Ricordate la storia dei giganti del Web come Amazon o Google che, pur fatturando miliardi di prodotti e servizi venduti in Italia, pagano in tasse pochi spiccioli? Quando alcuni Paesi europei, inclusa l’Italia, hanno approvato leggi ad hoc per colpire il fenomeno, gli Stati Uniti hanno reagito minacciando di imporre pesanti dazi a carico di questi Paesi. L’Italia ha rischiato un dazio del 25% sul fashion, con un danno per il made in Italy calcolato in 120 milioni di euro. Lo scopo delle minacce, ovviamente, era proteggere le aziende statunitensi, visto che sarebbero state le più esposte a questo tipo di tassa. La «Web tax» italiana prevede un meccanismo per cui le imprese che operano nel Web, con un ricavo globale di 750 milioni di euro e un fatturato di almeno 5,5 milioni su servizi digitali venduti in Italia, indipendentemente dalla loro residenza fiscale, sono tenute a versare il 3% sul fatturato prodotto nel nostro Pae s e. La vicenda nei giorni scorsi è giunta a un epilogo: le tasse sui servizi digitali di Italia, Francia, Austria, Spagna e Regno Unito sono destinate a morire. Tutti questi Paesi, infatti, si sono impegnati con gli Stati Uniti a ritirare la loro imposta sui servizi Web. In cambio, gli Usa promettono, niente dazi. In realtà, indipendentemente dalle condivisibili finalità, non è che la Web tax nostrana abbia avuto tutto quindi, sarebbe inclusa in questo quadro complessivo più ampio, ed è previsto un passaggio progressivo dalle imposte sui servizi digitali dei singoli Paesi all’i m p o s ta che segue lo standard mondiale che verrebbe tracciato in esecuzione di tale accord o. La prospettiva è che dal meccanismo dell’im p o s ta che verrà fuori dall’attu a z io - ne degli accordi l’Italia possa ricavare un gettito fiscale significativamente maggiore rispetto a quello ottenuto d al l’imposta fatta in casa. L’aliquota dell’imposta, infatti, potrebbe arrivare fino al 25% dei profitti. Il che, considerate le aziende che verrebbero interessate, dovrebbe portare a spostare circa 108 miliardi di profitti verso i Paesi in cui essi vengono effettivamente realizzati. Un bottino notevole, ma che peccato che il legislatore italiano, sempre tenace nel colpire le imprese di casa, non sia stato capace di esserlo ugualmente verso queste realtà estere, che invece possono sempre contare sulla protezione dei governi dei loro Paesi.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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