Esiste ancora l’interesse naz i onale? Un tempo, pur avendo ben presente la nostra collocazione in un mondo diviso in due blocchi, la nostra politica era in grado di ritagliarsi uno spazio di autonomia. È sufficiente ricordare i primi governi democristiani del Dopoguerra, che consentirono a Enrico Mattei di stringere accordi nel Medioriente al di fuori degli interessi delle Sette sorelle, cioè delle multinazionali del petrolio. Gli esecutivi dell’epoca ignorarono le pressioni americane e lasciarono che il presidente dell’Eni raggiungesse un’intesa commerciale che consentì l’i m p o rta z io n e di greggio perfino dall’Un io - ne sovietica. Per non parlare poi di Bettino Craxi, che in nome dell’interesse del nostro Paese a restare fuori dalla campagna di attentati organizzati in Europa dai palestinesi, si rifiutò di cedere agli americani il terrorista che organizzò il sequestro dell’Achille Lauro e l’assassinio di Leon Kling h o f fe r, pensionato in sedia a rotelle ucciso a sangue freddo per la sola colpa di possedere un passaporto degli Stati Uniti. L’interesse nazionale era ben chiaro anche a Giulio And re otti , il quale la teoria dei due forni in cui cuocere l’azione di governo non la praticò solo in casa, per non veder naufragare i suoi esecutivi, ma anche all’estero, dichiarandosi filoamericano, ma anche amico del Mediorient e. Se prendo esempi dal passato è per dire che oggi l’i nte - resse nazionale non può essere inviare più armi agli ucraini, affinché la guerra scatenata da Mosca continui. Questo può interessare agli Stati Uniti, che vorrebbero ridimensionare l’influenza delle potenze cresciute nella parte orientale del globo. A noi la guerra non conviene, perché più si combatte e più noi abbiamo tutto da perdere. So che il mio ragionamento sarà spacciato per cinismo, ma in realtà si tratta solo di pragmatismo: meglio guardare in faccia la realtà prima di esserne travolti. La Gran Bretagna, con il suo premier Boris Johnson, è insieme con l’A m e r ic a uno dei Paesi più fortemente decisi a sostenere gli ucraini anche con l’invio di armi. Per il primo ministro inglese è anche un modo di trarsi d’impaccio dopo i recenti scandali sui festini a Downing Street in tempi di Covid. Tuttavia, mentre B o Jo mette l’e l m etto, il giornale in cui è cresciuto come leader politico e che ha anche diretto, ossia The Spectato r, scrive chiaro e tondo che né l’Ucraina né la Russia hanno alcuna possibilità di vincere la guerra, ma ne hanno più d’una di trovarsi impantanate in un conflitto lungo, con le conseguenze che si possono immaginare. Non c’è solo il costo di vite umane, che giorno dopo giorno diventa più pesante. C’è anche quello economico, che non pesa nelle tasche degli Stati Uniti, ma in quelle dell’Europa. Non parlo solo della spesa militare, aumentata fino a raggiungere il 2 per cento del Pil. Mi riferisco alle ricadute che questa guerra avrà sui principali Paesi. Ieri la Germania ha annunciato un piano di emergenza nel caso venissero tagliate le forniture di gas. In pratica, stiamo parlando di un razionamento dei consumi energetici, che però equivarrebbe anche a un rallentamento della produzione e, quindi, della locomotiva tedesca. Se gran parte dell’economia di Berlino è attaccata alla canna del metano di Mosca, non va meglio per l’Italia. Infatti, nonostante le molte parole spese in queste settimane, a breve, cioè nei prossimi anni, non c’è alternativa al gas russo. E fa ridere che qualcuno si consoli dicendo che presto farà caldo, perché il gas fa funzionare le nostre centrali e non serve solo al riscaldamento, ma anche a far girare il motore dell’economia. Tutta una questione di combustibili? No, anche di materie prime. Se in Spagna (non in Russia) razionano gli acquisti nei supermercati, è evidente che il prolungamento del conflitto significherà che i nostri consumi e dunque anche il nostro Pil potranno subire dei bruschi cambiamenti. In nome della libertà (degli ucraini) si può anche patire il freddo, rassegnarsi agli scaffali vuoti e ad alcune migliaia di disoccupati in più in conseguenza delle fabbriche chiuse? In teoria sì. Ma in pratica, gli italiani sono disposti a farlo? Secondo un sondaggio reso noto da La 7, il 55 per cento degli intervistati è contrario a inviare armi a Kiev e appena il 35 per cento si dichiara favorevole. La maggioranza nel nostro Paese è forse composta da codardi o persone dal cuore di pietra, che assistono impassibili a un massacro di civili? Io credo di no. Semplicemente, più della metà degli italiani vuole che la guerra finisca, per non vedere altri bambini morti, ma anche per evitare uno scivolamento progressivo verso un punto di non ritorno. Lo storico inglese Niall Ferguson, ieri ha spiegato che l’a mm in is tra zion e Biden si è imbarcata in una strategia che punta a prolungare la guerra, nella convinzione che questo porterà alla caduta di Putin. Il rischio, spiega il biografo di K i s s i n ge r, non è solo che nel frattempo le principali città ucraine siano rase al suolo, ma di spingere lo zar del Cremlino a mosse disperate e pericolose. E poi siamo sicuri che uccidere Pu - ti n sia il modo per risolvere il problema? Far fuori Sad d a m Hus sein o Muammar Gheddafinon è servito a migliorare le cose, anzi le ha peggiorate. E stavolta potrebbe essere anche peggio e non perché morto un dittatore se ne fa un altro (l’Egitto insegna), ma perché la Cina potrebbe correre in soccorso della Russia. Ieri il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha ribadito che gli interessi dei due Paesi sono molto forti ma, aggiungo io, la guerra potrebbe rafforzarli, creando un asse del male che non giova a nessuno, men che meno all’Eu ro - pa. Domenico Quirico, uno che di guerre se ne intende, sulla Stampa ha scritto che Unione europea e America combattono in Ucraina due guerre diverse, perché gli americani, più che inseguire la pace «hanno un progetto molto più ambizioso, di cui l’Ucraina, è amaro dirlo, non è che lo scenario geografico e a cui fornisce il materiale umano. Il progetto è quello di spazzare via Puti n dallo scenario politico mondiale». E per questo, aggiunge Qu i r ic o, «elemento fondamentale della strategia è sabotare qualsiasi possibilità di negoziato». Ovviamente sulla pelle degli ucraini e dei russi, aggiungo io. E, tornando alla domanda iniziale, il nostro interesse nazionale, qual è? Facilitare un cambio di regime a Mosca con l’effetto collaterale di far entrare la Russia nell’o rbi ta cinese e sostituire un nemico con un altro, passando da Pu - tin a Xi Jinping? Sarò più schietto: il nostro governo lavora per sostenere una guerra alle porte di casa o si dà da fare per raggiungere la pace? Più che sull’aumento della spesa militare è su questo che Mario Draghi dovrebbe rispondere al Parlamento. Ammesso e non concesso che ci siano delle Camere interessate all’a rgo m e nto.
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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