«Finché continueranno gli
assalti e le atrocità, continueremo ad aiutare
Kiev». L’ha giurato ieri Joe Biden, che chiede al Congresso il via libera
per altri 33 miliardi di dollari
di sovvenzioni al Paese invaso da Vladimir Putin. Ma alla
retorica oltranzista, l’i n qu i -
lino della Casa Bianca, che
era stato capace di evocare il
cambio di regime a Mosca,
comincia ad associare cenni
di prudenza: «Non stiamo attaccando la Russia,ma aiutiamo l’Ucraina a difendersi», è stato il distinguo
del presidente.
Sleepy Joe è alle prese con
enormi grattacapi politici. Nei
sondaggi precipita: la media
delle rilevazioni registra un
52% di cittadini scontenti del
suo operato. «I due terzi degli
americani non vogliono un intervento militare contro la
Russia», ricorda alla Ve rità il
giornalista statunitense A ndrew Spannaus. «E anche se
una leggera maggioranza è favorevole a supportare la resistenza, i più pensano che il
presidente farebbe meglio a
occuparsi dei problemi interni. Ogni volta che si alzano i
toni, anzi, aumenta la preoccupazione che si arrivi a uno
scontro aperto». Ieri, intanto,
per B id e n è arrivata una pessima notizia sul fronte economico: la crescita Usa, nel primo
trimestre del 2022, si è inaspettatamente contratta. È la
prima volta che accade da metà 2020. Come se non bastasse,
la sinistra liberal fa le bizze: la
deputata Alexandria OcasioCor tez, star dei dem radicali,
ha votato contro una legge per
sequestrare i beni degli oligarchi. In vista delle elezioni di
medio termine, il quadro non è
roseo. E non si dimentichi che,
a B id e n , la sponda del Cremlino serve per rilanciare il dialogo sul nucleare con Teheran.
Per far breccia in Iran, persino
il diavolo torna utile.
Questi fattori potrebbero
contribuire ad aprire una
breccia nelle posizioni massimaliste d’Oltreoceano. Vi accennava ieri Il Messaggero, citando l’esperto della Luiss
Germano Dottori: mentre
continuano la guerra per procura contro Puti n , gli americani starebbero segretamente lavorando con i russi per definire le nuove frontiere dell’Ucraina. In parole povere, per
spartirsi il Paese. L’idea, ovviamente, è di lasciare al Cremlino Donbass e Crimea. Ma al di
là del possibile punto di caduta, l’indiscrezione è rilevantissima di per sé: proverebbe che,
al netto dei proclami marziali,
a Washington si stanno convincendo che si dovrà trovare
un accordo con lo zar.
I più accorti avevano già notato un certo stridore tra le dichiarazioni di Antony Blinken
e quelle di Lloyd Austin, capo
del Pentagono, a margine del
vertice di Ramstein. Mentre
costui esplicitava che l’obietti -
vo degli Stati Uniti è indebolire
la Russia e annichilirne il potenziale bellico, il segretario di
Stato apriva all’ipotesi di un’Ucraina neutrale. Quali conclusioni trarre? Che, ridimensionate le ambizioni di vittoria totale, gli americani sono tornati
al proposito di limitare l’avan -
zata russa, per poi trattare da
una posizione di maggior forza? È plausibile, sebbene un
«alto funzionario dell’am ministrazione Biden», ieri, abbia
rimarcato che gli Usa sono
pronti «a fornire all’Uc rai n a
ciò di cui ha bisogno per vincere». Fatto sta che, nel Donbass,
i russi avanzano: lo evidenzia
l’ultimo resoconto della Rivi -
sta italiana difesa. E la rapida
evoluzione della situazione
sul campo può determinare altrettanto repentini riadattamenti della strategia.
