Che lezione trarre dalla prevista sconfitta di Marine Le Pen, domenica scorsa? Il «monolite» dei media, che è pure monocolo e vede solo dall’occhio sinistrom ha sentenziato: il populismo sovranista è destinato a perdere. Vero, ma se vista con entrambi gli occhi, la verità è contraddittoria: il populismo sovranista è destinato a perdere, ma è pure destinato a crescere. Lo desumo dai dati elettorali francesi, dove Le Pen ha perso, com’era prevedibile, il ballottaggio, ma con quasi 10 punti in più di consensi rispetto al ballottaggio di cinque anni fa. E con un primo turno in cui il voto antisistema ha vinto sul voto pro-sistema ed era maggioranza assoluta rispetto ai modesti consensi di Emmanuel Macron. Ma facciamo un passo avanti e chiediamoci la ragione di entrambe le cose, perché il populismo sovranista è destinato a perdere e perché è destinato a crescere. Dunque, è destinato a perdere innanzitutto perché il populismo è trino e le sue parti non si compongono: il populismo ha tre volti, quello nazional-sovranista, quello radical-populista e quello protestatario assoluto. Il primo lo rappresenta Le Pen, il secondo Jean-Luc Mélench o n , il terzo finisce nel buco nero del non voto (in Italia al posto di M é l e n ch o n c’e ra Beppe Grillo). Ma c’è una seconda ragione, che il «monolite» legge sempre con un occhio solo: i populismi non ce la fanno ad andare da soli al governo, hanno bisogno di una sponda moderata, di uno sponsor centrista, un insider. E questo porta il «monolite» a suggerire che, se non volete votare a sinistra, votate i moderati, centristi e un po’ destrorsi, purché siano «dentro» il sistema. A noi, invece, rammenta un precedente, italiano: le due forze outsider che c’e ra - no in Italia, vale a dire la Lega e l’Msi, poi divenuto An, andarono al governo solo alleandosi con Silvio Berlu s c o n i e i centristi, o se preferite con i reduci del centro-sinistra non finiti nell’orbita dei dem. Fu un outsider, populista ma non radicale, antipolitico ma non anti-sistema, monarca ma liberale come B e rlu s c o n i a portarli dall’opposizione al gove r n o. Ma ora i tempi sembrano mutati, i moderati e i centristi, indeboliti dalla radicalizzazione dello scontro, cercano un ombrello protettivo nel partitone unico, quello che governa l’Eu ro pa e anche l’Italia, grazie al draghettatore. E ai populisti tocca fare da soli, o cercare qualche nuovo alleato, magari ex-insider, che possa offrire una sponda moderata, un volto rassicurante. La Lega e Fratelli d’Italia, allo stato attuale, non dispongono di questa terza gamba, perché B e rlu s c o n i è vecchio e vacillante, non raccoglie più grandi consensi e gioca una partita doppia, tra l’e s tab l i - shment e l’alleanza di centrodestra. Ci vorrebbe una terza sponda, cattolica e c o n s e r vatr ic e. Il problema italo-francese si estende ai restanti paesi europei, a eccezione di quelli che hanno vissuto sotto l’oppressione comunista, che riescono, in Ungheria, in Polonia, fino a ieri in Slovacchia, da oggi in Serbia, ad avere e perfino a confermare a pieni voti governi destrorsi invisi all’establishment europeo. Non è dietrologia pensare che nei Paesi europei dell’Ovest sia, invece, impossibile andare al governo senza il placet euro-atlantico (come dimostra anche la posizione di Giorgia Meloni sul l ’Ucraina). Però, dicevo, la realtà è ambigua e ci pone anche un’altra faccia. Il populismo non sta via via sparendo in Europa, come dice il «monolite» dei media, che a ogni elezione all’inizio soffia sulla paura che vincano i cattivi e dopo il voto annuncia la loro disfatta e il trionfo dei buoni. Ma, al contrario, cresce, assume forme cangianti, cambia soggetti che incanalano il consenso, ma è t utt’altro che in calo. Populismo fluido, molecolare. Da dove deriva questo popolo di nemici del sistema? Dal disagio sociale, dalla difficile convivenza con i migranti, dal ribellismo moltiplicato dai social. Ma ci sono pure due fatti precisi e un cambio di scenario. Il primo risale al 2005, quando l’Eu - ropa pensò di mettersi in regola con la democrazia e avviò, in alcuni Paesi, dei referendum sulla Costituzione europea. Cominciarono in Francia e nei Paesi Bassi ma fu un disastro. Al popolo non piaceva questa Europa. E fu subito fermato il processo di investitura popolare. Questa impossibilità di contare come popolo sovrano ha spinto verso la radicalizzazione del dissenso e la nascita di conati populisti di tipo sovranista. Il secondo risale al 2008, negli Usa, ma è un prodotto della bolla speculativa della finanza apolide e transnazionale: la grande crisi economica globale dette alla gente la precisa sensazione che l’economia fittizia tenesse al guinzaglio l’economia reale, che gli interessi di pochi speculatori prevalessero sugli interessi popolari. Infine il cambio di scenario: fino a pochi anni fa, la globalizzazione non dispiaceva alla gente, perché se ne vedevano i vantaggi. Poi, a un certo punto, ha mostrato i suoi effetti collaterali, le sue controindicazioni. E non solo: fino a un certo punto, la globalizzazione è stata l’espansione americana e occidentale nel mondo, poi è diventata l’e s pa n s io n e cinese o asiatica e la recessione occidentale; espansione commerciale, vitale e perfino infettiva. Do na ld Trump se ne era accorto, perciò fu protezionista. La globalizzazione sta generando una marea di contraccolpi che mettono in ginocchio imprese, famiglie, cittadini, mentre i palazzi del potere continuano a incensare la globalizzazione e i suoi derivati. Per questo dico: potete deviare, reprimere e criminalizzare la rivolta anti-sistema, ma non è destinata a scemare, a finire. Il potere si conferma ma l’a nti pote re cresce. E nasce un dualismo incolmabile tra Stato e società, tra Paesi ingovernabili e democrazie senza ricamb i o.
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