STUPIDA RAZZA

giovedì 28 aprile 2022

L’industria dei chip affronta la crisi guardando sia agli Usa che alla Cina

 

La forza di mille tifoni (ai quali, pure, Taiwan è abituata dal punto di vista climatico) si è abbattuta negli ultimi anni sull’economia dell’Isola. Tra questi elementi rientrano la lunga siccità che ha impedito a più riprese di produrre quei chip dei quali Taipei detiene il quasi monopolio mondiale dal momento che TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) è la più grande fabbrica di semiconduttori al mondo. Il Covid-19 che, in più ondate, l’ultima, soprattutto, ha attanagliato e ancora angustia la popolazione: al 24 aprile scorso i morti erano 468, oltre 18 milioni e mezzo i vaccinati su una popolazione di oltre 23 milioni di persone, oltre 51 milioni le dosi di vaccino somministrate. Le frizioni tra Stati Uniti e Cina che hanno colpito la catena di approvvigionamenti specie nell’automotive con Taipei costretta a chiudere gli stabilimenti di componentistica in Cina a causa delle misure anticinesi comminate dalla presidenza di Donald Trump. Un decoupling in piena regola, con Taiwan che passa dalla parte americana della barricata senza però in fin dei conti lasciare completamente quella cinese. Infatti, con la terribile variante Omicron che sta assediando la Cina, Taiwan non sta mollando al loro destino i clienti cinesi che hanno bisogno dei componenti taiwanesi specie per i telefonini nei quali Taipei è molto forte. Con il porto di Shanghai in tilt a causa del lockdown che sta bloccando la megalopoli da 25 milioni di abitanti i taiwanesi stanno facendo la loro parte. La taiwanese Foxconn, ricordiamolo, è pur sempre uno dei primi assemblatori di telefonini in Cina e tra i primi del GuangDong, la provincia cinese ad altissima intensità tecnologica. Questa contraddizione sta accompagnando anche il modo in cui Taiwan cerca di tenere a bada la crisi economica cercando di supplire alla mancanza di altre fonti assicurate in passato da un rapporto migliore con Pechino. I Dialoghi dello Stretto hanno rappresentato negli ultimi anni, fino al 2016, in coincidenza con l’avvento al potere di Tsai ingwen, un volano di comunicazione e interazione tra Cina e provincia ribelle. Milioni di turisti cinesi viaggiavano nell’isola con uno speciale passaporto per visitare una Cina conservata sotto vetro, con la sua lingua arcaica e gli ideogrammi fermi nel tempo, templi perfettamente preservati, una ricchezza culturale affascinante per i cinesi della Cina continentale. E scambi di studenti, anche, ai quali Taipei apriva le sue scuole e università. Ma anche joint venture e relazioni di business solide. Tutto questo ora è svanito e come il business del turismo, completamente stravolto. Piccolo ma tecnologicamente avanzato, Taiwan è un luogo perfetto per incubare e sviluppare tecnologia. Con un debito relativamente basso, nel 2020 era pari a 218.161 milioni di dollari (32,6% rapporto debito/Pil) e un debito pubblico pro capite di 9.259 dollari per abitante può permettersi di subire ancora la forza di mille tifoni. A patto di rafforzare la componente tecnologica, esattamente come sta facendo TSMC che investe massicciamente in nanotecnologie, ma anche intensificando la produzione delle bici più tecnologiche al mondo. O l’automotive e le biotecnologie, sulle quali gli investimenti sono stati negli ultimi anni parecchio consistenti. Per queste ragioni Taiwan è sempre più corteggiata da Stati Uniti e Europa, specie quest’ultima che ha fatto un salto notevole nelle relazioni bilaterali. Tsai Ing-wen ha teorizzato questa linea d’azione definendola “New Blue Ocean”, una forza basata sulla scienza in grado di rafforzare le relazioni internazionali e le partnership nel mondo. Per questo motivo le partnership tecnologiche saranno sempre meno neutre, specie con l’intensificarsi delle frizioni globali.

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