Senza libertà
non c’è vita. Chi
lavora sulla salu-
te e la malattia lo
sa bene: il bambi-
n o c r e s c e s c o -
prendo il gusto del correre in
avanti, anche se così barcolla e
può cadere. Per questo chi nel-
l’infanzia è stato superprotet-
to dovrà prima o poi rompere
il guscio in cui mamme ansio-
se e medici scadenti l’hanno
rinchiuso. Quanto ai politici, è
bene che non si «prendano per
il buon Dio», come ricorda un
ironico detto dei francesi,
sempre attenti a non scottarsi
con qualche Re Sole di troppo.
La forza di un Paese e la sua
salute coincide sempre con il
suo livello di libertà: il resto è
chiacchera, burocrazia e sta-
gnazione. A meno, certo, di
stare costruendo una dittatu-
ra, magari in giacca e cravatta
(ma le dittature sono quasi
sempre in giacca e cravatta,
tranne l’uniforme domenica-
le per le adunate o il dress code
per le riunioni al Forum a Da o s ) .Da psicoterapeuta, oltre
che da persona che ama la vita,
preferisco le persone che ap-
prezzano la libertà e hanno il
coraggio di difenderla quando
comincia a essere minacciata.
Come oggi accade sempre più
spesso e non solo per il Covid:
le scienze e le filosofie politi-
che documentano da un pezzo
le forti limitazioni alle libertà
praticate dagli Stati cosiddetti
liberali o socialdemocratici
moderni. Limiti che tra l’a l tro
fanno ammalare le persone, e
vanno di pari passo, come è
noto, con l’aumento esponen-
ziale delle patologie, a partire
da quelle psichiatriche, che si
nutrono di chiusure, divieti,
punizioni e soprattutto mi-
nacce e paure.
Ecco allora cosa si sono in-
ventati gruppi di giovani delle
scuole superiori dalle parti
dove passo gran parte delle
mie giornate. Mentre nel resto
d’Italia tutti sono ridotti a uno
stato di sudditanza nei con-
fronti del green pass e dei suoi
numerosi codici, obbligati co-
me schiavi a sfoderarli a ogni
passo per avere il diritto di
muoversi e di fare qualsiasi co-
sa compreso lavorare e studia-
re, questi ragazzi e ragazze ap-
pena possono vanno nei bo-
schi, che per fortuna qui sono
abbondanti, e per adesso sen-
za tornelli per accedervi. Al-
cuni di loro dovrebbero per la
verità andare a scuola, ma le
ore di studio con mascherine e
distanziamenti obbligati non
sono così attraenti. Tanto che
il giovane assessore alla cultu-
ra Philipp Ach a m m e r per mi-
gliorarne l’attrattiva è andato
a Roma a chiedere al ministro
dell’Istruzione, Patrizio Bian-
chi , l’alleggerimento delle
«misure di sicurezza» per i ra-
gazzi che fanno i test. Inutile
dire che la richiesta è stata ri-
fiutata. Una prova in più che al
governo non interessa che ci si
tenga sani, ma che ci si vaccini.
Il che non evita, come si è vi-
sto, infezioni e reinfezioni, ol-
tre a non informarci con pre-
cisione su cosa ci facciamo
i n ietta re.
Il no di B i a n ch i ad Acham -
mer (il cui nome evoca: il la-
mento del passero) è solo l’ul -
timo, penoso episodio che di-
mostra la sordità delle istitu-
zioni di fronte alla libertà in
generale e di quella di curarsi
in particolare. È questa ottusi-
tà ad aver provocato l’e ntrata
in scena in grande stile del bo-
sco nella vita dei più giovani,
proprio ora e malgrado la tem-
peratura cominci a scendere.
Un luogo e un’immagine quel-
la del bosco, che invece in ogni
cultura (per chi ne ha una) è
l’archetipo eterno della liber-
tà e della rigenerazione, oltre
che dell’apprendimento dalla
natura. Il fatto è che, spiega
Ernst Jü n ge r «per chi compie
il “passaggio al bosco” l’aria
delle serre calde non vale più
nulla». Così questi ragazzi rac-
contano agli adulti disposti ad
ascoltarli che «dopo la scuola
invece di mascherarci e tenere
le distanze tra noi, andiamo
nei boschi discutendo e ab-
bracciandoci come ci pare». Il
contatto prende il posto del di-
stanziamento paranoide co-
me forma di vita. Naturalmen-
te hanno messo in conto che
così prima o poi si infettano.
