STUPIDA RAZZA

lunedì 25 ottobre 2021

La Cina non vuole Mario Draghi al Quirinale

 

L’elezione del prossimo capo dello Stato è una partita geopolitica, ma i partiti italiani sembrano sottovalutare clamorosamente questo aspetto. Le cronache dei preparativi per l’i m p o rta nte ap pu nta m e nto danno finora conto di un Pd galvanizzato dalla recente affermazione alle comunali, di un centrodestra che si sforza di ricomporre l’unità perduta e di grillini che si rassegnano a fare da «ascari» del centrosinistra. Si tratta di elementi rilevanti nel complesso rito delle elezioni presidenziali che si consumerà tra pochi mesi. Il rischio, però, è di attribuire a queste elezioni una dimensione esclusivamente tattica, tutta giocata su l l ’intrigo di palazzo e con l’occhio fisso al pallottoliere dei voti, senza tenere conto del contesto internazionale. Sarebbe un errore imperdonabile. Ecco perché. Il presidente della Repubblica italiano garantisce la collocazione del Belpaese negli equilibri internazionali, e il numero di telefono da chiamare per gestire le questioni strategiche e delicate è il suo. Si tratta di un ruolo già previsto dalla Costituzione, ma rinforzato dalla elevata volatilità che contraddistingue i governi italiani. Non potendo fare affidamento su presidenti del Consiglio dalla breve vita politica, le cancellerie internazionali da tempo hanno preso come riferimento il Quirinale. Anche in Cina, a cui Roma fa gola, sanno che il presidio dell’Italia passa dal Quirinale. Allungata com’è al centro del Mediterraneo, contenuta a Nord dalla cortina delle Alpi, costretta a osservare l’orizzonte di un Est vicino e un Ovest lontano, l’Italia unisce il vettore eurocinese e quello afro-cinese. Proprio dal punto di vista degli equilibri internazionali e delle ombre cinesi, il settennato di Sergio Mattarella, che si concluderà a breve, non è di agevole lettura. Per un verso, M atta rel l a ha chiamato a battesimo ben due esecutivi di fila con forti venature eurasiste e filo-cinesi. Il Conte I accolse trionfalmente Xi Jinping a Roma e firmò un accordo sulle Vie della Seta, il Conte II non fece a sua volta abiura di queste posizioni. L’av v ic e n d a m e nto di Sa lv i n i con Z i n ga retti non impresse alcuna svolta dal punto di vista di Pechino: in altre parole, vi fu «continuità nella discontinuità». Come mai? Forse perché il presidente del Consiglio era rimasto lo stesso. O forse perché a Roma Pechino può contare non solo sui grillini ma anche sulla rete cattolica di sinistra. Essa annovera figure-chiave delle istituzioni e della politica italiane. Come G iu s e p p e Co nte, l’ex presidente del Consiglio discepolo del cardinale S i lve s tr i n i , padre della O st p o l iti k vaticana. E come lo stesso Sergio Mattarella, che è molto legato al ricordo di Vittorino Colombo, il democristiano che teorizzò l’av v i - cinamento a Pechino. Senza contare, inoltre, che papa B e rgog l io ha ripetutamente dato segno di volere un'intesa storica tra Cina e Vaticano. L’attuale pontefice, insomma, non si colloca affatto nel solco di Giovanni Paolo II, che durante la Guerra Fredda si schierò risolutamente nel campo occidentale contro l’Unione sovietica. Per il verso opposto, con il terzo esecutivo varato da M atta rel l a , grazie al decisivo arrivo di D ra - ghi, si è finalmente registrata una netta discontinuità rispetto al triennio precedente della legislatura. Con D ra g h i a Palazzo Chigi, l'euro-atlantismo ha ripreso il posto dell’eurasismo. Non vi è dubbio: Xi è tra i pochi leader mondiali a non aver accolto con piacere l’avvento di D ra g h i . Non stupisce la sua assenza al vertice dei capi di Stato e di governo del G20 che si terrà a Roma il 30 e 31 ottobre. D’altra parte, già nel discorso di esordio di D ra g h i alle Camere, la Cina era nominata solo di sfuggita, e per giunta esprimendo preoccupazione per le tensioni geopolitiche in Asia. Il discorso non conteneva nemmeno un riferimento allo status di «partner» della Cina, né ai rapporti commerciali tra la Cina e l’Italia. Per la Cina, essere snobbati è come noto un affronto mortale. Il «destino manifesto» della Cina, infatti, non si mostra e dunque non è ovvio, il rango di impero - o aspirante tale - cessa di essere scontato. A ciò si aggiungono aspetti pratici, come la sfilza sempre più lunga di stop che Palazzo Chigi ha imposto allo shopping cinese di imprese italiane, spesso e volentieri contro il parere di altri ministeri del governo Draghi. Al momento, quindi, può dirsi scongiurato uno scarrellamento verso la Cina. Attenzione però: gli amici di Pechino hanno indebolito la loro presa, ma siedono ancora numerosi tra i banchi del Parlamento, nei ministeri e addirittura nei Comuni. Il sogno di Xi Jinpingnon è affatto difficile da intuire: che al Quirinale vada qualcuno meno atlantista e più oscillante di D ra g h i , possibilmente un catto-dem, e che D ra g h i resti a Chigi solo per l’ultimo scampolo di legislatura prima di fare ritorno a Città della Pieve.

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