La più seria obiezione nei confronti di una ricetta per la felicità è
che non sarebbe molto diversa dalla ricetta per l’eleganza. Subito si
dovrebbe chiedere: eleganza di chi, in quale occasione, in quale
condizione sociale e in quale epoca?
Per la felicità le cose non vanno diversamente, e i filosofi sono stati i
testimoni, spesso inconsapevoli, di questa circostanza. Chi, per
esempio, oggi, in una cultura dominata dall’imperativo faustiano
dell’agire, sarebbe disposto a pensare davvero che la felicità, come
sosteneva Aristotele (seguito in questo da molti suoi contemporanei e
connazionali) consiste nella contemplazione?
E non bisogna dimenticare che, mentre Aristotele, o molto tempo dopo
Averroè e Dante, scrivevano di felicità mentale, molti dei loro
contemporanei non ne avevano la minima idea, né la più remota
aspirazione. E certo non potevano immaginare che un autorevole filosofo
contemporaneo, Stanley Cavell, avrebbe intitolato La ricerca della felicità (1981) uno studio sui film americani che parlano dei secondi matrimoni.
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