STUPIDA RAZZA

giovedì 28 aprile 2022

Obiettivo americano: espansione cinese in Asia da contenere

 

Erano anni che le Isole Salomone non ricevevano una delegazione di alto livello degli Stati Uniti. È accaduto ora: nel Paese-arcipelago del Pacifico meridionale, mille isole e 700.000 abitanti, sono volati Kurt Campbell, emissario della Casa Bianca per l’Asia, e Daniel Kritenbrink, responsabile del Dipartimento di Stato per gli Affari di Asia Orientale e Pacifico. Ragione di tanta premura: un accordo di sicurezza appena firmato dal governo di Honiara con la Cina. Paventato come ultimo tassello della temuta espansione del raggio d’azione militare e strategico di Pechino. È un’intesa in gran parte coperta dal segreto, ma che, a meno di 1.300 miglia dall’Australia, consente almeno a Xi Jinping l’attracco delle flotte e l’invio di soldati per mantenere l’ordine (le isole sono state teatro di dure rivolte). Abbastanza, agli occhi degli Usa, per correre senza indugi ai ripari, anche se il governo locale ha affermato che non ci saranno basi cinesi permanenti. L’accordo, hanno denunciato gli americani assieme a Australia, Nuova Zelanda e Giappone, pone «seri rischi ad un aperto e libero Indo-Pacifico». E Kritenbrink, durante la visita, è stato ancora più esplicito: ha ammonito che in caso di presenza militare cinese di fatto, che «proietti potere», scatterà una imprecisata «risposta». A destare preoccupazione è il fatto che le Isole Salomone si sono in realtà da anni avvicinate a Pechino, che ha investito nell’area, con una deriva che nel 2019 aveva già visto il taglio di storiche relazioni diplomatiche con Taiwan, cioè uno schiaffo a Washington su quella che è la frontiera più calda del confronto-scontro tra Cina e Usa. Il caso delle Salomone è diventato così emblematico della partita geopolitica aperta dalla Casa Bianca nel Pacifico e che ha per obiettivo il contenimento della Cina e delle sue ambizioni. Che questa sia la principale partita per l’amministrazione americana emerge chiaramente da una successione di nuove mosse. Gli Usa sono reduci da incontri di aggiornamento di Aukus, la nuova alleanza militare con Australia e Gran Bretagna sancita nel 2021 (anche al prezzo di screzi con la Francia). Fornirà a Canberra sommergibili a propulsione nucleare con testate convenzionali. Ma nei più recenti meeting sono stati riportati progressi su ulteriori iniziative: da robot sottomarini a quantum tech e intelligenza artificiale. Nelle isole del Pacifico, inoltre, gli Usa stanno costruendo una nuova base (Micronesia) e ampliandone un’altra (Papua Nuova Guinea). Non basta. Il Pentagono ha reso note le linee guida di una nuova National Defense Strategy: viene riassunta nella formula 1+1+3. Dove la Cina è il grande avversario strategico nel lungo periodo – il “pacing   challenge” - con la Russia che presenta una «minaccia urgente» e rischi «persistenti» da Iran, Corea del Nord e terrorismo. L’amministrazione di Joe Biden segue con crescente apprensione non più solo la sfida economica e tecnologica di Xi ma la sua corsa al riarmo, definita dal Comando Strategico Usa come «mozzafiato» e con «risultati tecnologici dalle serie implicazioni per la stabilità strategica». In gioco sono anzitutto gli sviluppi negli arsenali nucleari e nei sistemi missilistici, comprese armi ipersoniche. Pechino è indirizzata a quadruplicare le sue testate a mille entro il 2030 a fianco di forze armate “prime della classe” entro il 2049. E avrebbe accelerato la costruzione di un centinaio di silos in grado di ospitare ordigni atomici capaci di raggiungere il territorio americano. Un simile equilibrio atomico tripolare - Usa, Russia e Cina - viene considerato instabile. Ma la nuova preoccupazione americana per le mire di Pechino prende corpo con particolare urgenza anche su Taiwan, punto focale di tensioni davanti a ripetuti pronunciamenti sull’unificazione da parte di Pechino e a costanti manovre militari nei pressi dell’isola. Biden mantiene ufficialmente una posizione di “ambiguità strategica”, senza patti formali di soccorso in caso di aggressioni cinesi. Ha tuttavia lanciato moniti sempre più puntuali che non accetterà prove di forza di Pechino. Ha intensificato rapporti economici e relazioni militari con Taipei, a cominciare da vendite di armi. Una delegazione bipartisan del Congresso Usa ha visitato l’isola tra le ire cinesi. Segno che sul confronto con Pechino, quale avversario strategico e di valori, il mondo politico Usa conta tuttora su una unità rara nel clima di polarizzazione interna.



Nessun commento:

Posta un commento