Ma non gliene importa niente
e non solo perché di solito alla
loro età se la cavano al massi-
mo con qualche antiinfiam-
m ato r io.
Il fatto è che anche se non ci
hanno neppure molto pensa-
to, questi ragazzi affrontano
l’emergenza Covid con l’istin -
to e così preferiscono «vacci-
narsi» nel modo della natura,
cui appartiene il virus ma an-
che le loro difese, piuttosto
che con il vaccino. A un livello
più superficiale anche se non
c o m p l eta m e nte i n fo n d ato
poi, considerano più pericolo-
so e squilibrato andare in giro
in maschera, soprattutto all’a-
ria aperta o darsi delle gomita-
te per salutarsi e farsi iniettare
alla cieca più volte l’anno so-
stanze sconosciute che forse ti
immunizzano per un po’, ma
non è neanche detto. Del resto
da queste parti le loro madri e
nonne finché hanno potuto
(l’altro ieri) hanno immuniz-
zato figli e nipoti portandoli
(con il via libera del medico) a
infettarsi dagli amici malati,
come ho già raccontato susci-
tando l’indignazione di qual-
che lettore. I risultati non sono
stati del resto malvagi: quella
di Bolzano è l’unica provincia
d’Italia con un tasso di natalità
positivo. Forse qualche lato
buono e vero dunque questo
modo un po’ selvaggio di vive-
re e comportarsi ce l’ha. Così
questi ragazzi si comportano
come se la natura (questo «in-
gombrante residuo dei tempi
andati») fosse ancora viva e
reale, e non «una produzione
culturale» come dicono gli in-
tellettuali regolarmente tim-
brati e pagati dalle istituzioni
r ic o n o s c i ute.
Senza saperlo, i ragazzi che
invece di mascherarsi e anda-
re a scuola distanziati vanno
nei boschi a scambiarsi il Co-
vid-19 per immunizzarsi e af-
frontare da soli la situazione
senza Big pharma e operazio-
ni militar-sanitarie di massa
sono come il proscritto di cui
parla (appunto nel Trattato del
rib elle, Adelphi) Ernst Jü n ge r,
il pensatore e scrittore euro-
peo per festeggiare i cui 100
anni si mossero insieme Hel -
mut Kohl (che unificò le due
Germanie) e François Mitte-
ra n d . I due più robusti espo-
nenti di un’Europa ben più co-
struttiva e generosa di quella
leziosa e autoritaria di Ursula,
con il suo sterminato esercito di funzionari spocchiosi.
Jü n ge r racconta come il ri-
belle/proscritto non si rac-
conta storie: egli sa istintiva-
mente che la catastrofe esiste,
e che è necessario riconoscer-
lo e molto probabile, a volte
necessario, esserne coinvolti.
Le probabilità di esserne di-
strutti «si riducono», scrive,
«nella stessa misura in cui nel
singolo diminuisce la paura»,
il grande strumento di gover-
no di tutti i numerosi aspiranti
t i ra n n i d e l n o s tro te m p o.
«Nessuno di noi», ammonisce,
«può sapere se per caso doma-
ni mattina non si troverà a far
parte di un gruppo dichiarato
illegale». Di fronte all’e ste n-
dersi dello «stato di emergen-
za» (oggi acutamente studiato
da Giorgio Agamben e altri)
occorre dunque «pensare con
la propria testa, condurre una
vita dura, e agire in piena auto-
nomia. In queste moderne
cacciate della libertà, la que-
stione della salute svolge sem-
pre un ruolo importante: per
la paura di perderla l’uomo ri-
schia di ridursi in schiavitù:
da considerare con estrema
vigilanza è l’intervento cre-
scente che, di solito con prete-
sti filantropici, lo Stato eserci-
ta sull’organizzazione sanita-
ria». «Per l’uomo sano la ricet-
ta migliore è affidarsi alla veri-
tà del corpo, senza tuttavia
trascurarne gli avvertimenti».
I ragazzi del bosco cercano, a
loro modo, anche questo.
Nessun commento:
Posta un commento