Si è rotto l’idillio tra settori
militari e amministrazione
Usa? Secondo lo storico G iu l io
Sap el li , invero, «quello tra
B li nken e Aus ti n è un gioco
delle parti. Il discorso di Ja n et
Yel l e n , da fine politica, sui pericoli di un embargo sul gas
russo, era legato ai timori di un
aumento dei prezzi del gallone
e, dunque, di una débâcle di Bi -
den al midterm. Mi pare che le
cuspidi della finanza abbiano
visto chiaramente che bisogna
raggiungere un compromesso». Anche perché «più si
aspetta, più si muore da entrambe le parti e più territorio
occupano i russi», sottolinea
S pa n n au s . «A livello politico, il
dissenso sulla linea di sostegno all’Ucraina è quasi nullo.
Alcuni accademici e commentatori, invece, iniziano a mettere in guardia sul rischio che
Puti n arrivi a impiegare testate nucleari tattiche. E su Ne -
wsw e ek sono usciti alcuni articoli, di cui ho parlato su Tran -
satl a n tic o.i n fo, nei quali un
analista dell’intelligence della
Difesa spiega che Mosca non
sta conducendo una guerra totale, bensì una guerra di posizione. E che, pertanto, è giusto
avviare una trattativa».
Dalla Russia, qualche mano
si tende. Puti n ha comunicato
che proprio Crimea e Donbass
sono la base minima per una
pace. E ieri l’altro, il dicastero
degli Esteri ha pubblicato una
foto di Paolo VI con An drey
G ro myko, ministro sovietico,
risalente a un incontro in Vaticano del 1966: «Due mondi così
diversi», recitava la didascalia,
«che riuscirono ad avviare un
dialogo costruttivo: una lezione da imparare». Eloquente.
Le vere variabili, in Occidente, sono Londra e Kiev. Per i
britannici, protrarre il conflitto significa inguaiare l’Ue, dalla quale hanno divorziato, accreditarsi come riferimento
per i Paesi antirussi dell’Est e
mandare un segnale a Pechino, a proposito degli assetti securitari asiatici. Ne ha discusso Liz Truss, ministro degli
Esteri inglese, alludendo a una
«Nato globale», che presieda
anche all’area indopacifica. Se
Washington e la Russia stessero sul serio disegnando mappe
segrete, pertanto, nell’a n gl osfera si delineerebbe una sostanziale divergenza. Non sarebbe una novità, ci rammenta
Sa p el l i : «I rapporti in realtà sono sempre stati litigiosi: cooperare per competere».
Quanto agli ucraini, è difficile immaginarli accettare supinamente lo smembramento
della loro nazione. Perciò nel
Donbass si continua e si continuerà a combattere. La soluzione non è imminente: la
guerra «può durare mesi o anche di più», sospirano dalla Casa Bianca. Ogni contendente è
ancora primariamente interessato a incamerare quante
più conquiste possibili - in ballo, ad esempio, ci sono il destino di Odessa e gli sbocchi sul
mare di Kiev. Lo scenario, per
americani e russi, sarebbe il
seguente: davanti a tutti ci si
combatte; al riparo da occhi indiscreti ci si parla. Prima o poi
arriverà l’agognata stretta di
m a n o?
NEL 2012 NON CI SARA' LA FINE DEL MONDO IN SENSO APOCALITTICO,MA UN CAMBIAMENTO A LIVELLO POLITICO ED ECONOMICO/FINANZIARIO. SPERIAMO CHE QUESTA CRISI SISTEMICA ,CI FACCIA FINALMENTE APRIRE GLI OCCHI SUL "PROGRESSO MATERIALE:BEN-AVERE""ECONOMIA DI MERCATO" FIN QUI RAGGIUNTO E SPERARE IN UN ALTRETTANTO "PROGRESSO SPIRITUALE:BEN-ESSERE"ECONOMIA DEL DONO,IN MODO DA EQUILIBRARE IL TUTTO PER COMPLETARE L'ESSERE UMANO:"FELICITA' NELLA SUA COMPLETEZZA".
STUPIDA RAZZA
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