Come si applica il «contrordine compagni» alla comunicazione dell’Is ti tuto superiore di sanità? Purtroppo non sembrano esserci molte variazioni rispetto al corrosivosarcasmo che il grande G iova n n i Guare - s ch i applicava all’obb e d ie n za ottusa dei trinariciuti militanti comunisti, pronti a qualsiasi giravolta purché richiesta dal giornale di partito. Così, con sprezzo del pericolo (e del ridicolo), nel tentativo di arginare il caos direttamente generato da un proprio report, l’Iss ha cercato nelle ultime 36 ore di rovesciare la frittata: «In relazione a quanto riportato da diversi media riguardo ai dati contenuti nel report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a Sars-Cov-2 in Italia pubblicato lo scorso 19 ottobre, ed al fine di promuovere una loro appropriata interpretazione, si ritiene utile precisare che nel rapporto non è affermato che solo il 2,9% dei decessi attribuiti al Covid-19 è dovuto al virus. La percentuale del 2,9%, peraltro riportata anche nelle edizioni precedenti, si riferisce alla percentuale di pazienti deceduti con positività per SarsCov-2 che non avevano altre patologie diagnosticate prima dell’infezione. La cifra peraltro è confermata dall’osserva - zione fatta fin dalle prime fasi della pandemia e ampiamente riportata in diversi studi nazionali e internazionali e rapporti anche dall’Iss, che avere patologie preesistenti costituisce un fattore di rischio». Fin qui la seconda velina, dall’inconfondibile prosa legnosa e burocratica, diffusa nel tentativo di coprire lo sbrego aperto dalla velina precedente. Peccato che la toppa - come da proverbio - risulti peggiore del buco: i dati sono sempre gli stessi, e sono proprio le autorità sanitarie «ufficiali», dall’inizio della pandemia, ad aver iniziato il rimpallo tra «morti di Covid» e «morti con Covid». Che ora quelle stesse autorità si stupiscano se osservatori terzi osano fare la medesima distinzione a partire dai dati forniti proprio dall’Iss, conferisce alla polemica un tocco surreale. Siamo alle solite, insomma: in Italia si riesce a litigare selvaggiamente pure sui dati. In qualunque altro paese dell’Oc - cidente avanzato, per lo meno sui dati (sulla loro dimensione oggettiva), non si discute: il dibattito, legittimamente, inizia semmai solo sulla loro interpretazione. Lasciando spazio, in quella sede interpretativa, a letture diverse, tutte legittime, senza che nessuno senta il bisogno di criminalizzare il portatore di una lettura diversa. Soltanto qui in Italia, e in particolare intorno al Covid, si cerca invece di costruire una discussione artificiosa (e come tale irricevibile) tra due posizioni estreme, uguali e contrarie, ed entrambe caricaturali: quella di chi arriva a sostenere che il Covid non esista, e quella - all’opposto - di chi, in nome di una enfatizzazione abnorme del rischio Covid, sembra determinato ad aprire la strada a qualunque intervento politico illiberale, a qualsiasi stravolgimento della normalità democratica, a una sorta di emergenza ossessiva e p e re n n e. Ecco, questa polarizzazione ossessiva va respinta. Tra i due estremi, c’è invece (meglio: ci sarebbe) lo spazio per un dibattito civile tra n ua n c es e sfumature differenti, tra chi (legittimamente) è disposto a sacrificare quote maggiori di libertà in nome della sicurezza e chi - al contrario - ritiene che la libertà non possa essere compressa in modo eccessivo. Venendo al caso specifico, è possibile ritenere che in tantissimi decessi dell’ultimo anno e mezzo abbiano avuto un peso determinante altre patologie, nonché la fragilità complessiva di persone molto anziane e già provate da significative vulnerabilità. Sostenere questa tesi così ragionevole (e peraltro suffragata dai numeri) è forse divenuto reato di opinione secondo l’Iss? È stato ripristinato il delitto di blasfemia? Si diventa ipso factonega - zionisti per il solo fatto di interrogarsi criticamente su questo tema? Vogliamo sperare che la discussione pubblica non sia giunta a questo punto di intolleranza e dogmatismo. Da ultimo, una preoccupazione. La visione dogmatica che abbiamo appena finito di criticare sembra funzionale ad aprire la strada a soluzioni generalizzate, uguali per tutti, e perfino «non discutibili» (senza essere per ciò stesso criminalizzati), a partire dalla somministrazione in modo totalizzante e indistinto della terza dose. Ecco, ci permettiamo di dubitare della correttezza di questo metodo. In ogni ambito, anche sanitario (si pensi ai progressi nelle chemioterapie), si procede invece verso la maggiore personalizzazione possibile delle terapie, proprio per tenere conto delle differenze di ogni individuo. Venendo alla campagna vaccinale, un’autentica autorità come il professor Fra n c e s c o Va i a (a cui speriamo nessuno pensi di dare del no vax…) ha saggiamente ammonito tutti, a più riprese, a considerare la condizione anticorpale di ogni persona (prima di pensare alle terze dosi), a valutare la memoria immunologica di ogni singolo individuo, fatalmente diversa da caso a caso. Questo secondo metodo, più rispettoso delle caratteristiche di ciascuno, più umile, più curvo sul caso singolo, più volto a una ricerca empirica e induttiva anziché all’imposizione dogmatica e deduttiva di tesi e soluzioni precostituite, è quello di cui si avverte un crescente bi s og n o.
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