STUPIDA RAZZA

giovedì 28 ottobre 2021

Dal Mes la riformina del patto di stabilità che non cambia nulla

 

È un documento di 42 pagine redatto da sei economisti. Uno sta al Fondo monetario internazionale. L’altro alla Banca centrale greca. I rimanenti quattro invece lavorano al Meccanismo europeo di stabilità che mette il logo ufficiale su una proposta di revisione dei famigerati parametri di Maastricht: deficit (massimo 3% del Pil) e debito pubblico (non oltre il 60%). Molti i colleghi del Mes ringraziati in premessa. Fra questi N ic ol a Gi amm arioli, segretario generale e membro del comitato direttivo del Mes. Il tutto subito prima del solito disclaimer: «le opinioni espresse dagli autori non necessariamente rappresentano quelle del Mes». Un classico dal carattere a dir poco contradditorio visto che il documento presenta orgogliosamente stampigliato il logo del Mes. Vi si propone una revisione parziale dei parametri con cui la Commissione Ue sorveglia i conti pubblici dei Paesi membri. Rimane fermo l’ob - bligo del 3% del deficit così come l’obiettivo di riduzione del debito pubblico attraverso un percorso di correzione dei conti pubblici da attuarsi in venti anni a suon di avanzi primari. Questi altro non sono tutto ciò che residua dopo che dalle entrate dello Stato sono tolte tutte le sue spese; ad accezione degli interessi sul debito. Ciò che cambia è il tetto del debito che, a detta del Mes, non deve più essere pari al 60% bensì al 100% del Pil. Secondo gli esperti del Fondo Salva Stati occorre prendere atto della «nuova realtà economica» e della «maggiore capacità di indebitamento» dovuta ai bassi tassi di interesse. Nel documento si apre anche alla possibilità di inserire una nuova «regola». La spesa pubblica ed il suo trend dovrebbero -almeno in parte - essere non più parametrate al Pil potenziale. Misura quest’ultima non osservabile ed arbitrariamente (anzi sistematicamente) sottostimata dai tecnici di Bruxelles. Dovrebbe invece essere parametrata al Pil, ovvero la ricchezza effettivamente prodotta ed agevolmente osservabile dagli istituti di statistica. Una misura cioè molto meno manipolabile. La proposta del Mes si inserisce in un dibattito già aperto. Lo scorso 20 ottobre il commissario agli affari economici e monetari Paolo Gentiloni Silveri da Filottrano Cingoli Macerata e Tolentino assieme al vicepresidente della Commissione Ue nonché suo tutor - il lettone Va l d i s D o m b rovs k i s - firmavano su L a Rep ubb lic a un editoriale dal titolo «Cambiare per crescere» con occhiello «Si apre la discussione sulle nuove regole del bilancio». Sempre quel giorno rincarava la dose sul Sole 24 Ore il nostro Genti - loni rilasciando un’i nte r v i s ta in cui affermava come il Patto Ue andasse «adattato alla necessità d’investire nell’econo - mia». Un dibattito che veniva chiuso sempre quel giorno con un’intervista che lo stesso D o m b rovs k i s rilasciava al Cor riere affermando che «i trattati Ue non si cambiano ed il patto di stabilità ha funzionato». In pratica la durata della discussione si rivelava inferiore all’aspettativa di vita di una zanzara. Ma ora interviene il Mes che da falco si trasforma in colomba spiazzando tutti con una proposta apparentemente rivoluzionaria. Questa si contrappone a quella di otto Paesi frugali del nord Europa (fra cui appunto la Lettonia di D o mb rovs ki s ) che lo scorso settembre avevano condiviso un position paper. Gli otto frugali ribadivano che dal 1° gennaio 2023 -momento del rientro in vigore del patto di stabilità temporaneamente sospeso in alcune sue parti a causa del Covid - dovessero nuovamente tornare le vecchie regole. Sulla proposta del Mes possiamo fin da subito fare tre osservazioni. Innanzitutto gli estensori si vantano di aver trovato una strada che consente al Consiglio Ue di cambiare le regole senza modificare i trattati. Una procedura lunghissima - quest’ultima - che avrebbe dovuto coinvolgere la ratifica di 27 Parlamenti nazionali e quindi inattuabile nel corso del 2022. L’Europa in pratica si vanta di trovare un modo di «aggirare» le sue stesse regole. È uno dei meravigliosi regali del Covid. I parametri sono infatti definiti nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea all’articolo 126, ma quantificati al protocollo 12. La regola d el l’avvicinamento all’obiet - tivo in 20 anni è invece contenuta in un regolamento intergovernativo del 1997 poi codificato nel cosiddetto Fiscal compact. In buona sostanza, basta l’ok unanime dei 27 premier del Consiglio Ue, si cambiano le regole e passa la paura. Tagliati fuori tutti i parlamenti nazionali. Gioiscono gli europeisti. È tutto fatto a fin di bene. Ma lo stesso potrebbe accadere nel caso opposto. Non viene abolito inoltre l’ob - bligo di raggiungere il nuovo obiettivo debito/Pil a suon di avanzi primari. Una strategia fallimentare che in Italia ha dato risultati oltremodo catastrofici. Immaginatevi di avere un debito nel 1992 pari all’equivalente di circa 870.000 euro pagando per i successivi 27 anni la cifra complessiva di 820.000 euro e ritrovarvi alla fine nel 2019 con un debito di 2,7 milioni. Moltiplicate per un milione queste cifre ed otterrete il caso Italia. Sono le stime del Centro studi Win the bank. Quello che è stato pagato per rimborsare il debito è un mostruoso avanzo primario cumulato di 820 miliardi. Continua a sfuggire insomma ai tecnocrati di Bruxelles e del Mes che il rapporto debito/pil diminuisce solo aumentando il denominatore. Infine, nulla cambia di fatto rispetto alla situazione prepandemica per l’Ita l i a . Con un debito pari al 160% del Pil dovremo arrivare al 100% in 20 anni. A suon di tasse e avanzi primari. Quasi la stessa situazione del 2019 quando a fronte del 130% dovevamo arrivare al 60%. «L’Ue del dopo pandemia non sarà più quella di prima» saluta enfatico il corrispondente di radio radicale da Bruxelles, Dav id C a r retta . E invece sarà esattamente quella di prima.

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