Ho letto un interessante fondo di Giusep pe De Rita (uno dei pochi sociologi il cui nome è noto agli italiani) che mi ha fatto pensare. De Rita, noto, ripeto, grazie ai suoi annuali rapporti Censis sulla situazione sociale del Paese, dava proverbiali pennellate quale titolo di alcune edizioni (La società ansiosa, Il grande tradim e n to, Il furore di vivere, per stare ad alcuni), insomma una lettura che poteva essere trasversale - un po’ s e r io s o saggio statistico, un po’ tea - tro. In questo fondo mi colpisce la lucidità con la quale il sociologo divide nettamente in due le modalità del vivere il presente da parte degli italiani. Da una parte una visione a «corto raggio», utilitaristica, intimista. Dall’altra una necessaria ampiezza di vedute che individuano l’oriz zonte del «post globale» pur non essendo noi, oggi, in grado di capirne gli sviluppi dunque l’approdo. «Vivere nel corto raggio», dice De Rita, «potrebbe rivelarsi un passaggio duro per noi italiani che abbiamo costruito la nostra presenza internazionale sulle filiere lunghe (vedi la moda e l’enogastronomia) - ma d’altronde oggi è tutto più fragile e ci troviamo nella necessità di trovare spesso altre idee, altre strategie». Ovviamente le riflessioni, sue e di altri, non possono prescindere dallo tsunami che è stata la pandemia ma, soprattutto, è come se il virus ci avesse indotti a pensare al presente to ostacolato dalla difficoltà del dialogo tra generazioni. Tutto questo fornisce materia di pensiero. L’uomo ha sempre ragionato «al futuro» ma probabilmente la pandemia ci ha costretti a pensare diversamente, ci ha scoperti fragili, desiderosi di coccolare quello che abbiamo. Per questa ragione De Rita non propone ricette, non dice «pensiamo a lungo spettro» oppure «occupiamoci solo dell’oggi», ma apre un dibattito che affascina perché, se viviamo eternamente nel presente, non diamo spazio al futuro, ma se pensiamo solo a ciò che verrà rischiamo di non dare valore al «qui e ora» motto, questo, figlio dei più grandi pensatori di ogni epoca. Secondo De Rita attu a l - mente siamo indotti a pensare a «corto raggio» come se quello che accade nella realtà di tutti i giorni - e mettiamoci anche la ridotta capacità di scambi con continenti lontani per via del Covid - impedisse di fare voli mentali a «lungo raggio» inducendoci a guardare la vita con occhi diversi.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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