STUPIDA RAZZA

domenica 31 ottobre 2021

Siamo figli di Hobbes o di Rousseau? L’eterno dilemma sulla natura umana

 

 Asha Phillips è una psicoterapeuta inglese che ha lavorato alla prestigiosa Tavistock Clinic di Londra. Nel 1999 pubblicò un libro, tradotto da Feltrinelli con il titolo I no che aiutano a crescere. In meno di dieci anni l’edizione italiana fu ristampata più di 40 volte; nel 2013 ne uscì una nuova edizione ampliata. In un Paese in cui l’intera industria editoriale fattura una frazione del Mulino Bianco, è un successo straordinario: b est - selle r e lo n g - selle r insieme, un testo che risponde in modo adeguato e durevole alle aspettative di un ampio pubblico. Viene da chiedersene i mot iv i . Consideriamo un esempio che illustra la tesi di Phillips. Johnny, di due anni, è al supermercato, vorrebbe essere altrove e protesta. La madre, per calmarlo, gli dà un dolcetto; dopo un p o’, lui ne vuole ancora; quando lei esita, si mette a strillare; gli altri clienti osservano la scena; la madre cede. Problema: ora i dolcetti non funzionano più; Johnny li butta per terra e si dispera; la madre perde la pazienza e strilla anche lei. Soluzione: la madre deve comportarsi con fermezza e imporre la sua volontà a Johnny, evitando di premiarne le bizze e mandargli così messaggi contraddittori. Ora è il momento di fare la spesa; punto e basta. Non ho niente da dire sulla ragionevolezza o efficacia di questa soluzione. Quel che voglio sottolineare, e su cui ho qualcosa da dire, è la logica che vi soggiace: il quadro di riferimento filosofico che la informa. Il titolo italiano del libro di Phillips contiene la parola «crescere», da intendere non tanto in senso fisico quanto nel senso di una persona che matura e raggiunge la sua pienezza emotiva e intellettuale. Phillips sostiene che tale maturazione richiede lo stabilirsi di precisi confini, che solo quando l’a m bie nte inibisce (mediante negazioni e rifiuti) l’espressione immediata e spontanea dei desideri di un soggetto in fase di crescita la maturazione avviene nel modo corretto. E, per trovare questa tesi plausibile e allettante, è necessario accettare una specifica posizione filosofica. Due visioni principali si confrontano sul tema della natura umana. Nell’ant ica filosofia greca si tendeva a guardare a tale natura con ottimismo e a esprimere sospetto verso gli influssi esercitati dalla società. S oc rate riteneva che il vizio fosse sintomo di ignoranza, quindi di un fallimento educativo; P l ato n e era convinto che favole e pratiche dissennate corrompessero i giovani e aveva escogitato una forma di governo dove non circolassero assurdità del genere; A r i s totel e c o n f id ava che, se allevati in presenza di idonei modelli di ruolo, i cittadini avrebbero abbracciato l’eccellenza, e il piacere, della virtù. Sul versante opposto troviamo l’antropologia giudeo-cristiana: nell’A ntico Testamento, un dio geloso e dispensatore di tormenti che incita i fedeli a adottare misure analoghe (non risparmiando ai fanciulli la verga); poi, dopo la breve parentesi di un mite predicatore galileiano che invita all’amore universale (come farà, millenni dopo, Joh n Lennon - anche lui una breve parentesi), le prediche quaresimali di Paolo di Tarso contro le insidie della carne e, a cristallizzare questo atteggiamento, la strenua difesa da parte di A gos ti n o del peccato originale. Il monaco Pel a g io, il quale sosteneva che Adamo non aveva contaminato la natura umana e ogni essere umano è libero di scegliere il bene, fu giudicato eretico e si affermò invece l’opinione che la natura umana fosse corrotta e non in grado di redimersi da sola, senza l’i nte rvento soprannaturale della grazia divina. In attesa di tale intervento, andava repressa e mortificata, perché ogni suo impulso è depravato e maligno. Nella modernità, lo stesso contrasto si pone fra H o bbes e R ou s s eau . Per Hobbes, l’essere umano nello stato di natura è governato da