L’e l ez ion e del prossimo capo di Stato sarà frutto di un equilibrio politico non solo interno ma internazionale. Pesano, per i papabili, amicizie e influenze. Da Berlusconi a Draghi, da Amato a Casini, ecco punti di forza e di debolezza dei candidati più probabili, soprattutto lungo la trincea tra America e Cina.Domani e domenica Roma ospiterà il sedicesimo G20 della storia. Un passaggio centrale soprattutto per M a r io D ra g h i , padrone di casa e premier di un Paese la cui collocazione geopolitica sarà sempre più decisiva, a maggior ragione nelle settimane in cui dovrà scegliere l’inquilino del Quirinale per i prossimi sette anni. Siccome l’ex capo della Bce - che tra l’altro sabato vedrà Er - d oga n in un delicato bilaterale -è n atu ral ite r nella rosa dei candidabili, l’ap pu ntam e nto con i grandi del mondo a metà del semestre bianco sottolinea in modo marcato che la partita del Colle non è e non sarà solo un affare interno, di accordi, maggioranze, bruciature interne. Ma anche uno snodo internazionale. È difficile pensare che al vertice dello Stato italiano arrivi una figura che non abbia uno standing e un vaglio internazionale: soprattutto l’esten - sione dei poteri degli ultimi interpreti ha portato a un semipresidenzialismo di fatto che lascia, anche a causa della debolezza di tanti governi, leve fondamentali anche di politica estera ed economica nelle mani del Colle. Fin qui il caleidoscopio dei nomi «quirinabili» è stato osservato con le lenti della politica italiana. È forse utile accostare anche uno sguardo alle caratteristiche internazionali dei nomi più forti in pista, visto che ormai qualunque mossa politica e parlamentare (manovra, legge elettorale, alleanze) va letta nelle manovre in vista del 1° febbraio 2022. Il quadro generale l’ha dato giusto ieri Giovanni Bazoli: «Oggi è in atto uno spostamento degli equilibri mondiali a favore delle potenze asiatiche», ha spiegato al Forum economico euroasiatico il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, che ha aggiunto: «Quanto all’Europa, pare sia destinata a una inesorabile marginalizzazione, come segnalano i dati statistici riferiti agli andamenti economici, accompagnati a quelli ancora più impressionanti di ordine demograf ic o » . Se tale trend sia ineluttabile o se spetti alla politica internazionale ribaltarlo è ovviamente discutibile. Resta il fatto che la trincea Washington-Pechino si sta scavando praticamente in tutto il mondo, e l’Italia non è certo u n’eccezione. Anzi: la radiografia «estera» dei candidati parte inevitabilmente da questo esame. In rigoroso ordine alfabetico, Giuliano Amato, grande riserva della Repubblica, ha dalla sua il cursus honorum e la doppia esperienza di presidente del Consiglio, assieme ai galloni di un europeista con le stellette (portò il suo nome il gruppo composto col tentativo di scrivere una costituzione europea). Qualche attrito storico resta con Israele: era pur sempre dal suo ufficio di sottosegretario alla presidenza del Consiglio Craxi che l’am - basciatore egiziano R i fa at ge - stì la crisi diplomatica mettendosi in contatto con Muba - ra k nel pieno della crisi di Sigonella. Roba di oltre 35 anni fa, ma la diplomazia è materia da elefanti e vive di memoria. Poi c’èSilvio Berlusconi, tra i più decisi a premere il tasto della minaccia cinese (che lo pone in storica e consolidata continuità con gli Stati Uniti). Meno facile gestire l’a m ic i z i a strategica con Vladimir Putin, oggi un ostacolo agli occhi degli stessi americani e - soprattutto - degli inglesi. Emma Bonino, volendola considerare della partita proprio per gli addentellati esteri, non è esattamente ben vista in Vaticano, per motivi che non è necessario approfondire più di tanto. Vicinissimo ad A m ato, ma privo della citata pregiudiziale, è Sabino Cassese: onnipresente e iperattivo come kingmaker, potrebbe farsi largo se cadessero i big in pista. Tra i big spicca ovviamente Marta Cartabia, che in effetti vanta tracce di America nel suo curriculum accademico, magari non esaltante ma puntualmente custodito proprio da Cassese e da Giorgio Napol i ta n o. Simile al ministro della Giustizia è, in questo senso, P ie r Ferdinando Casini, sapientemente infilatosi sotto coperta in attesa di poter spuntare fuori al momento giusto. La sua proverbiale cautela si è esercitata anche sul piano internazionale: presidente della commissione Esteri del Senato per quattro anni e capo dell’Internazionale democratica centrista per nove, ha doti anche geopolitiche di galleggiatore assoluto. Su Mario Draghi non c’è praticamente niente da dire quanto a peso internazionale: come spiegato su queste colonne, gli unici a opporsi a lui sono i cinesi. Di questi tempi è una medaglia: nel suo caso si tratta di scegliere, non sono pensabili veti sul suo profilo. Tornando agli outsider, An - na Finocchiaro paga la sua vicinanza a Massimo D’Alema, paziente tessitore dei legami Italia-Cina ma anche prossimo all’Iran, come noto: due biglietti da visita molto problem at ic i . Non si può definire outsider Dario Franceschini. Il ministro ripropone gli attriti internazionali della attuale postura vaticana filocinese e «postoccidentale», secondo la definizione di Dario Fabbri. Sul recente caso, raccontato dalla Ve rità , dell’artista cinese antiregime esposto a Brescia, si è mosso il sindaco di Brescia, non il titolare della Cultura. Paolo Gentiloni p otrebb e «saltare» da Bruxelles a Roma. L’attuale commissario Ue ha dalla sua la fellowship molto stelle e strisce della Brookings, che però non ne cancella i fortissimi legami con la Francia (era alla Farnesina ai tempi del contestato accordo sulle porzioni di Tirreno regalate a Parigi dal governo Renzi). Da premier, inoltre, nel maggio 2017 visitò Xi Jinping ap re n d o la strada al protagonismo italiano nella via della Seta. Non si può scartare il bis di Sergio Mattarella: anche perché il capo di Stato, artefice diretto della Ostpolitik ben più di un Giuseppe Conte, ha recentemente sfoderato un piglio atlantista che lo ha allineato col nuovo premier. La rassegna - parziale - si chiude con Romano Prodi, eterno candidato in piena fase di iperattivismo mediatico ed editoriale. La partita per lui è complicata: dalle faide a sinistra di cui è maestro e spesso vittima, ma anche e soprattutto dalla grande vicinanza alla Cina. Alla fine, si torna sempre lì.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento