione resta comunque a l ta . Il rischio che in Italia e in Europa si realizzino casi analoghi a quelli americani, è escluso dalle autorità bancarie per il meccanismo di controlli molto stringenti.

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