STUPIDA RAZZA

martedì 26 ottobre 2021

«A Salvini e Meloni conviene eleggere Draghi al Quirinale»




«Panorama angosciante!». Il barometro non volge all’otti - mismo, all’inizio della chiacchierata con il prof Giovanni Orsina. Storico, docente e direttore della Luiss School of government, apprezzato editorialista. Esperto di ciò che accade anche a destra. Ammesso che abbia ancora un senso distinguere destra e sinistra. Ma di questo ne parleremo. Almeno inizialmente vorrei capire il perché di tante meteore in politica. Renzi, Grillo e poi Salvini. Tre grandi protagonisti della politica che una volta superata di slancio la soglia del 30% (talvolta arrivando quasi al 40%) si sgonfiano. La mia domanda è: perché? «Perché gli elettori sono disperati. Talvolta pacatamente, talaltra meno. Il quadro politico è frammentato e le forze politiche debolissime. Da dieci anni saltiamo da u n’emergenza all’altra. Prima la crisi del debito sovrano. Poi l’immi - grazione. Quindi la pandemia. All’orizzonte l’emergenza materie prime, il cambiamento climatico, le tensioni con la Cina. La sensazione è quella di essere turaccioli sballottati dalla corrente. Il Paese poi sta invecchiando, a maggior ragione è ansioso e angosciato. Si gira da una parte all’altra in cerca di risposte. Eugenio Montale aveva previsto questo saltellare degli elettori da un leader di protesta all’altro già negli anni Sessanta: un trend di lunghissimo periodo ora è giunto al suo apice. Se la politica non dà risposte arrivano frustrazione e astensione. E il delusore di turno paga. Lei ha citato degli esempi». Lei ha praticamente risposto alla domanda che stavo per farle. Centrodestra in affanno alle comunali nelle grandi città. Alla base di questa sconfitta non vi sono solo candidati sbagliati. «I ceti soddisfatti, i “s ato l l i”, votano. E soprattutto mettono la croce sul simbolo del Pd. Qualcuno di questi una volta voltava Forza Italia». Partito che quindi non ha più un suo avviamento… «Ammesso che lo abbia avuto in passato. Il vero avviamento è il cognome Berlusconi e comunque oggi parliamo di percentuali piccole: otto per cento per un partito di un leader politico convintamente bipolarista e federatore di un centrodestra che ora è diverso». L’ho interrotta, stavamo parlando di una lotta di classe fra i soddisfatti, da una parte. E dall’a ltra? «Non propriamente “di classe”. I satolli, certo, stanno bene, ma gli altri, i “f a m e l ic i”, non stanno necessariamente tutti male. Lo scontro è fra centro e periferia - anzi: le molte e differenti periferie. E non è detto che chi sta in periferia stia male. L’Italia, come noto, è una provincia immensa. E ormai le province votano a destra, in particolare per le destre sovraniste. È così che esprimono il proprio disagio di fronte alla globalizzazione. Dopodiché sono tante le periferie: è periferia il quartiere popolare di una grande città; lo è un piccolo centro; lo è l’Italia rispetto all’Europa, lo sono i Länder orientali della Germania, che pure dell’Europa è il centro. Le grandi città sono diventate oggi quello che una volta erano i porti o le coste: aperte al commercio, al cambiamento, alla diversità. I satolli, appunto, i vincenti della globalizzazione. La destra nella sua mutazione sovranista è diventata il partito dei famelici: i perdenti della globalizzazione. Ombrosi, irrequieti, dispettosi: basta poco e ti mandano al diavolo, anche se non hanno alternative. Semplicemente, non vanno a votare. La crisi del salvinismo e le difficoltà di tutta la coalizione di destra, oltre al collasso del grillismo, spiegano così l’astensionismo alle amministrative. E poi, parliamoci chiaro: il governo Draghi ha certo molti pregi, ma non può proprio essere considerato uno spot all’utilità del voto». Il centrodestra rimane compatto fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica e poi ognuno per sé. Almeno Forza Italia. Come i genitori separati in casa che convivono per il bene dei figli. L’immagine le piace o non c’e ntra nu l l a? «Fino all’elezione del capo dello Stato sì. Lo tengono unito le speranze quirinalizie di Berlusconi. Nel momento in cui quelle speranze, al 97%, si riveleranno infondate, vedremo se Berlusconi è rimasto con Salvini e Meloni soltanto in virtù di quelle speranze, o se lo ha fatto perché è restato bipolarista e crede ancora nell’alleanza creata ventisette anni fa».Ma il centrodestra ha veramente la possibilità di eleggersi un presidente della Repubblica? «Se mantiene l’unità può avere un ruolo di primo piano. Quanto meno non facendosi imporre soluzioni sgradite. Il caos, del resto, non è mica solo a destra: il M5s è a brandelli, mentre il Pd ha una consolidata tradizione nell’affossare candidati apparentemente vincenti. Basta ricordare i centouno che non votarono Prodi. Ma molto dipende dal comportamento di Forza Italia, qualora la soluzione Berlusconi non fosse percorribile». Immagino che il centrodestra abbia più di una carta da giocare, qualora Berlusconi non