avidità, diffidenza e ambizione. Di solito, la diffidenza ha la meglio: la paura che tutti provano nei confronti di tutti gli altri. Nasce così la società, frutto di un accordo in cui ciascuno acconsente a reprimere quel che gli verrebbe naturale per aver salva la pelle, e nasce la morale, cioè l’insieme di regole che la società impone e che ciascuno accetta, in mancanza di meglio e sotto la minaccia di finire molto peggio. Per R ou s s eau , quello di Hobbes è un mondo alla rovescia. Le pulsioni naturali dell’e s s e re umano sono l’istinto di sopravvivenza e la compassione. Immaginate un incidente, una catastrofe, dice il Nostro; chi se non le persone umili, più strettamente a contatto con la propria natura, si precipiterà in aiuto, si prodigherà per portare sollievo ai sofferenti? Ma la società corrompe questi impulsi benevoli: fa tacere la compassione e nascere l’amor proprio. Nel comportamentismo che ha dominato la psicologia del Novecento, da una parte e dall’altra della guerra fredda, il contrasto di sempre si ripropone in modo più sfumato tra rinforzo negativo e positivo: posso scoraggiare un altro dall’av - vicinarsi a me dandogli una legnata ogni volta che ci prova (rinforzo negativo) oppure offrendogli qualcosa di gradito quando rimane a debita distanza (rinforzo positivo). Ed è qui che si inseriscono il libro della Phillips e il suo successo. La strategia più gentile e accogliente è stata a lungo egemone, soprattutto in America, dove si sprecano i complimenti ( «Good job!», pronunciato con aria estatica) per qualunque azione di un bambino non sia apertamente delinquenziale. Quindi i genitori accoglieranno con sollievo il suggerimento che talvolta sia bene non approvare il comportamento dei loro pargoli. Domanda: sarebbe possibile decidere con un appello alla neurofisiologia e ai suoi esperimenti se nel descrivere la natura umana, come essa nasce e si sviluppa indipendentemente da ogni influsso esterno, abbiano ragione gli antichi filosofici greci o la Bibbia, Hobbes o R ou s s eau , i fautori del rinforzo positivo o negativo? La risposta è No. Stiamo parlando di un’innocenza o di un peccato originari e, per quanto indietro andiamo nell’esaminare una persona, non potremo mai dire di averla esaminata in uno stato privo di ogni influsso esterno. Con il raffinarsi delle nostre capacità di studiare bambini molto piccoli, neonati e feti, è aumentata la consapevolezza di quanto essi siano recettivi nei confronti del loro ambiente, quindi influenzati dai segnali che ne vengono e determinati da tale influenza. Quali che siano i dati che raccogliamo compiendo gli esami, dunque, potranno essere interpretati in un senso o nell’altro, a favore dell’una o dell’altra ipotesi filosofica. O, più verosimilmente, chi ha già aderito all’una o all’altra ipotesi potrà (se la sua fede lo ha abbastanza accecato) ritenerla dimostrata dai dati raccolti. Quello di una natura umana originaria è un concetto-limite, e i limiti possono essere indefinitamente approssimati ma mai raggiunti; in quel che succede al limite si può solo credere. Che cosa credere, allora? Mai come in questo periodo, durante la mia lunga vita, ho ascoltato discorsi perplessi e inquieti sulla natura umana: discorsi che sollecitano, che invocano una qualche indicazione. Quella che posso offrire è un’i n d ic a z io n e non teorica ma etica: l’ott imismo, per me, è un dovere. Insegna Ka nt che dobbiamo sempre trattare il prossimo come se fosse sensibile a istanze morali e ragionamenti logici: anche nelle tenebre della più assoluta incomprensione, dobbiamo continuare a provarci. Per chi accetti il carico di questo ottimismo, non può che esserci una spiegazione per la malevolenza, l’a g g re s s iv i tà , il sadismo che vediamo intorno a noi. Una natura umana essenzialmente buona è manipolata da poteri indegni a fini perversi; dobbiamo reagire alla manipolazione e riconquistare insieme la nostra innocenza.

Nessun commento:

Posta un commento