«A Salvini e Meloni conviene eleggere Draghi al Quirinale»
«Panorama angosciante!». Il barometro non volge all’otti -
mismo, all’inizio della
chiacchierata con il
prof Giovanni Orsina.
Storico, docente e direttore della
Luiss School of government, apprezzato editorialista. Esperto di
ciò che accade anche a destra. Ammesso che abbia ancora un senso
distinguere destra e sinistra. Ma di
questo ne parleremo. Almeno inizialmente vorrei capire il perché di
tante meteore in politica.
Renzi, Grillo e poi Salvini. Tre
grandi protagonisti della politica
che una volta superata di slancio la
soglia del 30% (talvolta arrivando
quasi al 40%) si sgonfiano. La mia
domanda è: perché?
«Perché gli elettori sono disperati. Talvolta pacatamente, talaltra
meno. Il quadro politico è frammentato e le forze politiche debolissime. Da dieci anni saltiamo da
u n’emergenza all’altra. Prima la
crisi del debito sovrano. Poi l’immi -
grazione. Quindi la pandemia. All’orizzonte l’emergenza materie
prime, il cambiamento climatico,
le tensioni con la Cina. La sensazione è quella di essere turaccioli sballottati dalla corrente. Il Paese poi
sta invecchiando, a maggior ragione è ansioso e angosciato. Si gira da
una parte all’altra in cerca di risposte. Eugenio Montale aveva previsto questo saltellare degli elettori
da un leader di protesta all’altro già
negli anni Sessanta: un trend di
lunghissimo periodo ora è giunto al
suo apice. Se la politica non dà risposte arrivano frustrazione e
astensione. E il delusore di turno
paga. Lei ha citato degli esempi».
Lei ha praticamente risposto alla domanda che stavo per farle.
Centrodestra in affanno alle comunali nelle grandi città. Alla base
di questa sconfitta non vi sono solo
candidati sbagliati.
«I ceti soddisfatti, i “s ato l l i”, votano. E soprattutto mettono la croce sul simbolo del Pd. Qualcuno di
questi una volta voltava Forza Italia».
Partito che quindi non ha più un
suo avviamento…
«Ammesso che lo abbia avuto in
passato. Il vero avviamento è il cognome Berlusconi e comunque oggi parliamo di percentuali piccole:
otto per cento per un partito di un
leader politico convintamente bipolarista e federatore di un centrodestra che ora è diverso».
L’ho interrotta, stavamo parlando di una lotta di classe fra i soddisfatti, da una parte. E dall’a ltra?
«Non propriamente “di classe”. I
satolli, certo, stanno bene, ma gli
altri, i “f a m e l ic i”, non stanno necessariamente tutti male. Lo scontro è fra centro e periferia - anzi: le
molte e differenti periferie. E non è
detto che chi sta in periferia stia
male. L’Italia, come noto, è una provincia immensa. E ormai le province votano a destra, in particolare
per le destre sovraniste. È così che
esprimono il proprio disagio di
fronte alla globalizzazione. Dopodiché sono tante le periferie: è periferia il quartiere popolare di una
grande città; lo è un piccolo centro;
lo è l’Italia rispetto all’Europa, lo
sono i Länder orientali della Germania, che pure dell’Europa è il
centro. Le grandi città sono diventate oggi quello che una volta erano
i porti o le coste: aperte al commercio, al cambiamento, alla diversità.
I satolli, appunto, i vincenti della
globalizzazione. La destra nella sua
mutazione sovranista è diventata il
partito dei famelici: i perdenti della
globalizzazione. Ombrosi, irrequieti, dispettosi: basta poco e ti
mandano al diavolo, anche se non
hanno alternative. Semplicemente, non vanno a votare. La crisi del
salvinismo e le difficoltà di tutta la
coalizione di destra, oltre al collasso del grillismo, spiegano così l’astensionismo alle amministrative.
E poi, parliamoci chiaro: il governo
Draghi ha certo molti pregi, ma non
può proprio essere considerato
uno spot all’utilità del voto».
Il centrodestra rimane compatto fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica e poi ognuno per sé. Almeno Forza Italia. Come i genitori separati in casa che
convivono per il bene dei figli.
L’immagine le piace o non c’e ntra
nu l l a?
«Fino all’elezione del capo dello
Stato sì. Lo tengono unito le speranze quirinalizie di Berlusconi.
Nel momento in cui quelle speranze, al 97%, si riveleranno infondate,
vedremo se Berlusconi è rimasto
con Salvini e Meloni soltanto in virtù di quelle speranze, o se lo ha fatto
perché è restato bipolarista e crede
ancora nell’alleanza creata ventisette anni fa».Ma il centrodestra ha veramente la possibilità di eleggersi un presidente della Repubblica?
«Se mantiene l’unità può avere
un ruolo di primo piano. Quanto
meno non facendosi imporre soluzioni sgradite. Il caos, del resto, non
è mica solo a destra: il M5s è a brandelli, mentre il Pd ha una consolidata tradizione nell’affossare candidati apparentemente vincenti.
Basta ricordare i centouno che non
votarono Prodi. Ma molto dipende
dal comportamento di Forza Italia,
qualora la soluzione Berlusconi
non fosse percorribile».
Immagino che il centrodestra
abbia più di una carta da giocare,
qualora Berlusconi non ce la facesse. Lei che idea si è fatto? Ha un
identikit per un’eventuale alternativa? Essendo un politologo e
non un politico, può prendersi tutte le libertà di analisi che vuole.