ce la facesse. Lei che idea si è fatto? Ha un identikit per un’eventuale alternativa? Essendo un politologo e non un politico, può prendersi tutte le libertà di analisi che vuole. «Resto convinto che al centrodestra converrebbe mandare Draghi al Quirinale. Anche e soprattutto a Salvini e Meloni. Se vogliono avere una minima chance di andare a Palazzo Chigi domani, direttamente o per interposta persona, il presidente giusto per loro oggi è Mario D ra g h i » . Quel Mario Draghi che sta prendendo letteralmente a schiaffi Salvini un giorno sì e l’altro pure con g reen pa ss , catasto, reddito di cittadinanza, quota 100 e eu ro ? Questa me la deve proprio spiegare. «Ma è proprio questo il motivo. Un governo sovranista in Italia entrerebbe molto duramente in conflitto con l’Europa. È molto probabile che il conflitto sarebbe talmente duro da finire per impedire che quel governo nasca o sopravviva a lungo. È un fatto, piaccia o non piaccia. Draghi al Quirinale potrebbe (al condizionale) fare in modo che il conflitto non esploda. Il governo sovranista sarebbe sotto tutela, è evidente. Così come, del resto, lo è stato il Conte I». Anche qui finisce per darmi una risposta a una domanda che avrei voluto farle dopo. Il tema è cosa deve fare il centrodestra per governare oltreché vincere le elezioni. Ma quindi nella politica italiana ha senso parlare di un partito di Mario Draghi? «I partiti oggi nascono intorno a un leader, non all’idea di un leader. Non siamo mica nella Francia degli anni Quaranta. E Mario Draghi non ambisce certo ad essere un leader p o l i t ic o » .L’errore che invece ha compiuto Mario Monti. «Se avesse ascoltato chi si intende di politica, pure Monti avrebbe compreso che non poteva raggiungere più del 10%, e comunque non le vette di consenso che certe analisi gli attribuivano. Chi governa fa spesso confusione fra gradimento e intenzioni di voto». All’interno della destra vi sono due partiti in larga misura sovrapponibili, per forza elettorale ma anche per identità. Ha senso? È u n’a n o m a l i a? «È un’anomalia che ha un senso a motivo del percorso storico dei due partiti. C’era una volta un vasto elettorato orfano di Berlusconi e due modesti partitini molto differenti per tradizione e ideologia. Regionalista il primo, nazionalista il secondo. Per poter conquistare que l l ’elettorato, Salvini ha dovuto trasformare in profondità la Lega. Mentre Fratelli d’Italia restava una forza politica tutto sommato marginale». Ma Fratelli d’Italia da minoranza è poi cresciuta. «Sì, quando il salvinismo ha perduto di spinta propulsiva. Quelle due forze assai diverse hanno finito per sovrapporsi, fino ad equivalersi. Il problema di fondo resta sempre lo stesso: come portare il voto periferico, depresso e inferocito, dentro il sistema. Come legarlo a un progetto di governo. L’o p e ra z io n e interessa a Salvini e Meloni, e a chiunque abbia a cuore la democrazia italiana. Parliamo ormai di milioni e milioni di elettori. È un’operazione difficilissima: nel momento in cui un leader di lotta smette di essere tale, immediatamente esce qualcuno che prende il suo posto, e gli elettori traslocano. L’ingresso della Lega nel governo Draghi è parte di questa storia». GIOVANNI ORSINA Operazioni di ingegneria politica che portino all’unione dei due partiti sono possibili? «Direi di no. Anche perché un ruolo essenziale lo giocano le ambizioni e le storie personali dei leader. La soluzione più ragionevole sarebbe riprodurre lo schema che ha portato il centrodestra nel 1994 ad affermarsi come schieramento politico di peso. Due forze di destra per così dire sovraniste. La prima nordista, più attenta al mondo produttivo. La seconda più attenta ai temi dello stato sociale e al Sud». Rimane un’altra frattura politica che fa scopa con ciò di cui parlavamo all’inizio. Federalisti ed europeisti da una parte contro sovranisti euroscettici dall’a ltra . «Il mainstream racconta che il sovranismo non sarebbe una risposta. E io concordo. Ma bisogna pure riconoscere, al contempo, che l’eu - ropeismo non è una proposta. Provocatoriamente, mi vien da dire che il conflitto in Europa è un “triel - l o”: sovranisti dichiarati, sovranisti di fatto (e questi due insieme sono la larga maggioranza), e una minoranza di federalisti veri. I sovranisti dichiarati sono l’alibi per i sovranisti di fatto. Guardi il caos sulle politiche migratorie e il Consiglio europeo della settimana scorsa. L’Europa è chiusa in una trappola, da anni ormai: smontarla avrebbe costi mostruosi. I sovranisti di fatto (ben più di quelli dichiarati) le impediscono di procedere in una direzione federalista, e in mezzo al guado non si riesce a far funzionare nulla. Tra Forza Italia nel Ppe e Lega e Fdi (sovranisti dichiarati) c’è una frattura politica vera e profonda. Ma va pure collocata all’i nte r n o di questo quadro più ampio. È in questo quadro che diventa possibile, forse, trovare una mediazione».

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