Nemmeno oggi sarebbe il giorno buono affinché la Commissione renda noto
il contenuto del
sesto pacchetto di sanzioni alla Russia. Tante e troppe sono
le difficoltà da superare, per
consentire ai tecnici di Ur su l a
von der Leyen di portare sul
tavolo negoziale una proposta
che accontenti tutti i 27 Stati
membri. Fonti diplomatiche
Ue hanno riferito al Fi n a n c ial
Ti m es che, nel migliore dei casi, è tutto rimandato alla settimana prossima e i colloqui sono ancora allo stadio iniziale.
Da giorni l’ipotesi di lavoro più
concreta che circola tra Washington e Bruxelles è quella di
un tetto predeterminato al
prezzo del petrolio russo, notevolmente inferiore all’attua -
le livello di mercato, imposto
d’imperio dalla Ue.
È lo scenario illustrato ieri
sul Corriere della Serada Fede -
rico Fubini, la cui chiave di
successo risiede però nel ruolo
di «sceriffo» che dovrebbe rivestire l’amministrazione Biden. Poiché il gruppo delle 37
economie avanzate che hanno
imposto le sanzioni è certamente rilevante, ma copre solo
il 55% del Pil mondiale, è elevata la probabilità che in giro per
il mondo non mancheranno
Paesi che vorranno comprare
il greggio russo, non rispettando il prezzo calmierato imposto da questo cartello internazionale. A quel punto interverrebbe il potere sanzionatorio
degli Usa, che imporrebbero
delle sanzioni di secondo livello - consistenti nell’e s c lu s io n e
dagli affari con il ricco mercato americano - destinate ai
soggetti che si rendessero
complici dell’aggiramento del
tetto. Tale complesso meccanismo è stato già accolto con
scetticismo soprattutto dai tedeschi, che hanno sottolineato
la difficoltà di fissare una soglia di prezzo e, in ogni caso,
che tale soglia sarebbe una palese violazione contrattuale.
Da non trascurare anche l’aspetto della sostanziale subordinazione dell’efficacia di una
scelta politica della Ue alla capacità di deterrenza delle sanzioni Usa. Una conclamata ammissione di impotenza, in assenza del pugno di ferro dell’alleato di Oltreoceano, che
non è molto gradita in numerose capitali europee.
Allora, anziché inerpicarsi
per sentieri scoscesi, il vicecancelliere tedesco Rober t
H a b e ck , in visita ieri a Varsavia, ha annunciato che la Germania ha già ridotto la dipendenza dal petrolio russo dal
35% al 12% del proprio fabbisogno ed è sulla buona strada per
la completa indipendenza, che
potrebbe arrivare in giorni. La
linea di difesa tedesca è da
tempo attestata sulla richiesta
di una gradualità sul fronte degli acquisti di petrolio e di nessuna concessione sul fronte
del gas, il cui embargo per Berlino è fuori discussione. Anche
perché il petrolio russo incide
per il 25% degli acquisti Ue,
mentre il gas è pari al 45%, con
la Germania su livelli ancora
più alti.
La finalità di tutto questo
prolungato tramestio - su cui
da tempo ci interroghiamo e
solleviamo dubbi - non è né
quella di far terminare la guerra in Ucraina e né tanto meno
quella di provocare malcontento che porti al rovesciamento del regime di V l ad i m i r
Puti n . Non lo diciamo noi, ma
lo scrive sul Wall Street Journal
Nicholas Mulder, professore
di storia alla Cornell University, testata e autore certamente
non tacciabili di filoputinis m o.
Mu l d e r evidenzia che la politica del presidente Joe Biden
- secondo cui i danni arrecabili
dalle sanzioni economiche
contro la Russia avrebbero rivaleggiato con quelli arrecati
dalla forza militare - non ha
avuto successo. La Russia non
è uno staterello «canaglia»
qualsiasi. È un’economia del
G20 fortemente interconnessa al resto del mondo, nei confronti della quale le sanzioni,
bene che vada, costituiscono
u n’arma di logoramento, anziché di deterrenza. Negli anni
Venti del secolo scorso, le sanzioni spaventarono piccoli
Stati come Grecia e Jugoslavia,
ma non intimorirono la potenza imperiale giapponese e il regime fascista italiano. Le dimensioni contano, e «se l’obiettivo è quello di paralizzare
un paese ricco di risorse naturali e con un grande esercito,
come la Russia, allora le sanzioni hanno una limitata utilità». Dopo due mesi di guerra, a
Bruxelles stanno prendendo
amaramente atto dell’esisten -
za di una secca alternativa tra
sanzioni e armi, che inizialmente credevano essere sostituibili. La guerra si combatte
ancora con le seconde, sottolinea Mu l d e r. Chi impone sanzioni deve tenere anche conto
dei contraccolpi e Mu l d e r evi -
denzia come molti Paesi africani, sudamericani e asiatici
siano riluttanti, perché non
possono permettersi di restare senza grano, rame e petrolio
russo, e allora è necessario che
Usa e Ue si impegnino a mitigare lo shock economico per quei
Paesi. Muld er osserva che le
sanzioni torneranno utili come contropartita per concessioni durante i negoziati di pace. In questo caso però va considerato che è vero che ci sono
400 miliardi di dollari di asset
della Banca centrale russa
congelati, ma è altrettanto vero che ci sono 446 miliardi di
investimenti diretti esteri in
Russia e altri 120 di investimenti finanziari, che Puti n
potrebbe nazionalizzare in un
att i m o.
Una guerra combattuta con
queste armi potrebbe condizionare le relazioni con Mosca
per molti anni a venire e alla
fine le potenze occidentali dovrebbero non solo ricostruire
l’Ucraina, ma anche una Russia distrutta dalle sanzioni ma
pronta a riavvicinarsi all’Occi -
dente. Serve una lungimirante
diplomazia, conclude Mu l d e r,
perché «ci vorranno mesi, se
non più, per sentire il morso
delle sanzioni».
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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