STUPIDA RAZZA

lunedì 25 ottobre 2021

Il settore siderurgico sta pagando le politiche Ue su green e acciaio

 

La crisi energetica incrina le certezze (sbagliate) di Bruxelles: parziali aperture al nucleare. Ma s’impone un problema gravissimo: da un lato le politiche europee proteggono la nostra siderurgia, dall’a ltro lato lo mettono fuori gioco rispetto ai concorrenti esteri (specie turchi) sul fronte energetico.La crisi energetica sembra aver finalmente provocato qualche momento di riflessione da parte di Bruxelles. Intervenendo al termine del vertice Ue, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha illustrato quelle che sembrano le nuove linee guida sul tema energia, cercando un difficile equilibrio tra carenza di gas naturale, prezzi dell’elettricità alle stelle e transizione ecologica. Pur continuando a tessere le lodi sulle fonti rinnovabili, indicando la loro attrattività nei costi di produzione scesi negli ultimi dieci anni (anche se rimane buio pesto su quelli di smaltimento), la presidente della Commissione ha rimarcato la necessità di avvalersi di «una fonte stabile, come il nucleare, e, durante la transizione, anche del gas naturale». Se non si tratta di un dietrofront, poco ci manca. È probabile che a indurre Bruxelles a più miti consigli siano giunti i dati sulla generazione di energia da fonte eolica che da mesi si sta oramai rivelando molto più bassa delle attese a causa dei venti deboli, alimentando così la fame europea di gas naturale per soddisfare i consumi di elettricità. Una dinamica, questa, che, va detto, è anche figlia della liberalizzazione dei mercati energetici europei, che ha spinto gli acquirenti europei a imporre a fornitori strategici, come la tanto vituperata Gazprom, di abbandonare il metodo di indicizzazione fino a quel momento basato sul petro l io. Va da sé che il nuovo metodo ha funzionato in un contesto di mercato caratterizzato dalla sovraofferta, ma sta risultando controproducente in una fase quale quella attuale caratterizzata dalla carenza di gas. I cui prezzi, dopo il balzo di inizio ottobre fino a 150 euro/MWh, veleggiano attualmente in area 90 euro/MWh, pari a un prezzo medio da inizio anno di 35 euro/MWh, circa il doppio della media 2020. Il fatto che oggi Bruxelles sembri adottare una linea maggiormente pragmatica non significa però che i problemi siano risolti, tutt’altro. È probabile che da oggi inizierà un duro sconto istituzionale tra Paesi membri per far valere i rispettivi interessi nazionali. Il nucleare sarà in particolare elemento di contrasto tra la Francia e la Germania. Anche per l’Italia la sfida che si apre sarà decisiva: sviluppare u n’autonomia futura sul piano energetico rappresenta per un paese come il nostro, seconda potenza manifatturiera europea, un imperativo imprescindibile. Ne è consapevole il ministro Giancarlo Giorgetti che, intervenendo sul tema da Washington, ha affermato che il nucleare è «un’ipo - tesi». L’auspicio è che anche in Italia, insomma, possa partire una corsa agli investimenti nei small modular reactor che stanno già prendendo piede in vari paesi del mondo tra cui Regno Unito e Francia. La riprova dell’urgenza sulla questione giunge dall’analisi della marginalità dei produttori siderurgici italiani in forte calo a causa dell’impennata dei prezzi dell’energia. La questione è di natura strategica se si considera che circa l’80% della produzione di acciaio nel Belpaese avviene attraverso il forno elettrico e solo il 20% tramite ciclo integrale, il cosiddetto altoforno. Ebbene, dopo il recente balzo del prezzo dell’elettricità passato in pochi mesi da 70 a 220 euro megawattora, la marginalità delle acciaierie a forno elettrico stimata dal modello sviluppato dalla società di consulenza T-Commodity veleggia intorno ai 100 Eur/t che però si assottiglia ulteriormente di circa 50 Eur/t se si considera anche l’incidenza del gas. Insomma il caro-energia costa oggi alle acciaierie circa 200 Eur/t. Ma attenzione: l’e s i g uo profitto vantato dalle acciaierie italiane è reso possibile dagli alti livelli di prezzi del tondo di circa 730 euro la tonnellata, garantiti dalle quote all’import Ue. Fuori dai confini comunitari, dove il prezzo dell’acciaio risulta più basso di 100 euro la tonnellata (contratto del London Metals Exchange), la marginalità salta totalmente. Il che è una beffa se si considera la congiuntura particolarmente favorevole alle materie prime. Non solo: l’aspetto ulteriormente preoccupante è che invece i competitor turchi, potendo vantare un prezzo dell’e n e rg i a molto più basso (circa 50 euro/MWh), registrano oggi una marginalità di circa 100 euro la tonnellata sui mercati internazionali. Quindi, se da un lato le politiche europee proteggono il settore siderurgico, attraverso le misure di salvaguardia, dall’altro lato lo mettono fuori gioco rispetto ai concorrenti esteri sul fronte energetico (con un impatto sul nostro saldo commerciale) a causa degli zelanti piani climatici in un corto circuito altamente autoreferenziale. Il che naturalmente rende ancora più necessario il sostegno proveniente dai piani infrastrutturali contenuti nel Pnrr a loro volta alimentati dalla politica espansiva della Bce. Ma fino a quando potrà durare questa situazione così distorsiva? La risposta dipenderà dal livello di tolleranza dell’Eu rotowe r davanti ai primi importanti aumento dei prezzi al consumo che sembrano imminenti a giudicare dai segnali che giungono dalle aziende attive nel settore dei beni di largo consumo. In quest’ottica la scelta del prossimo ministro delle Finanze in Germania sarà basilare per capire i prossimi orientamenti teutonici.

Nessun commento:

Posta un commento