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I sanitari
scappati dalla
guerra potranno esercitare
la professione
in Italia. Ma è
caos sui requisiti. Medici e
infermieri italiani sospesi
saranno sostituiti da altri
non vaccinati? Intanto, i
giudici siciliani hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale per
l’obbligo vaccinale. Si pronuncerà la Consulta.Potranno esercitare la loro
professione in strutture italiane, in via temporanea per
un anno, i medici e i sanitari
ucraini in arrivo nel nostro
Paese. Oltre a offrire un’o pportunità a chi scappa dalla
guerra, con il provvedimento
si potrebbero sostituire i camici bianchi sospesi perché
non vaccinati. La questione
però è più complessa. Il decreto «Misure urgenti» per la crisi ucraina, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 21 marzo, prevede che fino al 4 marzo 2023
gli operatori con «qualifiche
professionali sanitarie» residenti in Ucraina prima del 24
febbraio 2022 potranno lavorare in Italia usufruendo di
una deroga al riconoscimento
delle qualifiche professionale
conseguite all’estero e regolato da specifiche direttive dell’Unione europea.
Le strutture sanitarie potranno quindi «procedere al
reclutamento temporaneo di
tali professionisti, muniti del
Passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati, con contratti a tempo determinato o
con incarichi libero professionali e anche di collaborazione
coordinata e continuativa».
Case di cura e ospedali dovranno solo fornire alla Regione e agli ordini professionali i
nominativi dei professionisti
assunti. Questa soluzione, oltre a essere un aiuto per chi
fugge dalle bombe, potrebbe
sostenere le strutture sanitarie a far fronte alla mancanza
di personale, assente perché
contagiato dal Covid-19 o sospeso perché non si è sottoposto alla vaccinazione obbligatoria prevista. Pur riconoscendo lo spirito di accoglienza umanitaria del provvedimento, la deroga prevista all’art. 34 del decreto pone però
delle questioni pratiche che
andrebbero chiarite. A stilare
un lungo elenco dei quesiti
aperti dal documento appena
entrato in vigore è l’Un ione
per le cure, i diritti e le libertà
( Uc d l ) .
Visto che il personale sanitario può lavorare solo se completamente vaccinato, l’Uc d l
chiede se i «sanitari ucraini
dovranno essere vaccinati per
lavorare all’interno delle nostre strutture ospedaliere o
dovranno essere sottoposti a
tampone molecolare costante», ma anche se andranno «a
sostituire i sanitari italiani sospesi, in quanto non vaccinati
e addirittura i sanitari guariti
e non reintegrati». La questione non è secondaria se si considera che il tasso di immunizzazione completa degli ucraini si aggira attorno al 35%.
C’è poi da considerare che,
nel Paese sotto assedio, la
maggioranza si è vaccinata
con lo Sputnik, di produzione
russa e non riconosciuto in
Italia. Il ministero della Salute
dovrebbe quindi spiegare se «i
sanitari ucraini, laddove vaccinati con uno dei vaccini non
riconosciuti in Italia o guariti
dalla malattia, potranno lavorare o verranno obbligati ad
ulteriore vaccinazione».
Ci sono poi anche altri nodi
tecnici che, se non venissero
sciolti, potrebbero rendere il
decreto l’ennesimo documento di buoni propositi inapplicabili. Data l’assenza di un sistema di valutazione, E r ich
Grimaldi, presidente dell’Uc -
dl domanda: «I direttori sanitari, senza nulla togliere alla
preparazione dei sanitari
ucraini, collocherebbero nelle strutture ospedaliere e, forse, nelle sale operatorie, medici e infermieri di cui non si
conoscono le competenze e i
percorsi di abilitazione professionale, che non parlano
italiano e che non potranno,
quindi, interloquire con colleghi e malati?».
E poi, c’è «la copertura finanziaria?; cosa accadrà
quando alcuni dei medici e dei
sanitari italiani, sospesi e sostituiti, dovessero tornare a
lavorare perché vaccinati e/o
guariti?».
La lista delle domande è
lunga e il rischio è che non si
trovi nessuna risposta, oppure che arrivi, ma fuori tempo
m a s s i m o.
È quello che succede, ad
esempio, per i posti letto da
integrare previsti per la pandemia in Lazio, la Regione che
ai primi di marzo era pronta a
inviare sanitari in Ucraina,
salvo poi sentirsi ricordare dal
sindacato dei medici (Fimmg)
che mancano camici bianchi
per l’Italia, figurarsi per l’estero. Ieri Il Tempo s eg n a l ava
che, con due anni di ritardo,
arrivano adesso le delibere degli ospedali romani per la realizzazione dei posti letti previsti per l’emergenza nel 2020.
Già nel giugno scorso la Corte
dei conti denunciava che su
282 letti in rianimazione previsti per la regione guidata da
Nicola Zin garetti, ne erano
stati attivati solo 97 (34,4%) e
dei 412 di semintensiva ce n’erano 78 (18,9%). Il San Camillo
Forlanini ha pubblicato in
questi giorni la delibera per
«la realizzazione di 24 posti
letto in terapia semi-intensiva» per un importo di quasi 3,4
milioni di euro. L’Umberto I
ha invece dichiarato che il
cantiere non sarà completato
prima del 2025: quattro anni
per 24 posti in terapia intensiva e 48 in subintensiva.
In compenso, a livello nazionale, non c’è stata alcuna
revisione per l’obbligo di vaccinazione anti-Covid per il
personale sanitario. Ma sulla
legittimità di tale misura, il
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha chiesto il vaglio della
Corte Costituzionale, con
u n’ordinanza depositata ieri e
relativa al ricorso di uno studente di infermieristica che,
non essendo vaccinato, non ha
potuto partecipare al tirocinio formativo.
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