«Resto convinto
che al centrodestra
converrebbe mandare Draghi al Quirinale. Anche e soprattutto a Salvini e Meloni. Se vogliono avere una minima chance di andare a Palazzo Chigi domani, direttamente o per interposta persona, il
presidente giusto
per loro oggi è Mario
D ra g h i » .
Quel Mario Draghi che sta prendendo letteralmente a
schiaffi Salvini un
giorno sì e l’altro pure con g reen
pa ss , catasto, reddito di cittadinanza, quota 100 e eu ro ? Questa
me la deve proprio spiegare.
«Ma è proprio questo il motivo.
Un governo sovranista in Italia entrerebbe molto duramente in conflitto con l’Europa. È molto probabile che il conflitto sarebbe talmente duro da finire per impedire che
quel governo nasca o sopravviva a
lungo. È un fatto, piaccia o non piaccia. Draghi al Quirinale potrebbe
(al condizionale) fare in modo che il
conflitto non esploda. Il governo
sovranista sarebbe sotto tutela, è
evidente. Così come, del resto, lo è
stato il Conte I».
Anche qui finisce per darmi una
risposta a una domanda che avrei
voluto farle dopo. Il tema è cosa deve fare il centrodestra per governare oltreché vincere le elezioni.
Ma quindi nella politica italiana ha
senso parlare di un partito di Mario Draghi?
«I partiti oggi nascono intorno a
un leader, non all’idea di un leader.
Non siamo mica nella Francia degli
anni Quaranta. E Mario Draghi non
ambisce certo ad essere un leader
p o l i t ic o » .L’errore che invece ha compiuto
Mario Monti.
«Se avesse ascoltato chi si intende di politica, pure Monti avrebbe
compreso che non poteva raggiungere più del 10%, e comunque non le
vette di consenso che certe analisi
gli attribuivano. Chi governa fa
spesso confusione fra gradimento
e intenzioni di voto».
All’interno della destra vi sono
due partiti in larga misura sovrapponibili, per forza elettorale ma
anche per identità. Ha senso? È
u n’a n o m a l i a?
«È un’anomalia che ha un senso
a motivo del percorso storico dei
due partiti. C’era una volta un vasto
elettorato orfano di Berlusconi e
due modesti partitini molto differenti per tradizione e ideologia. Regionalista il primo, nazionalista il
secondo. Per poter conquistare
que l l ’elettorato, Salvini ha dovuto
trasformare in profondità la Lega.
Mentre Fratelli d’Italia restava una
forza politica tutto sommato marginale».
Ma Fratelli d’Italia da minoranza è poi cresciuta.
«Sì, quando il salvinismo ha perduto di spinta propulsiva. Quelle
due forze assai diverse hanno finito
per sovrapporsi, fino ad equivalersi. Il problema di fondo resta sempre lo stesso: come portare il voto
periferico, depresso e inferocito,
dentro il sistema. Come legarlo a un
progetto di governo. L’o p e ra z io n e
interessa a Salvini e Meloni, e a
chiunque abbia a cuore la democrazia italiana. Parliamo ormai di
milioni e milioni di elettori. È un’operazione difficilissima: nel momento in cui un leader di lotta
smette di essere tale, immediatamente esce qualcuno che prende il
suo posto, e gli elettori traslocano.
L’ingresso della Lega nel governo
Draghi è parte di questa storia».
GIOVANNI ORSINA
Operazioni di ingegneria politica che portino all’unione dei due
partiti sono possibili?
«Direi di no. Anche perché un
ruolo essenziale lo giocano le ambizioni e le storie personali dei leader. La soluzione più ragionevole
sarebbe riprodurre lo schema che
ha portato il centrodestra nel 1994
ad affermarsi come schieramento
politico di peso. Due forze di destra
per così dire sovraniste. La prima
nordista, più attenta al mondo produttivo. La seconda più attenta ai
temi dello stato sociale e al Sud».
Rimane un’altra frattura politica che fa scopa con ciò di cui parlavamo all’inizio. Federalisti ed europeisti da una parte contro sovranisti euroscettici dall’a ltra .
«Il mainstream racconta che il
sovranismo non sarebbe una risposta. E io concordo. Ma bisogna pure
riconoscere, al contempo, che l’eu -
ropeismo non è una proposta. Provocatoriamente, mi vien da dire
che il conflitto in Europa è un “triel -
l o”: sovranisti dichiarati, sovranisti di fatto (e questi due insieme sono la larga maggioranza), e una minoranza di federalisti veri. I sovranisti dichiarati sono l’alibi per i sovranisti di fatto. Guardi il caos sulle
politiche migratorie e il Consiglio
europeo della settimana scorsa.
L’Europa è chiusa in una trappola,
da anni ormai: smontarla avrebbe
costi mostruosi. I sovranisti di fatto
(ben più di quelli dichiarati) le impediscono di procedere in una direzione federalista, e in mezzo al
guado non si riesce a far funzionare
nulla. Tra Forza Italia nel Ppe e Lega e Fdi (sovranisti dichiarati) c’è
una frattura politica vera e profonda. Ma va pure collocata all’i nte r n o
di questo quadro più ampio. È in
questo quadro che diventa possibile, forse, trovare una mediazione».
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