Nel capitalismo tecno-sanitario della sorveglianza, la pervasività del controllo sociale trova nel Green Pass lo strumento icona della fase transitoria che stiamo vivendo. Delle varie modalità con cui si ottiene la certificazione verde, lasciando un attimo da parte la questione dei sieri e delle guarigioni dall’invisibile agente virale, è interessante osservare il tampone e le sue funzioni.
La prima è senza dubbio quella di strumento diagnostico circa i contagi da Sars-Cov2, o perlomeno così viene dichiarato all’interno della finzione giuridica che permette la sussistenza della cosiddetta pandemia a livello internazionale, sebbene da più parti sia stata affermata la non validità scientifica dello strumento. Anche prendendo per buona l’efficacia dei tamponi, è chiaro che senza di essi la pandemia finirebbe da un momento all’altro, perché è grazie al calcolo della positività, e non in virtù delle ospedalizzazioni effettive o ancor meglio delle terapie intensive, che viene mantenuta l’emergenza, attribuendole l’aggettivo “sanitaria”. La logica è quella di cerca l’ago nel pagliaio, andando a rilevare non la malattia ma la presenza di un agente virale nel corpo, cosa del tutto normale e facilmente spiegabile persino da uno studente delle scuole secondarie che abbia fatto almeno un paio di lezioni di biologia.
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