NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
venerdì 18 marzo 2022
LA GUERRA COLPISCE I NOSTRI OSPEDALI
Ciò che di
buono, passateci il termine, ha
portato il Covid
alla sanità italiana sarà adesso
fatto a fette dalla guerra in
Ucraina e dagli effetti del caro energia. Due anni di pandemia hanno imposto maggiori investimenti all’interno del servizio sanitario nazionale e dentro le
strutture ospedaliere. A chiedere più soldi sono stati anche
tutti quei politici che nel decennio prima avevano usato
l’accetta per tagliare i fondi e
mettere in ginocchio la nostra
sanità. Pazienza per la faccia
di bronzo, un cambio di passo
sarebbe stato importante.
Adesso, invece, gli ospedali
italiani saranno costretti a pagare almeno il 30% in più per
le bollette del riscaldamento e
per l’energia elettrica. I fondi
saranno sottratti proprio dal
budget destinato agli investimenti, ai nuovi macchinari e
alle attività necessarie per
rendere il sistema più effic ie nte.
A dirlo sono i vertici della
Fiaso, federazione italiana
delle aziende sanitarie e ospedaliere. «Attualmente spendiamo 1,4 miliardi di euro in
energia elettrica, circa 780 in
corrente e il rimanente per riscaldare gli ambienti», spiega
alla Ve rità il presidente Gio -
vanni Migliore. «Abbiamo stimato che, visti i rincari, durante il 2022, andremo a toccare la cifra di 2 miliardi. Questo influenza il conto economico e i conseguenti investimenti, oltre che la vita lavorativa dei dipendenti sanitari e
dei cittadini». Il riferimento è
duplice. Da un lato, le strutture sanitarie hanno l’obbli go
del pareggio e della sostenibilità finanziaria, dall’altro, dovrebbero intervenire solo dove i costi sono comprimibili.
«Il 60% della spesa del servizio
nazionale è destinato al personale e alle strutture, mentre
il 30% circa si riconduce ai materiali e ai medicinali. Il 10%
che rimane sarebbe destinato
agli investimenti. Purtroppo
la cifra», conclude M ig l iore,
«è teorica, perché già viene
abbattuta da tutti gli extra costi. Ad esempio il personale
aggiuntivo impiegato per il
Covid, gli straordinari e ciò
che serve per far fronte agli
imprevisti quest’anno finirà
con l’erodere la quota già bassa. Gli effetti dell’inflazione e
della guerra in Ucraina rischiano di essere il carico da
undici». La speranza è che il
governo prenda consapevolezza e soprattutto che la stima degli aumenti del 30% sia
corretta. Una guerra che duri
l’intero anno renderebbe ancora meno sostenibili i costi
dell’energia e, a quel punto, il
rischio sarebbe mettere in discussione pure i servizi sanitari e il welfare. D’altronde, il
termine razionalizzazione
spesso nasconde un altro termine molto meno presentabile: tagli. Una parola che sempre più spesso verrà accoppiata a razionamento (di cibo,
materie prime o del riscaldamento stesso) e che rischia a
sua volta di diventare il leitmotiv della pubblica amministrazione italiana. Basti pensare all’appello del sindaco di
Milano, Beppe Sala. Ieri, ha
fatto sapere di avere incontrato il ministro Daniele Francoe
il premier, Mario Draghi per
battere cassa. «Servono 200
milioni o Milano non chiude il
bilancio», ha detto. La legge
Finanziaria ha già permesso a
città iper indebitate come Torino, Palermo, Pordenone e
Napoli di rifarsi con i cittadini
alzando al di sopra delle soglie
consentite le aliquote locali.
C’è da scommettere che dopo
il capoluogo lombardo si unirà al coro una folta lista di Comuni, rendendo impossibile
al governo mettere nel Def,
documento di finanza pubblica, miliardi aggiuntivi per gli
enti locali. Durante il primo
anno di Covid ne sono stati
erogati 6 e nel 2021 si è quasi
fatto il bis. Quest’anno l’obiet -
tivo di D ra g h i era sicuramente quello di chiudere i rubinetti del deficit. La guerra dovrebbe far cambiare idea, ma
la scarsa propensione allo
scostamento sembra dire il
contrario. I Comuni italiani
dal canto loro si finanziano
anche con le partecipate. Solo
che due anni di Covid hanno
lasciato a terra gli aerei, svuotato le metropolitane e ridotto
la richiesta di treni. Sono soldi
che non entrano. Da fine febbraio si aggiunge quella che in
molti chiamano già «economia di guerra». (BINGO !) Lo stesso Dra -
ghi, pur negando che il Paese
ci sia già scivolato dentro, ha
ammesso che dobbiamo prepararci all’eventualità. L’i mpressione è invece che i rincari e lo stop ai consumi siano
già in fase avanzata. Il governo, Bankitalia, Bce e tutti i vertici dell’Unione europea hanno negato fino allo scorso dicembre che l’inflazione potesse essere un problema
strutturale. Nascondendo l’evidenza degli effetti della pandemia e della fine della globalizzazione come l’abbi a m o
vissuta negli ultimi 20 anni. (🙏🙏🙏)
La guerra inasprirà i problemi
dell’Europa finendo con l’ac -
celerare la crisi.
Il racconto quotidiano della
tragedia ucraina sta facendo
finire sotto il tappetto anche
l’enorme grana Pnrr. Il ministro Roberto Cingolani, che
forse dovrebbe ridurre il numero delle sue esternazioni,
ha detto che con un’i n f l a z io n e
al 2% ce la caveremo. Ha ragione. Peccato che difficilmente
l’inflazione scenderà sotto il
4/5% per l’intero anno. I cantieri del Pnrr sono chiaramente a rischio. Nell’u l ti m o
decreto Energia per sostenere
i centri di spesa e andare incontro alle aziende Palazzo
Chigi ha stanziato 100 milioni.
Una nullità. Nel 2022 l’Italia si
è impegnata a portare a casa
102 obiettivi con una spesa di
40 miliardi. Con rincari delle
materie prime e inflazione al
5% ballano come minimo due
miliardi. Per mettere a terra i
progetti le imprese dovrebbero rinunciare alla marginalità. Impossibile. E dunque è
molto probabile che i progetti
saltino, trasformando i prestiti del Recovery in debito vero e proprio. Ecco, questa sarebbe la chiusura del cerchio
malefico nel quale ci stiamo
infilando. Una economia di
guerra fatta da vita più cara e
meno servizi ai cittadini.
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